Il 12 dicembre scorso è mancata Latinka Perović, storica e politica serba, una delle più strenue voci critiche delle politiche nazionaliste degli anni Novanta. La ricordiamo con questa biografia pubblicata dal portale Peščanik
(Originariamente pubblicato sul portale Peščanik , il 13 dicembre 2022)
La morte di una persona non è il momento opportuno per fare analisi razionali e formali. Latinka Perović, scomparsa lo scorso 12 dicembre, odiava comportamenti patetici e frasi vuote. Riporto qui di seguito la sua biografia, articolata secondo un principio che lei stessa utilizzava nell’interagire con gli altri, basandosi su criteri oggettivi e verificabili e su uno studio approfondito delle fonti primarie.
Latinka Perović nacque il 4 ottobre 1933 a Beloševac, nei pressi di Kragujevac. Nel 1952, terminata la scuola elementare e il ginnasio, frequentati a Kragujevac, si trasferì a Belgrado per studiare. In soli due anni si laureò in lingua e letteratura serba presso la Facoltà di Filosofia, dove concluse anche gli studi magistrali con una tesi, discussa nel 1956, dal titolo “I sintagmi complementari e avverbiali nella lingua di Ivo Andrić”. Nel 1965 conseguì una seconda laurea magistrale, questa volta presso l’Istituto superiore di scienze politiche (oggi Facoltà di Scienze politiche), con una tesi intitolata “La politica culturale in Jugoslavia dopo la Seconda guerra mondiale”. Nel 1951 divenne membro del Partito comunista della Jugoslavia (KPJ). Dieci anni dopo, a ventotto anni non ancora compiuti, fu eletta presidente della Conferenza per l’attività sociale delle donne jugoslave – organizzazione ombrello che riuniva le associazioni di donne di tutta la Jugoslavia (ruolo in precedenza svolto dal Fronte antifascista delle donne) – ricoprendo quell’incarico fino al 1964. In un ambiente multietnico, come quello creatosi attorno alla principale organizzazione femminile del paese, Latinka imparava, come lei stessa dirà in seguito, a comprendere la Jugoslavia come un paese complesso in cui “ognuno poteva essere se stesso”. Al 5° congresso della Lega dei comunisti della Serbia (SKS), tenutosi nel 1965, fu eletta membro del Comitato centrale, il massimo organismo direttivo del partito. Nel novembre del 1968, durante il 6° congresso del SKS, fu nominata segretaria del Comitato centrale (CK), diventando così la più stretta collaboratrice dell’allora presidente del CK Marko Nikezić.
Per tutta la durata del suo impegno all’interno dei massimi organismi del potere politico, soprattutto nel periodo 1971-72, Latinka Perović fu accusata di aver mantenuto un atteggiamento antisovietivo e filo-occidentale, venendo al contempo criticata non solo per essersi opposta all’introduzione di misure repressive, ma anche, e soprattutto, per aver avviato un dialogo con alcuni intellettuali non allineati, membri della Cooperativa degli scrittori della Serbia. Avendo scelto di opporsi alla corrente conservatrice guidata dal presidente jugoslavo Tito e di mantenere un atteggiamento liberale nei confronti dei dissidenti e dei media, nel 1972 Marko Nikezić e Latinka Perović, durante una serie di incontri con i vertici del partito, protrattisi per quattro giorni, furono sottoposti ad una stigmatizzazione politica e poco tempo dopo, nell’ottobre dello stesso anno, rassegnarono le loro irrevocabili dimissioni [dagli incarichi ricoperti all’interno del Comitato centrale del SKS]. Due anni dopo, al termine di un lungo interrogatorio davanti alla Commissione del Comitato centrale nel corso nel quale rifiutò di dichiararsi colpevole (la cosiddetta “autocritica”) di quanto fatto in veste di segretaria del CK SKS (1968-1972), Latinka fu estromessa dal partito.
Dopo l’espulsione dalla vita politica e pubblica, accompagnata da una campagna denigratoria nei suoi confronti, Latinka decise di dedicarsi alla ricerca. Nel 1975 conseguì un dottorato di ricerca presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Belgrado e in quello stesso anno fu assunta come ricercatrice presso l’Istituto per la storia del movimento operaio, successivamente ribattezzato Istituto di storia contemporanea della Serbia. Le fu vietato di pubblicare fino al 1983.
