Le elezioni in Kosovo del 23 ottobre prossimo dividono la Belgrado ufficiale, da un lato il premier e dall'altro il presidente della Repubblica. Nel frattempo si è tenuta nella capitale serba una tavola rotonda con l'intento di analizzare la situazione della provincia
Nonostante manchino poco più di due settimane alle elezioni in Kosovo, fissate per il 23 ottobre, la situazione circa la partecipazione dei Serbi si complica sempre più, minacciando di influenzare seriamente la ancora instabile situazione politica in Serbia.
D'altra parte la decisione che bisogna prendere non è poi così facile, tendendo presente le numerose pressioni internazionali, ma anche l'ulteriore manifestazione di mancanza di unità tra le fila della Belgrado ufficiale e dei rappresentanti delle comunità del Kosovo.
I leader dei Serbi del Kosovo hanno, ancora una volta, rivolto lo sguardo verso i più alti rappresentanti del governo di Belgrado, aspettandosi che si giungesse ad una posizione unanime di fronte a questa, molto importante, questione statale. Tuttavia, sembra che anche questa volta non ci sarà una conclusione ad una voce sola, così che alle elezioni non ci sarà una chiara visione su quale dei due punti di vista ascolteranno i Serbi del Kosovo, ossia se decideranno di boicottare queste elezioni oppure no.
I due punti di vista dominanti e alla base differenti sono stati avanzati da parte degli attori principali dai quali ci si attende la decisione sulla questione delle elezioni. Per primo, la maggioranza dei cittadini crede che i Serbi non debbano partecipare alle elezioni, perché non godono delle condizioni di base, poi perché dalle violenze di marzo contro gli appartenenti delle comunità serbe e non albanesi non è cambiato nulla riguardo la loro posizione. Questo punto di vista è stato assunto e appoggiato dalla maggior parte di rappresentanti delle comunità serbe del Kosovo, ma anche dalla maggior parte dei rappresentanti del potere di Belgrado. In aggiunta, il premier del governo serbo, Vojislav Koštunica, ha dichiarato di non avere diritto a chiamare i Serbi alle elezioni del 23 ottobre alle condizioni in cui non gli si può garantire nemmeno il diritto alla vita. Inoltre, sulla comunità serba è piuttosto influente la Chiesa Ortodossa e i suoi capi hanno detto inequivocabilmente che non esistono nemmeno le condizioni minime per far sì che i Serbi vadano a votare, col che hanno praticamente invitato gli elettori del Kosovo a boicottare le elezioni di ottobre.
Dall'altra parte, in un confronto diretto coi cittadini, il presidente della Repubblica della Serbia, Boris Tadić, ha dichiarato che il boicottaggio non è una soluzione, poi che la Serbia si trova di fronte ad un dilemma che va risolto, e che consiste nella scelta fra una vita normale e lo sviluppo da un lato, e la stagnazione dall'altro. Tuttavia, il presidente della Serbia ha invitato i Serbi del Kosovo ad andare alle elezioni fissate alle condizioni delle comunità internazionale, che riguardano soprattutto l'offerta di garanzie minime per i Serbi. In questo senso, Tadić ha richiesto l'introduzione di poteri locali serbi internazionalmente riconosciuti nei luoghi in cui vivono i Serbi, il che significa che la polizia, la magistratura, la sanità e l'istruzione dovrebbero essere nelle mani dei Serbi e ciò al più tardi entro tre mesi dalla introduzione delle istituzioni kosovare. Nel caso in cui ciò non dovesse accadere, il presidente della Serbia inviterebbe i deputati serbi ad abbandonare le istituzioni temporanee e con ciò a dimostrare l'insoddisfazione del ruolo di cui gode la comunità serba in Kosovo. Questo punto di vista è stato appoggiato anche dal ministro degli esteri della Serbia e Montenegro, Vuk Drašković e da un ristretto numero di leader del Kosovo.
