Bandiera croata e bandiera serba dipinte  una accanto all'altra su un muro fessurato  (©danielo/Shutterstock)

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La partecipazione di Boris Milošević, vicepremier croato e rappresentante della minoranza serba, al 25° anniversario di Oluja è un evento di particolare importanza perché segna un cambiamento della politica dei serbi di Croazia e la presa di distanza da Belgrado

11/08/2020 -  Dragan Janjić Belgrado

Slobodan Milošević, il cui nome è associato alla dissoluzione dell’ex Jugoslavia e ai sanguinosi conflitti armati, per puro caso ha lo stesso cognome dell’attuale vicepremier croato e rappresentante della minoranza serba Boris Milošević, il cui nome, per come stanno le cose adesso, potrebbe essere associato all’apertura di un nuovo capitolo nelle relazioni tra Serbia e Croazia.

La decisione di Boris Milošević di partecipare alla commemorazione del 25° anniversario dell’operazione militare “Oluja” (Tempesta), che nel 1995 portò all’esodo forzato di circa 200mila serbi dalla Croazia, nel lungo termine inciderà sui rapporti tra Serbia e Croazia e, probabilmente, anche sulla situazione complessiva nella regione.

L’evento centrale della celebrazione dell’anniversario dell’operazione Tempesta si è tenuto nella città di Knin, che prima della guerra era abitata prevalentemente da serbi, per poi diventare, durante la guerra, sede dell’autoproclamata Repubblica serba di Krajina, all’epoca a maggioranza serba. Durante l’offensiva delle forze croate, avviata nel 1995, praticamente l’intera popolazione serba della Krajina fu costretta a fuggire dalle proprie case.

Il fatto che l’intera vicenda ormai da anni venga celebrata, con una serie di manifestazioni organizzate dalle autorità croate, come un grande successo della politica e della potenza militare croata, per i serbi – non solo per i nazionalisti radicali, ma anche per le persone che nutrono un moderato sentimento nazionale – rappresenta una rievocazione piuttosto dolorosa del passato. Si tratta, quindi, di ferite che ogni anno provocano l’acuirsi delle tensioni, e questo rende ancora più straordinario il gesto di Boris Milošević, soprattutto tenendo conto del fatto che alcuni dei suoi più stretti familiari furono uccisi durante l’operazione Tempesta.

La partecipazione di Milošević alle celebrazioni a Knin rappresenta un evento politico di primaria importanza, che lascia presagire un cambio di rotta nella politica della minoranza serba in Croazia e una parziale presa di distanza [dei leader politici dei serbi di Croazia] dalle posizioni e azioni delle autorità di Belgrado, ma anche dalle organizzazioni dei serbi di Croazia che durante la guerra fuggirono in Serbia e vi rimasero anche dopo la conclusione del conflitto.

La decisione di Milošević di recarsi a Knin è il segno di un possibile allontanamento dei serbi rimasti in Croazia da una narrazione imperniata su una (presunta) campagna condotta dalle autorità croate contro una popolazione serba indifesa, e della loro prontezza di cercare un punto d’appoggio più forte nel governo di Zagabria. Questo, ovviamente, non piace alle autorità di Belgrado, che hanno lanciato una campagna ben orchestrata contro Milorad Pupovac e Boris Milošević.

La posizione di Pupovac

Il principale partito dei serbi di Croazia (Partito democratico indipendente serbo, SDSS), guidato da Milorad Pupovac, si è dimostrato pronto a iniziare ad adeguarsi in modo pragmatico alla realtà politica, ritenendo che i serbi di Croazia non possano aspettare “tempi migliori” e debbano risolvere i problemi con cui si confrontano.

Nel corso di un recente duello televisivo, andato in onda sulla Radio televisione della Serbia (RTS, il servizio pubblico), Pupovac ha criticato apertamente e duramente il ministro degli Esteri serbo Ivica Dačić, il quale ha condannato la decisione di Boris Milošević, membro della dirigenza dell’SDSS, di partecipare alla celebrazione dell’anniversario dell’operazione Tempesta a Knin. Durante il duello tv è emersa una delle più grandi divergenze di opinioni politiche tra Belgrado e i serbi di Croazia degli ultimi decenni.