Nel corso della sua carriera Latinka Perović ha pubblicato ventidue monografie: Kultura u socijalizmu [La cultura nel socialismo] (Belgrado, 1965), Savez komunista u novim uslovima [La Lega dei comunisti nelle nuove circostanze] (Belgrado, 1967), Savremena uloga avangarde [Il ruolo contemporaneo dell’avanguardia] (Belgrado, 1969), Pera Todorović (Belgrado, 1983), Od centralizma do federalizma [Dal centralismo al federalismo] (Zagabria, 1984), Srpski socijalisti XIX veka [I socialisti serbi dell’Ottocento], opera pubblicata in tre volumi: Prvi poznavaoci i pristalice socijalističkih učenja u Srbiji [I primi conoscitori e sostenitori delle idee socialiste in Serbia], Ideje i pokret Svetozara Markovića [Le idee e il movimento di Svetozar Marković], Doktrina narodnjaštva teorijski okvir srpskog socijalizma [La dottrina del narodničestvo come cornice teorica del socialismo serbo] (Belgrado, 1985-1995), Planirana revolucija [Una rivoluzione prevista] (Belgrado-Zagabria, 1988), Zatvaranje kruga [La chiusura del cerchio] (Sarajevo, 1991), Srpsko-ruske revolucionarne veze [I legami rivoluzionari serbo-russi] (Belgrado, 1994), Nikola Pašić u Narodnoj skupštini [Nikola Pašić nell’Assemblea popolare] (Belgrado, 1997), Ljudi, događaji, knjige [Persone, eventi, libri] (Belgrado, 2000), Između anarhije i autokratije [Tra anarchia e autocrazia] (Belgrado, 2006), Zoran Đinđić - etika odgovornosti [Zoran Đinđić – l’etica della responsabilità] (Belgrado, 2006), Zoran Đinđić i srpsko društvo [Zoran Đinđić e la società serba] (Belgrado, 2013), Dominanta i neželjena elita [L’élite dominante e indesiderata] (Belgrado, 2015), Zatvaranje kruga, drugo izdanje [La chiusura del cerchio, seconda edizione] (Sarajevo, 2018), Ruske ideje i srpske replike [Le idee russe e le repliche serbe] (Sarajevo, 2019), Zemlja, ljudi, knjige [Terra, persone, libri] (Podgorica, 2020).
Ha curato ventun raccolte delle fonti storiche del XIX e XX secolo, con prefazioni molto approfondite, contenenti gli scritti di molti intellettuali, tra cui Pera Todorović, Nikola Pašić, Avram Petrović, Ivan Đurić, Olga Popović Obradović, Zoran Đinđić, Marko Nikezić, Bogdan Bogdanović, Ivan Stambolić. Ha scritto decine di articoli scientifici e recensioni, nonché alcune monografie storiografiche. Il suo opus accademico conta oltre trecento opere. Il suo interesse di ricerca era principalmente focalizzato sulla storia delle idee sociali in Serbia, le radici e la storia del pensiero socialista in Serbia, l’ideologia del narodničestvo russo e serbo, i legami rivoluzionari tra Serbia e Russia, i processi di modernizzazione in Serbia, la storia delle idee liberali in Serbia.
Dal 1993 al 1999 fu caporedattrice della rivista Tokovi istorije [Le vie della storia], edita dall’Istituto di storia contemporanea della Serbia, dove lavorò dal 1975 al 1999, nell’ultimo periodo ricoprendo la più alta carica accademica all’interno dell’istituto, quella di consulente scientifico. Sempre presso l’istituto belgradese avviò un progetto intitolato “La Serbia all’interno dei processi di modernizzazione del XIX e XX secolo”, curando anche quattro volumi dallo stesso titolo, pubblicati nel 1994, 1998, 2003 e 2006 come frutto delle ricerche pluriennali condotte nell’ambito di suddetto progetto. Recentemente ha curato anche un libro intitolato Jugoslavija: poglavlje 1980-1991. [La Jugoslavia, capitolo 1980-1991] (Belgrado, 2021).
