Alla tornata elettorale del 16 marzo scorso Aleksandar Vućić e il suo SNS hanno conquistato la maggioranza assoluta dei seggi in parlamento. Un potere assoluto che spaventa alcuni e che non sarà facile da gestire con successo. La nostra analisi
Il partito progressista serbo (SNS) di Aleksandar Vučić otterrà nel nuovo parlamento uscito dalle recenti elezioni quasi i due terzi dei seggi e quindi un dominio assoluto sulla scena politica serba. E quindi anche la totale responsabilità su tutto quello che accadrà nei prossimi quattro anni, cioè fino alla fine del mandato. L’opposizione è stata letteralmente “spazzata via” dalla scena politica e nei prossimi anni rischia di essere ulteriormente marginalizzata.
L’SNS alle elezioni politiche anticipate del 16 marzo scorso ha ottenuto 158 seggi sui 250 totali del parlamento serbo. La seconda forza politica sarà il Partito socialista della Serbia (SPS) del premier uscente Ivica Dačić, che ha ottenuto 44 seggi. Questo significa che i due partiti che hanno governato la Serbia negli ultimi due anni avranno più di 200 seggi.
I partiti che 14 anni fa hanno fatto crollare il regime di Slobodan Milošević, richiamandosi ad una più rapida euro-integrazione, sono ridotti ad alcuni piccoli gruppi che né individualmente né insieme possono mettere seriamente in difficoltà Vučić e l’SNS. Il Partito democratico (DS), per anni la principale forza politica della Serbia post Milošević, avrà solo 19 seggi, mentre il Nuovo partito democratico (NDS), sorto dalla rottura del DS alla vigilia delle elezioni, ne avrà 18. Tutti gli altri partiti sono rimasti sotto il quorum di sbarramento del 5 percento e pertanto non entreranno in parlamento.
Data la situazione la Serbia resterà priva di un adeguato controllo parlamentare sul potere esecutivo. Perché anche se qualche partito fino ad ora all'opposizione decidesse di far parte della compagine governativa, dovrà sicuramente seguire l’orientamento del SNS, il quale ha un numero sufficiente di deputati per poter impugnare qualsiasi decisione del governo o attivare qualsiasi procedura di cambiamento in seno all’esecutivo.
Il governo
Vučić ha detto che il nuovo governo sarà formato entro il 1° maggio e che all’opposizione verrà offerta una condivisione del potere. L’idea di includere una fetta dell’opposizione è fondata sulla necessità di mantenere la divisione attuale all’interno dell’opposizione anche per i prossimi anni. Perché è sicuro che il nuovo governo dovrà compiere anche mosse impopolari, che lo renderanno più vulnerabile. Se il governo dovesse essere formato da un solo partito ci sarebbe il rischio che gli altri partiti si organizzino e si coalizzino.
Ad ogni modo, pare che si aprirà una sorta di “casting” per uno o due partiti che andranno al governo. È logico aspettarsi che l’SNS chiami il partner con cui ha governato fino a ieri, cioè l’SPS. Se dovesse invece decidere di formare una coalizione con anche un altro partito, la scelta potrebbe cadere sull’NDS, sapendo che durante la campagna elettorale il leader del partito ed ex presidente della Repubblica, Boris Tadić, aveva fatto sapere che potrebbe collaborare con l’SNS. In questo caso all’opposizione resterebbe solo un debole DS guidato da Dragan Đilas.
Tra l'altro anche se dovesse ricevere un esplicito invito per entrare nel governo, Đilas non potrà accettarlo, perché in campagna elettorale ha promesso che non entrerà mai in una coalizione con l’SNS. Davanti a Đilas e al suo partito, d’altra parte, si profila un periodo molto difficile dovuto alla catastrofica sconfitta elettorale. Il DS ora deve cercare di definire una nuova politica che sappia catturare l’attenzione della fascia più istruita della classe media, un elettorato che negli ultimi venti anni gli è stato tradizionalmente fedele.
Populismo
I simpatizzanti dei partiti di opposizione ritengono che l’esito elettorale sia la sconfitta della Serbia civile, un passo indietro ed il ritorno al populismo che ha caratterizzato il regime di Milošević. Ma Vučić e l’SNS non hanno motivo di temere queste accuse, dal momento che è chiaro che, finché manterranno lo stesso corso politico degli ultimi due anni di governo, avranno il sostegno di Bruxelles e di Washington.
