Il comunista curdo Ecevit Piroğlu, da quasi tre anni detenuto illegalmente in Serbia, continua lo sciopero della fame nonostante la sua vita sia in pericolo. La richiesta dei suoi avvocati di ricoverarlo in ospedale è stata respinta. Piroğlu però resta irremovibile nella sua lotta per la libertà
(Originariamente pubblicato da Novosti , il 24 maggio 2024)
A metà marzo abbiamo scritto dell’agonia vissuta dal cittadino turco Ecevit Piroğlu, da anni ormai rinchiuso illegalmente nelle carceri serbe. Piroğlu è un curdo alevita che in passato aveva partecipato alle rivolte armate contro lo Stato Islamico, motivo per cui – come molti dei suoi connazionali ed esponenti della sinistra turca – è finito nel mirino del regime di Erdoğan.
La Turchia, paese membro della NATO, porta avanti una campagna di repressione particolarmente brutale nei confronti di tutti quelli che combattono il terrorismo islamista in Medio Oriente perché, come ormai ben noto, l’ISIS, essendo sorto tra le pieghe della NATO, ha sempre evitato di entrare in conflitto con gli alleati più fedeli degli Stati Uniti in Medio Oriente, ossia con la Turchia e Israele.
Nell’estate del 2021, dopo aver trascorso un periodo nella regione del Rojava, partecipando a lotte vittoriose [contro lo Stato Islamico], Piroğlu aveva deciso di partire per l’Europa. Tuttavia, era stato arrestato all’aeroporto di Belgrado sulla base di un mandato dell’Interpol, a cui ben presto era seguita la richiesta di estradizione in Turchia.
Nel precedente articolo abbiamo parlato del sistema carcerario turco. Volendo riassumere, l’estradizione in Turchia di un uomo di sinistra impegnato in politica, specialmente se di origine curda, significa un processo montato, torture, una lunga pena detentiva, a volte anche la morte.
Dopo l’arresto, un gruppo di attivisti di Belgrado aveva organizzato la difesa di Piroğlu, il quale aveva fatto lo sciopero della fame per 132 giorni, perdendo 60 chili. Era sull’orlo della morte, riuscendo però a sopravvivere.
L’anno scorso, a distanza di quasi due anni dall’arresto, la Corte d’appello di Belgrado ha respinto la richiesta di estradizione in Turchia per insufficienza di prove che dimostrino la partecipazione di Piroğlu a organizzazioni considerate terroristiche dalla Turchia e dall’UE. Allo stesso tempo però, in un processo montato, Piroğlu è stato condannato ad un anno di reclusione per possesso di un documento falso. Una volta scontata la pena, il regime serbo ha compiuto l’ennesima manovra, dimostrando di essere pronto a tutto pur di tenere l’attivista curdo dietro le sbarre.
Il ministero dell’Interno serbo ha infatti emesso due ordinanze bizzarre e contraddittorie. Il primo provvedimento obbligava Piroğlu a lasciare “immediatamente” il territorio serbo perché, secondo le misure di “prevenzione della criminalità e rafforzamento della pubblica sicurezza”, avrebbe rappresentato una minaccia. Piroğlu intendeva lasciare la Serbia, però non ci è riuscito perché con la seconda ordinanza, emessa contemporaneamente alla prima, è stato sottoposto a custodia cautelare nel cosiddetto centro di accoglienza di Padinska Skela, che altro non è che un lager per migranti.
Così il calvario giudiziario di Piroğlu ha assunto una connotazione fortemente ironica. La Serbia ha rinchiuso l’attivista curdo in una prigione situata nel territorio serbo e, al contempo, gli ha ordinato di lasciare quello stesso territorio il prima possibile. E questo dopo aver definitivamente respinto la richiesta di estradizione di Piroğlu e dopo averlo ingiustamente condannato ad un anno di reclusione.
Qualche settimana fa la detenzione di Piroğlu nel centro di Padinska Skela è stata prorogata. Il suo avvocato ha impugnato davanti al Tribunale amministrativo entrambe le ordinanze relative al trattenimento a Padinska Skela. Il primo processo è stato avviato a gennaio, il secondo ad aprile. Pur essendo obbligato, secondo la normativa vigente, ad esprimersi entro quindici giorni dal ricevimento dell’istanza, il Tribunale non ha ancora preso alcuna decisione.
