Momčilo Perišić all'Aja

Momčilo Perišić all'Aja

Dopo l’assoluzione in appello dell’ex capo di stato maggiore dell’esercito jugoslavo Momčilo Perišić presso il Tribunale dell’Aja, la domanda che rimbalza nell’opinione pubblica internazionale verte sul delicato processo di riconciliazione nella regione

01/03/2013 -  Luka ZanoniFrancesco Martino

Dopo Ante Gotovina, è il turno di Momčilo Perišić. La Corte d'Appello del Tribunale dell'Aja per i crimini nell'ex-Jugoslavia ha assolto ieri dalle accuse di crimini contro l'umanità e crimini di guerra l'ex capo di stato maggiore dell'esercito jugoslavo (dal 1993 al 1998), il più alto ufficiale di Belgrado ad essere imputato dal Tribunale.

Come nel caso Gotovina, in seconda istanza il Tribunale ha inaspettatamente rovesciato a maggioranza la sentenza di primo grado, che nel 2011 aveva giudicato Perišić colpevole, condannandolo a 27 anni di reclusione.

Al centro del procedimento contro il generale due capitoli principali. Da una parte il supporto fornito da Belgrado all'esercito della Republika Srpska durante il conflitto in Bosnia-Erzegovina, soprattutto in riferimento ai crimini commessi durante il lungo assedio di Sarajevo (1992-1996) e al genocidio messo in atto a Srebrenica (1995). Dall'altra la responsabilità diretta nel bombardamento di Zagabria, effettuato nel maggio del 1995 dall'esercito della Repubblica serba di Kraijna come misura di rappresaglia contro l'operazione “Oluja”.

Contrariamente a quanto stabilito in primo grado, la Corte d'Appello ha sentenziato (a maggioranza) che il supporto indubbiamente fornito dall'Esercito di Jugoslavia a quello della Republika srpska nel corso del conflitto, non può essere definito senza ombra di dubbio come “istigazione” all'esecuzione di crimini presi in esame, essendo invece diretta a sostenere l'esercito dei serbi di Bosnia “per i fini generali della guerra”.

Secondo il presidente della Corte Thedor Meron (lo stesso presidente della Corte che ha recentemente assolto Gotovina), gli eserciti jugoslavo e serbo-bosniaco erano posizionati in località differenti durante le operazioni militari, “e non esistono prove che Perišić fosse fisicamente presente quando i crimini oggetto di giudizio vennero pianificati o commessi”.

All'unanimità, la Corte ha poi stabilito che non è possibile provare un rapporto gerarchico o controllo operativo diretto tra lo Stato maggiore dell'esercito jugoslavo e l'esercito della autoproclamata Repubblica serba di Krajina. Secondo i giudici, quindi, Perišić non può essere ritenuto personalmente responsabile per i crimini connessi al bombardamento di Zagabria, né per la mancata punizione di chi si rese responsabile di quelle azioni criminose. Secondo la Corte, Perišić ordinò di fermare il bombardamento sulla capitale croata, ma i suoi ordini non vennero eseguiti da militari che, a giudizio della corte, non rispondevano direttamente a lui.

Su queste basi, il Tribunale dell'Aja ha quindi ordinato l'immediato rilascio di Perišić, che è atteso oggi a Belgrado, dove dovrebbe essere riportato da un aereo governativo.

A non essere per nulla sorpresa dalla sentenza di assoluzione di Perišić è Nataša Kandić, fondatrice del Centro per il Diritto umanitario con sede a Belgrado: “La 'sentenza Perišić' arriva come conseguenza diretta degli standard di giudizio utilizzati nel procedimento contro i generali croati Gotovina e Markač e, da questo punto di vista, era prevedibile”.

Secondo la Kandić, dal punto di vista procedurale “la sentenza risulta in accordo con il giudizio della Corte di giustizia internazionale nel caso della 'Bosnia Erzegovina contro Serbia', che stabiliva che la Serbia è responsabile non direttamente, per non aver impedito le politiche genocidarie.”

Secondo il Centro per il diritto umanitario, questo ovviamente non significa che la Serbia sia assolta in toto dalle responsabilità: “Le conclusioni del Tribunale, insieme alla decisione della CIG sulla responsabilità della Serbia nell'impedire e non sanzionare il genocidio di Srebrenica, rappresentano il legame della società serba e delle istituzioni della Serbia con i crimini commessi in Bosnia e Croazia e costituiscono il punto di partenza per comprendere le responsabilità morali di questi crimini”.

Il punto di vista prevalente a Belgrado è stato esplicitato dalle dichiarazioni del premier serbo Ivica Dačić:“Il giudizio dell'Aja è di enorme importanza per la Serbia e il popolo serbo, perché prova che il nostro paese non ha mai compiuto una campagna di aggressione militare contro Bosnia e Croazia”.

Che questo sia il significato profondo della sentenza emerge anche dalle dichiarazioni, di segno diametralmente opposto, arrivate a caldo dalla Bosnia. “Il proscioglimento di Momčilo Perišić dalle accuse di crimini contro l'umanità e crimini di guerra costituisce un'assoluzione alla Serbia per la propria partecipazione a quei crimini, e per i sopravvissuti rappresenta un insulto e una beffa”, ha dichiarato ieri Fadila Memišević, presidente dell'Associazione dei popoli minacciati per la Bosnia-Erzegovina.

“Com'è possibile che, dopo la condanna a 27 anni in prima istanza, il Tribunale dell'Aja oggi abbia assolto Perišić, mandandolo a casa da uomo libero? E' una cosa fuori da ogni possibile comprensione”, ha replicato, visibilmente scossa, Sabahete Fejzić, dell'Associazione delle madri di Srebrenica e Žepa.

Quello che viene a cadere, quindi, è il castello accusatorio che cercava responsabilità dirette dell'élite politica della Serbia/Jugoslavia, e del suo stato maggiore negli eventi criminosi accaduti in Bosnia-Erzegovina e Croazia.

Se dal punto di vista processuale questa argomentazione ha prevalso sul parere della Corte pronunciatasi in primo grado, resta il fatto che sentenze come quella di ieri (e come quella che recentemente ha assolto Gotovina e Markač) rischiano di affossare qualsiasi tentativo di riconciliazione regionale basata su un senso di giustizia condiviso.

Al contrario, anche grazie al tribunale dell’Aja, dalle parti viene invocata ancora una volta la “verità” storica (anzi, le tante verità storiche) che continuano a dividere i paesi passati attraverso il trauma del conflitto che disintegrò la Federazione jugoslava.

Questa sentenza avrà probabilmente l’effetto di “compensare”, in qualche misura, il senso di ingiustizia avvertito da larga parte dell’opinione pubblica serba seguito alle assoluzioni Gotovina e Markač.

Difficile tuttavia non riflettere su quanto dichiarato dallo stesso giudice Meron:“I successi [del Tribunale] hanno contribuito [...] a portare la pace e la riconciliazione nei Paesi dell'ex Jugoslavia [...] forgiando una nuova cultura internazionale di responsabilità”.

Dopo le ultime sentenze, appare sempre più difficile sostenere un’affermazione del genere.

 

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