Pupovac ha accusato apertamente le autorità di Belgrado di essersi comportate in modo irresponsabile durante gli anni Novanta, all’inizio della guerra in Croazia. Ha affermato che anche durante la guerra aveva messo in guardia dal fatto che le conseguenze delle “politiche allora perseguite” dalla leadership di Belgrado sarebbero cadute sulle spalle dei serbi di Croazia. “Ora alcuni vorrebbero che [queste conseguenze] cadessero sulle spalle di Boris Milošević. Le persone che all’epoca erano responsabili della politica serba potevano fare qualcosa per evitare che accadesse l’esodo, per far approvare i piani, a lungo preparati, che avrebbero consentito ai serbi di ottenere un’autonomia all’interno della Croazia, un’idea per la quale la parte croata non aveva mostrato alcuna comprensione, ma non capisco perché la parte serba non l’avesse fatto”, ha dichiarato Pupovac.

Le critiche espresse da Pupovac si riferivano al regime di Slobodan Milošević, che a partire dalla fine degli anni Novanta aveva il pieno controllo delle vicende politiche ed economiche dei serbi di Croazia, ma anche di quelli che vivevano in altre ex repubbliche jugoslave. All’inizio degli anni Novanta, dopo la proclamazione dell’indipendenza della Croazia, il regime di Milošević aveva fortemente incoraggiato la rivolta armata dei serbi di Croazia, ma non aveva fornito loro un adeguato sostegno militare nel 1995, quando le forze croate avevano intrapreso una campagna militare di cui l’operazione Tempesta fu l’atto finale.

Controllo

I media controllati dalla leadership di Belgrado hanno duramente attaccato Boris Milošević, sostenendo che il suo comportamento nuoce all’”unità dei serbi”. Il presidente serbo Aleksandar Vučić ha in parte mitigato queste critiche, affermando che Milošević, prima di recarsi a Knin, avrebbe dovuto consultarsi con Belgrado, ma non ha esplicitamente condannato o attaccato Milošević né tanto meno ha preso le distanze dalla politica condotta da Belgrado negli anni Novanta.

È poco probabile che la campagna condotta dai media serbi contro Pupovac e Milošević e la posizione del presidente Vučić spingano i serbi di Croazia a rinunciare alla nuova linea politica. Perché all’inizio degli anni Novanta i serbi di Croazia avevano ascoltato ed esaudito, praticamente senza riserve, le richieste di Belgrado, poi nel 1995 la maggior parte di loro fu costretta a lasciare le proprie case davanti all’offensiva delle forze croate.

Nonostante la grave sconfitta militare e politica subita dalla Serbia negli anni Novanta, i partiti di orientamento nazionalista, che dominano la scena politica serba, continuano a insistere sul fatto che i serbi di Croazia devono rimanere inflessibili. Vučić dipende dal consenso dei nazionalisti, motivo per cui non li critica mai, scagliandosi invece contro i serbi di Croazia. Ma la situazione in Croazia è cambiata. La leadership di Belgrado non ha alcun controllo “sul campo”, cioè sulla vicende dei serbi di Croazia, a differenza della situazione in Kosovo, per cui non può imporre loro le proprie posizioni né tanto meno può incidere sulla politica croata.

In queste circostanze, Bruxelles e Washington possono aiutare i serbi di Croazia più di chiunque altro, e la strada verso Bruxelles e Washington passa per Zagabria, e non per Belgrado.

È chiaro, quindi, che le esperienze vissute 25 anni fa sono troppo dolorose per permettere che la storia si ripeta e che i leader dei serbi di Croazia ricomincino a prendere decisioni appoggiandosi fortemente a Belgrado. Bisogna, inoltre, tenere a mente il fatto, piuttosto bizzarro, che negli Novanta Vučić e Dačić erano alti funzionari dei partiti che avevano fortemente appoggiato la politica bellica di Slobodan Milošević, assumendo un atteggiamento radicale nei confronti della Croazia. Quindi, quelle stesse persone e i loro stretti collaboratori ancora oggi pretendono di decidere delle vicende politiche, economiche e militari e invitano i serbi di Croazia all’obbedienza, oppure li accusano di condiscendenza nei confronti del governo di Zagabria. Questo atteggiamento della leadership serba è uno dei motivi per cui Milorad Pupovac e Boris Milošević si oppongono fortemente alle critiche provenienti da Belgrado.