L'imporsi del nazionalismo in Serbia a partire dagli ultimi anni della Jugoslavia è stato accompagnato dal costante tentativo di rivalutare il movimento cetnico e il suo leader Draža Mihailović. Non deve quindi sorprendere che il sindaco di Belgrado abbia proposto di erigergli un monumento
(Originariamente pubblicato da Radar , il 2 ottobre 2024)
Dragoljub Draža Mihailović era un criminale di guerra. Dragoljub Draža Mihailović era un collaborazionista. Dragoljub Draža Mihailović era un traditore. Questi sono fatti storici, comprovati da centinaia di documenti, testimonianze e contributi scientifici pubblicati in Serbia e all’estero. Questa è la verità storica e non va messa in discussione.
Lo stesso vale per l’Esercito jugoslavo in patria, ossia per i ravnogorci o cetnici, chiamateli come volete. Centinaia e centinaia di documenti, testimonianze e studi scientifici hanno ormai confermato da che parte stavano, chi era il loro nemico e qual era il loro progetto politico. Tutto questo è disponibile pubblicamente, gli archivi sono aperti, molti materiali sono stati pubblicati anche in formato digitale.
Argomentazioni inconfutabili
La storia ingloriosa del movimento cetnico e del suo comandante Draža Mihailović nei libri scolastici potrebbe essere spiegata con parole molto semplici.
Se ne avessi l’occasione, scriverei: “L’Esercito jugoslavo in patria, i cui membri sono conosciuti come ravnogorci o cetnici, guidato dal colonnello Dragoljub Mihailović, fu un’organizzazione militare, filomonarchica e nazionalista fondata dopo la sconfitta dell’esercito del Regno di Jugoslavia con l’intento di portare avanti la lotta contro le forze di occupazione. Ben presto però il suo carattere, fondato sull’idea di liberazione, fu soppiantato dal collaborazionismo opportunista con le potenze dell’Asse: già nell’autunno del 1941, temendo che i comunisti potessero rappresentare una minaccia maggiore degli occupanti stessi, i cetnici scelsero di combattere contro il movimento partigiano antifascista, guidato dal Partito comunista della Jugoslavia. A tale scopo, siglarono diversi patti di collaborazione attiva con le forze tedesche, italiane e ustascia, nonché con il governo di Milan Nedić, giustiziando i partigiani e i loro simpatizzanti arrestati nelle operazioni speciali o nelle stragi come quella compiuta nel villaggio di Vranić, nei pressi di Belgrado. Allo stesso tempo, i cetnici costruirono un’ideologia nazionalista radicale che sfociò in atti di pulizia etnica e massacri di massa, perlopiù ai danni della popolazione musulmana del Sangiaccato e della Bosnia Erzegovina. Nel settembre del 1944, respinte dai partigiani, ossia dall’Esercito di liberazione popolare, le truppe cetniche indietreggiarono insieme agli altri collaborazionisti serbi, proteggendo l’esercito tedesco in ritirata. Sempre a settembre, messo sotto pressione dagli alleati americani e britannici a causa della costante collaborazione con i nemici, il re Petar II [Karađorđević] ritirò ogni sostegno a Dragoljub Mihailović e riconobbe Josip Broz Tito come l’unico legittimo leader della lotta di liberazione, invitando tutti i combattenti a mettersi sotto il suo comando”.
Molto chiaro e semplice, tutto basato su documenti, testimonianze e studi scientifici di cui sopra. Allora com’è possibile che nel 2024 si parli dei cetnici come di eroi, antifascisti e patrioti? Com’è possibile che le giovani generazioni crescano con la convinzione che [i cetnici] siano un esempio positivo, un modello per la Serbia e per il popolo serbo? Com’è possibile che in Serbia e in Republika Srpska ci siano strade e monumenti dedicati ai cetnici? Com’è possibile che il sindaco di Belgrado possa proporre la costruzione di un monumento a Dragoljub Mihailović nel centro di Belgrado?
La storia non è molto complicata. L’ideologia cetnica, al pari di tante altre ideologie nazionaliste, ma anche fasciste, sopravvisse alla Seconda guerra mondiale. Gli esponenti di spicco di questa ideologia emigrarono all’estero, continuando a coltivare il culto delle forze filomonarchiche e anticomuniste. Inoltre, nutrivano la speranza di poter ritornare e fondare quella Grande Serbia che molti sognavano anche prima della Seconda guerra mondiale e che i cetnici tentarono di creare pur non avendo un proprio stato. Alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso se ne presentò l’occasione.