Dal 1993 alla chiusura nel 1998, fu presidente del consiglio di Naša borba, il più rinomato quotidiano indipendente serbo negli anni Novanta. Durante le guerre degli anni Novanta fu tra i più ferventi critici del nazionalismo serbo e della politica bellica della Serbia, motivo per cui spesso fu vittima di campagne denigratorie condotte dai media. Per dieci anni, fin dalla sua fondazione, fu membro del Consiglio politico del Partito liberal-democratico, per poi prendere attivamente parte, negli ultimi tre anni della sua vita, alle attività del Consiglio del Forum democratico dei cittadini. Dopo la scomparsa dell’ex presidente della Serbia Ivan Stambolić nel 2000, fu membro del Consiglio per la liberazione di Ivan Stambolić. Fu direttrice della collana Koreni [Radici] della casa editrice CID di Podgorica, membro della redazione della rivista Helsinška povelja [Dichiarazione di Helsinki], presidente del consiglio del Comitato Helsinki per i diritti umani in Serbia, presidente del Consiglio per la commemorazione dell’eredità intellettuale di Radomir Konstantinović. Nel 2010 a Belgrado fu pubblicata una sua autobiografia del tutto peculiare, in forma di dialogo, intitolata Činjenice i tumačenja. Dva razgovora sa Latinkom Perović [Fatti e interpretazioni. Due conversazioni con Latinka Perović] (autrice Olivera Milosavljević).
Nel corso della sua vita Latinka Perović è stata insignita di numerosi riconoscimenti in Serbia e in altri paesi della regione per il suo impegno per i diritti umani, la cooperazione transnazionale e l’attivismo pacifista.
Secondo Latinka Perović, le radici della caduta nella barbarie, dei crimini e dell’odio non vanno ricercate nel carattere dei politici al potere, bensì nei problemi strutturali della società. “Non ho mai cercato di spiegare la Serbia prendendo Milošević come punto di riferimento, bensì viceversa”, diceva Latinka. Riteneva che la Serbia dovesse dedicarsi al proprio sviluppo e alla modernizzazione, abbandonando i progetti di uno stato panserbo e focalizzandosi sugli obiettivi realistici riguardanti il progresso dello stato e della società serba. Per Latinka, la promozione dello stato di diritto, della società civile, delle riforme liberali inspirate al modello occidentale e di una politica filo-europea rappresentano il più importante obiettivo umanistico da perseguire e una precondizione necessaria per salvare la Serbia dall’arretratezza. Il suo impegno per la cooperazione e il riconoscimento di tutte le identità presenti nella regione, così come la sua eccezionale lettura della problematica dell’uguaglianza tra i popoli, le sono valse una straordinaria stima di cui gode nell’intero spazio post-jugoslavo.
Tutti quelli che hanno conosciuto Latinka Perović la ricorderanno per le sue caratteristiche più distintive, ossia per l’etica professionale e la razionalità. Fino alla fine dei suoi giorni è stata guidata dal rigore scientifico, dall’etica della responsabilità nei confronti della storiografia, dalla dedizione al lavoro con colleghe e colleghi più giovani e da un profondo senso di responsabilità verso la società. Poche settimane prima della scomparsa ha concluso un lungo saggio su Krleža, pubblicato sul portale Peščanik, lasciando dietro di sé tre libri incompiuti. La sua eredità scientifica, intellettuale, sociale e politica rimarrà un punto di riferimento in una società che, Latinka ne era convinta, deve diventare plurale, un modello di integrità morale che, seppur fragile, riusciva comunque a sopravvivere perché una società che pretende di essere democratica deve coltivare le voci alternative. L’alternativa moderna, europea e umanistica – spiegava Latinka durante un recente incontro presso l’Istituto di filosofia e teoria sociale di Belgrado – di tanto in tanto subisce sconfitte, ma non si arrende e contribuisce in maniera decisiva alla pluralizzazione della società. All’indomani dell’incontro il portale Peščanik pubblicava un testo in cui si affermava che “c’era qualcosa di estremamente affascinante nell’ottimismo di Latinka Perović”. Parole che hanno rallegrato la grande intellettuale.