Negli scorsi due anni è grazie a Vučić che si è spinto verso l’euro-integrazione, con la correzione della politica verso il Kosovo, la firma dell’accordo di Bruxelles e quindi l’avvio dei negoziati di adesione all’Unione europea. In pratica, quindi, ha fatto molto di più di tutti i suoi predecessori, e questo conta in ambito internazionale.
Nella sua prima uscita in pubblico dopo la vittoria elettorale Vučić ha annunciato che la Serbia resta saldamente sul percorso europeo e che rispetterà l’Accordo di Bruxelles. Vučić ha fatto così sapere che, a dispetto delle resistenze interne, continuerà la strada verso la normalizzazione delle relazioni con Pristina. Ovviamente non ci si deve attendere il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo, ma un avanzamento nei rapporti è inevitabile.
Vučić e l’SNS anche prima delle elezioni hanno mostrato di non avere alcuna intenzione di ritornare alla politica di Milošević. Per esempio, il Capo di stato maggiore dell’Esercito serbo Ljubiša Diković due giorni prima delle elezioni aveva annunciato la possibilità di riportare il servizio di leva obbligatorio, il che significherebbe l’abbandono dell’esercito di professionisti. Il ministero della Difesa ha reagito immediatamente e in modo risoluto comunicando che non vi sarà alcun cambiamento al riguardo.
Questo dettaglio solo apparentemente marginale dimostra che Vučić e l’SNS ben comprendono l’importanza della riforma del sistema di difesa, condotto dopo la caduta di Milošević con il forte sostegno della NATO e che a tal riguardo non desiderano alcun cambiamento. Non c’è da aspettarsi l’ingresso nella NATO, perché la maggioranza della popolazione continua ad essere fortemente contraria, ma è chiaro che non verrà di certo adottata una politica anti-NATO.
Riforme
Nonostante il fatto che sia ben accolto sulla scena internazionale e che l’opposizione non è in grado di intaccare il suo potere, Vučić è in una posizione che non può certo essere definita comoda. Sapendo che ha un controllo assoluto del potere, Bruxelles e Washington si aspettano da lui una soluzione rapida e decisiva dei problemi legati all’applicazione pratica dell’Accordo di Bruxelles, mentre gli elettori che lo hanno votato si aspettano un veloce miglioramento della situazione sociale.
Per quanto riguarda l’applicazione dell’Accordo di Bruxelles non ci saranno problemi, dal momento che nessun partito dichiaratamente nazionalista ha superato lo sbarramento del 5% alle elezioni, e così l’idea di troncare i negoziati con Bruxelles e Pristina non avrà alcun sostegno in parlamento. Il miglioramento della situazione economica e sociale, invece, è un compito molto più arduo per il quale probabilmente l’SNS e il suo leader non sono sufficientemente preparati.
Il problema cruciale è che le istituzioni e lo stato di diritto sono marginalizzati, e tutto il potere è nelle mani di un partito e dei suoi vertici. Vučić negli ultimi due anni, e in particolare durante la campagna elettorale, si è costruito un’immagine di politico energico dal quale tutto dipende.
Gli elettori si aspettano da lui, e non dalle istituzioni, un miglioramento e un cambiamento della società e dell’economia. Questo però può far aumentare la vanità personale, ma nella realizzazione delle riforme non è di grande vantaggio.
L’SNS ha vinto con una campagna elettorale brutale, durante la quale gli oppositori politici sono stati accusati di corruzione e criminalità, nonché di essere stretti alleati dei magnati serbi. Questo è stato possibile grazie al totale controllo sui media, i quali lo hanno rappresentato sempre ed esclusivamente in positivo, mentre hanno rappresentato l’opposizione sempre al negativo.
Gli elettori hanno assistito a imponenti promesse elettorali, ma non a piani concreti per migliorare l’economia. Gli è stato promesso il pagamento regolare della pensione, il mantenimento dei posti di lavoro nel settore pubblico e la sicurezza sociale, ma al contempo anche riforme sostanziali. Le riforme, però, non ci sono senza tagli draconiani, in particolare nel settore pubblico. E proprio gli impiegati di questo settore compongono la maggior parte dell’elettorato del partito di governo. L’SNS dovrà agire con molta cautela.