La leadership serba ha adottato la strategia del silenzio, avendo chiaramente preso la decisione politica di lasciare Ecevit Piroğlu marcire in carcere. Questa decisione con ogni probabilità è conseguenza delle pressioni esercitate dalla Turchia o di una sorta di scambio politico in cui torturando un rivoluzionario curdo si ricambia un favore a Erdoğan. Anche Amnesty International ha denunciato il caso, eppure le autorità serbe continuano a tacere.
Nella trasmissione Osmatračnica, Ratibor Trivunac, anarcosindacalista e attivista di Belgrado che si batte per liberare Piroğlu, ha raccontato di come, su iniziativa dei deputati del Bundestag appartenenti al partito di Sahra Wagenknecht, l’ambasciatrice della Serbia a Berlino abbia contattato il ministero della Giustizia serbo, chiedendo chiarimenti sulla detenzione di Piroğlu. I colleghi di Belgrado le hanno risposto che il procedimento di estradizione è ancora in corso, dicendo quindi una bugia.
Dopo essere stato rinchiuso illegalmente a Padinska Skela, Ecevit Piroğlu ha avviato un altro sciopero della fame che dura ormai da tre mesi. Attualmente pesa 49 chili e il suo volto scavato mostra segni inquietanti di vita in carcere. Secondo i medici, scendendo sotto i 50 chili, il corpo inizia a nutrirsi di se stesso per poter funzionare, e il rischio di infarto aumenta in modo significativo.
In parole povere, Ecevit Piroğlu sta morendo. Dopo che la sua richiesta di essere ricoverato in ospedale è stata respinta per l’ennesima volta, Piroğlu ha inviato un messaggio all’opinione pubblica, che riportiamo integralmente qui di seguito.
“Cari compagni e amici, nonostante tutte le vie legali [a cui ho fatto ricorso] e le decisioni dei tribunali conformi alla Costituzione, il governo serbo continua a tenermi imprigionato illegalmente. Sono trascorsi quasi tre anni da quando sono stato incarcerato. La prossima settimana arriverò a cento giorni di sciopero della fame e resto irremovibile nella mia resistenza. La leadership serba, sotto pressioni del governo fascista dell’AKP, continua a tenermi prigioniero, violando la costituzione del proprio paese.
Siate certi che continuerò a combattere al fianco della classe operaia e del proletariato di tutto il mondo, e per il movimento di liberazione in Turchia e Kurdistan, traendo forza dall’eredità della resistenza di Bedrettin, Spartaco, Adalı, Mazlum e Ulaş Bayraktaroğlu. Non spezzeranno mai il mio spirito, la libertà è la mia unica opzione. Rifiuto categoricamente qualsiasi forma di alimentazione forzata. Il mio corpo è dedito alla lotta per la libertà. Traggo forza dall’esperienza di chi nel corso della storia ha combattuto per la libertà, dai rivoluzionari e dai proletari socialisti. Siano sicuri: da comunista curdo, sconfiggerò questa oppressione, tirannia e illegalità, e il governo serbo ne sarà testimone.
Grazie per la vostra solidarietà. La mia salute potrebbe peggiorare la prossima settimana. Vi mando i miei saluti rivoluzionari”.
[Lunedì 27 maggio, grazie all’intervento della Corte europea dei diritti dell’uomo, Piroğlu è stato finalmente trasferito in ospedale . I suoi avvocati però denunciano il fatto di non poter assistere a visite mediche, mettendo in discussione la veridicità dei risultati degli esami forniti dall’ospedale perché in netto contrasto con le reali condizioni di Piroğlu. ndt]
Questo agghiacciante caso di detenzione e lenta uccisione di un uomo innocente è avvolto dal buio mediatico. Oltre alla trasmissione Osmatračnica (un programma indipendente, ideato e condotto da attivisti), gli unici a parlare di Piroğlu sono il settimanale Novosti e il portale Peščanik, dove del caso di Piroğlu si è occupata la giurista Vesna Rakić Vodinelić. I media mainstream sono rimasti sordi agli appelli a dare spazio alla vicenda.
Non essendo riusciti a rimuovere Piroğlu con metodi legali, adesso lo opprimono con la forza, su cui lo stato detiene il monopolio. Qualcuno ha evidentemente pensato che l’imprigionamento, se non addirittura la morte di Piroğlu, potrebbe giovare alle élite al potere, sia in termini di facili punti politici sul piano della politica estera sia sotto forma di profitto economico diretto. I manifestanti pacifici che nelle ultime settimane sono stati arrestati in diverse parti d’Europa e del mondo sono prova del fatto che nel 2024 non bisogna essere combattenti armati per diventare bersaglio di violenza di stato. Oggi il bersaglio è Ecevit Piroğlu. Chi sarà il prossimo?