I motivi di fondo che si adducono per il boicottaggio delle elezioni si fondano quasi tutti sulle seguenti argomentazioni: la partecipazione dei Serbi dà la legittimità alle istituzioni che concordano sulla indipendenza del Kosovo; non sono giunte le garanzie scritte dalla comunità internazionale sul fatto che i Serbi avranno l'autonomia. Inoltre, è stata espressa una grande insoddisfazione sull'operato della comunità internazionale negli scorsi cinque anni, ed in particolare si afferma che non esistono le condizioni fondamentali di sicurezza per una vita normale dei Serbi e degli altri non albanesi, poi che non è possibile il rientro delle persone sfollate. Inoltre l'esperienza ha dimostrato che fino ad ora la partecipazione dei Serbi al lavoro delle istituzioni kosovare non ha dato alcun risultato e che non sono migliorate le loro condizioni di vita.
Dall'altra parte, i sostenitori della partecipazione alle elezioni affermano che i Serbi otterrebbero con ciò i propri legittimi rappresentanti nelle istituzioni, cosa che è di cruciale importanza in vista dei colloqui sulla soluzione definitiva dello status del Kosovo. Senza rappresentanti eletti nelle istituzioni, i Serbi rimarranno al di fuori dei principali avvenimenti politici, cosa che renderebbe più debole la voce di Belgrado, ma anche dei leader dei Serbi del Kosovo. Come possibile conseguenza del boicottaggio delle elezioni c'è anche la riduzione degli aiuti finanziari alla Serbia, ed anche lo scoppio di una nuova crisi politica a Belgrado. Oltretutto, i rappresentanti del Partito radicale serbo hanno già annunciato una iniziativa per la destituzione del presidente Boris Tadić, dopo il suo appello a non boicottare le elezioni.
Tuttavia, di fronte ai punti di vista espressi si è attesa la posizione ufficiale del governo della Serbia, che dopo lunghi colloqui e consultazioni ha formulato la raccomandazione che non sono state create nemmeno le condizioni minime per la partecipazione alle elezioni. Tra l'opinione pubblica serba in questi giorni si è sentito dire che il governo è l'unica istanza con la competenza per formulare la decisione finale, è questo potere gli è conferito dal piano sulla decentralizzazione proposto proprio da parte del governo. La confusione riguardo queste questioni, quindi prosegue, ma il suo epilogo si può aspettare solo il giorno delle votazioni. È noto che una lista serba, Iniziativa civica della Serbia (GIS), parteciperà alle elezioni di ottobre, mentre gli altri partiti politici e i movimenti prenderanno una decisione dopo che il governo serbo avrà chiarito la sua posizione nei prossimi giorni.
Dall'altra parte, la comunità internazionale, la quale nei giorni scorsi ha esercitato un'attiva pressione sui funzionari di Belgrado, ha accolto con favore l'invito del presidente Tadić e lo ha considerato come un segnale positivo di Belgrado. Però, il premier kosovaro Bajram Rexepi ha valutato sì il messaggio come positivo, ma considera che le richieste del presidente della Serbia siano totalmente irreali, avanzando l'opinione che la maggioranza albanese non accetterà le suddette richieste, col che si conferma ancora una volta che la società kosovara è lontana dalla riconciliazione e dalla integrazione, ossia che è ancora sostanzialmente divisa.
La valutazione della situazione degli avvenimenti attuali cinque anni dopo l'avvento della presenza militare e civile internazionale in Kosovo è stato il tema di una tavola rotonda durata un giorno e tenutasi a Belgrado la scorsa settimana. La conferenza ha avuto come obiettivo raccogliere i rappresentanti della Belgrado ufficiale, i leader serbi del Kosovo, i rappresentanti della comunità internazionale e gli esperti locali e internazionali, con l'intento di analizzare la situazione e di lanciare dei messaggi per il futuro comportamento degli attori principali della crisi kosovara.
Una conferenza simile si è tenuta a Pristina a luglio e si è occupata innanzitutto della esperienza e della realizzazione della collaborazione con la comunità internazionale, degli Albanesi del Kosovo e delle istituzioni temporanee dell'autonomia. Tenendo presente che le due conferenze si sono occupate delle specifiche esperienze da un lato solo, è in progetto l'organizzazione di una tavola rotonda comune che avrà un più alto carattere regionale e con la quale si potrà discutere sulle indicazioni e sulle posizioni comuni.
Quando è in questione l'esperienza dei rappresentanti della comunità serba del Kosovo, si è valutato che la presenza internazionale è riuscita nella introduzione delle situazioni di macro-sicurezza, ossia è stato impedito che la guerra si diffondesse all'intera regione, però si è completamente accantonato il piano di micro-sicurezza e la creazione delle condizioni per una vita sicura di tutti i cittadini del Kosovo.