Dal profondo della crisi economica, politica e sociale della Repubblica socialista federale di Jugoslavia divamparono i nazionalismi e, come sempre accade in queste situazioni, le élite li sfruttarono per raggiungere i propri obiettivi. Alle prime elezioni multipartitiche in Serbia si presentarono alcuni partiti che si rifacevano apertamente all’esperienza cetnica e all’attività di Dragoljub Mihailović. Durante la guerra in Croazia e in Bosnia Erzegovina questo nazionalismo riprese da dove i cetnici erano stati costretti a fermarsi nel 1945 (sì: è chiaro che il nazionalismo croato fece lo stesso e che la responsabilità della guerra non ricade solo sul nazionalismo serbo).
Quell’intero decennio fu segnato dal nazionalismo: i socialisti al potere lo sfruttarono anche in maniera assai opportunistica, mentre per l’opposizione fu uno dei principali argomenti a cui attingere nel processo di rovesciamento del regime di Slobodan Milošević. Fu allora che iniziò la radicale revisione della storia che demonizzava la Jugoslavia socialista, il comunismo e Tito, e glorificava la Serbia, il monarchismo, i cetnici e Draža. Con la vittoria alle elezioni presidenziali e parlamentari del 2000, il nazionalismo completò la conquista dello spazio politico, ma anche di quello pubblico. Così il nazionalismo conquistò lo stato, e con esso il potere. Da quel momento in poi la revisione della storia venne istituzionalizzata: furono cambiati i libri di testo, le leggi, i nomi delle strade. I cetnici furono riabilitati. Si iniziò a cercare la salma di Dragoljub Mihailović. Furono eretti monumenti ai voivodi cetnici. Ben presto prese slancio la costruzione politica di una nuova storia.
L'arduo lavoro degli storici
Tuttavia, per portare a termine questo processo, era necessario ottenere forti prove della veridicità della sua natura. Furono proprio gli storici a fornire queste prove con un arduo lavoro che molti di loro vissero come la missione della propria vita privata e professionale. Il problema è che la passione che investirono in quell’impresa gettò un’ombra su tutto quello che avevano imparato durante gli studi. Nella moltitudine delle pubblicazioni prodotte dai nuovi storici allo scopo di giustificare la riabilitazione politica dei cetnici e di Draža Mihailović, anziché oggetto di analisi, la storia divenne un cassetto in cui bisognava trovare un qualche indizio che avrebbe potuto confermare un’ipotesi prestabilita.
In realtà, questi storici hanno sempre fatto e continuano a fare quello che uno storico non dovrebbe mai fare, cioè cercare solo quelle prove che possano confermare un’ipotesi di ricerca iniziale, ignorando tutte le prove che la smentiscono. Ecco perché Draža è un eroe: perché questi storici individuano ed estrapolano ciò che a loro conviene, tacendo deliberatamente il resto. E naturalmente, come i bambini piccoli, ripetono con insistenza le proprie bugie. Draža è il primo guerrigliero in Europa, Draža è un antifascista, Draža è un leader riconosciuto anche all’estero, Draža è una brava persona. Palesi bugie che questi storici possono ripetere fino alla nausea solo in questo paese (e in Republika Srpska) dove la politica e la storia ballano un valzer romantico, mentre la responsabilità e la scienza affondano in un naufragio totale del sistema di valori e di professionalità.
Ci sono due possibili spiegazioni: o questi storici sono molto limitati oppure condividono la politica nazionalista che promuovono e che aveva promosso il loro eroe Draža Mihailović. Anche se sarebbe molto confortante se la prima risposta fosse corretta, purtroppo è nella seconda risposta che con ogni probabilità sta il coniglio. Guardando gli atteggiamenti di questi storici nei confronti delle guerre degli anni Novanta, prevale la glorificazione dell’”eroe” generale Ratko Mladić, o meglio della reincarnazione di Dragoljub Mihailović, come se, anziché di un criminale condannato per genocidio, si trattasse di un liberatore e patriota.
Date queste premesse, è chiaro che quanto sta accadendo oggi, compresa la proposta di erigere un monumento a Draža Mihailović, non deve sorprendere. Quello a cui assistiamo è solo l’ennesimo atto di un processo di normalizzazione dell’ideologia cetnica che dura da trent’anni ormai e in cui gli storici hanno una responsabilità enorme: con le loro azioni politiche, e non scientifiche, hanno massacrato la storiografia serba. Hanno sfigurato la dea Clio, musa e protettrice della storia, trasformando la storia in una narrazione da tabloid che non rispetta né la metodologia né le regole deontologiche della professione. Questi storici sicuramente faranno a gara a scrivere la dedica per la targa che verrà collocata – presumo – accanto al futuro monumento a Draža. Il mio consiglio è di scegliere una delle sue frasi famose. Forse questa: “Nel Sangiaccato abbiamo liquidato tutti i turchi nei villaggi, tralasciando solo le piccole città” (il dispaccio di Draža Mihailović del 18 febbraio 1943).