La situazione sul posto mostra chiaramente che non si è fatto molto riguardo la normalizzazione e la integrazione dei Serbi nei corsi della vita normale, ossia che il grado di criminalizzazione della società è considerevolmente alto, e che la comunità internazionale non fa abbastanza per scacciare gli estremismi. Inoltre, dopo il quinquennale governo dell'ONU, l'economia è bloccata e lo standard di vita è peggiorato. I Serbi rimangono tuttora fuori dai corsi economici e di lavoro, perché non esistono le condizioni per l'accoglienza nei posti di lavoro.
Una delle osservazioni di fondo che i Serbi del Kosovo rivolgono alla comunità internazionale è che nei loro confronti e nei confronti dei funzionari di Belgrado si esercita una politica di continue pressioni, e che in cambio non si danno alcune garanzie, né si lavora al miglioramento della loro sicurezza e della normalizzazione della vita. Ciò può essere visto molto bene dagli accadimenti di marzo, e come contributo a questa tesi si aggiunge pure il fatto che i Serbi cacciati non sono ancora tornati alle proprie abitazioni, nonostante le forti assicurazioni della comunità internazionale sul fatto che il ritorno sarebbe stato una delle priorità. Oltretutto, nonostante i Serbi abbiano accettato nel 2001 di partecipare alle elezioni, non gli è stato possibile lavorare tranquillamente nelle istituzioni kosovare, così che pensano che non sia necessario ripetere l'errore e dare legittimità al nuovo governo kosovaro.
Nella discussione è emerso che in Kosovo esistono due realtà: quella serba e quella albanese. Mentre tutti gli Albanesi sono rientrati e le loro case sono state ricostruite, cosa che è del tutto positiva, le violenze contro i Serbi continuano e non vengono garantite le condizioni per un tranquillo e sostenibile ritorno e per una vita normale. Continua ancora una eccezionale intolleranza fra le due comunità che è stata incitata dai crimini commessi al tempo di Milošević , come pure le violenze armate degli Albanesi contro i Serbi con l'arrivo della KFOR. Il grado di violenze intra-etniche è alto, e la paura di nuove violenze da parte degli Albanesi è un elemento della quotidianità dei Serbi.
La maggior parte dei partecipanti ha sollevato il problema della minaccia dei diritti umani fondamentali, e soprattutto quello alla vita, la sicurezza e la libertà di movimento, assunti come motivi principali per la non partecipazione alle elezioni kosovare.
Sulla valutazione delle vie, dei canali e degli ambiti della futura collaborazione tra Belgrado e la comunità internazionale, alla tavola rotonda è stato espresso che si deve oltrepassare il cosiddetto modello Milošević un tempo accettato, ma che si deve pure modificare la posizione negativa della comunità internazionale e dell'opinione pubblica nei confronti della Serbia e dei Serbi. Come uno degli ostacoli di base per l'avvicinamento della Serbia alla comunità internazionale e le sue istituzioni si è fatto cenno agli impegni accumulati e non rispettati nei confronti del tribunale internazionale per i crimini di guerra e si è affermato che la responsabilità per i crimini di guerra va confermata sia da parte serba che da quella albanese.
La soluzione per la crisi del Kosovo, ma anche del futuro status deve essere cercata all'interno del quadro regionale dei Balcani occidentali. Attraverso una stretta collaborazione regionale possono essere raggiunti numerosi effetti positivi e creati i meccanismi che rappresenterebbero gli standard e la garanzia sia dello status che della continuazione delle relazioni normali, non solo in Kosovo ma in tutta quanta la regione.
Come messaggio più significativo emerso durante l'incontro, i partecipanti hanno avanzato la necessità che tra i politici serbi e presso l'opinione pubblica ci sia un consenso e che si esprima un'unica strategia per il Kosovo, in modo che si possa essere più preparati nell'attesa dei colloqui sullo status del Kosovo, annunciati per il prossimo anno.
Tuttavia, dopo i più recenti avvenimenti e la crisi collegata alle elezioni sembra che un tale scenario sia impossibile, perché i Serbi del Kosovo sono ancora una volta condotti in una situazione in cui una sortita non uniforme renderà ulteriormente difficile la loro posizione, ed anche la vita in Kosovo.