Il nuovo romanzo della poetessa e scrittrice serba Jelena Lengold, pubblicato recentemente da Voland edizioni, è strutturato in tre parti che corrispondono temporalmente alle tre fasi della vita della protagonista: infanzia, giovinezza ed età matura
“Nulla vi prepara a quanto rapidamente passi la vita. Attraversate correndo i giorni, convinti per molto tempo che qualcosa di importantissimo stia per arrivare. E che il peso che portate con voi debba scomparire, a un certo punto lungo la via: si scioglierà, proprio come i cumuli fangosi di neve sul marciapiede, appena giunge il primo sole di marzo. Dimenticherete e vi lascerete alle spalle la pesante nuvola di stanchezza che vi sopraffà da decenni. Svaniranno i rumori che colmano la camera appena cala il buio e si riversano sopra di voi nell’inutilità della vostra casa, che dovrebbe essere, non è forse vero?, il vostro riflesso. Qui però intorno a voi ci sono solo bigliettini e appunti, vi seguono attraverso la vita come creature devote e senza essere di alcun aiuto. La tazza del tè rimane lì dove l’avete lasciata. Il mucchio della posta cresce e tutto ciò che potete fare è temere che un giorno crolli sopra di voi. Vivete in una casa talmente muta e morta da farvi già uscire di senno. Restate in ascolto del respiro asmatico dei tubi nelle pareti, dei gemiti del parquet sotto ai piedi. […] Tutti se ne sono andati da tempo da quella casa, ma senza chiudersi la porta alle spalle. Sprecate gli anni pensando di accostarvi a quella porta. Rovistate tra cocci e frammenti perché non avete nulla di meglio da fare, anche se convincete tutti gli altri di sapere cosa state facendo. Alla fine, diventate archeologi dei resti che avete trovato nella mente, tutto ciò che si è conservato dopo l’esplosione. [...]”
Dopo Il mago della fiera (Zandonai, 2013), la raccolta di racconti per la quale all’autrice era stato assegnato il Premio dell’Unione Europea per la Letteratura nel 2011, arriva in Italia La resa (originale Odustajanje, Arhipelag 2018), un nuovo libro della poetessa e scrittrice serba Jelena Lengold, pubblicato da Voland edizioni nella traduzione di Elisa Copetti e a cura di Alice Parmeggiani.
È un romanzo che sin dall’avvio attira e coinvolge il lettore per la sua insolita e sorprendente storia, per lo stile asciutto, incisivo, poetico, per le immagini tratteggiate con la giusta misura, quasi col contagocce, in un crescendo drammatico di eventi narrati dalla stessa protagonista. La struttura è composta da tre parti che corrispondono temporalmente alle tre fasi della sua vita: infanzia, giovinezza ed età matura. Una voce narrante malinconica ed estraniata, che tuttavia spiazza e intriga per il carico emotivo che porta con sé, trascina il lettore in un susseguirsi di episodi che pur senza eccessi di pathos segnano drammaticamente il proprio percorso esistenziale.
“Non potevo sapere, ovviamente, che i voti di silenzio che stringiamo con qualcuno sono simili a stanze poco illuminate. Tutto quello che ci porteremo dentro, in qualsiasi momento della vita, rimarrà nell’ombra e nella semioscurità. Toccheremo quegli oggetti, per comprenderne fino in fondo la forma, cercheremo con le dita il punto in cui entra la chiave della cassettiera, dove la penna si posa sulla scrivania, forse impareremo a memoria il moto di ogni cosa nel suo mondo piccolo, inerme, ma non oseremo mai farci entrare la luce, arieggiare, togliere la polvere degli angoli. Nella promessa si rimane come su un treno incantato, che corre incessantemente e non si ferma mai da nessuna parte. Attraverso qualsiasi luogo si passi, da allora e per sempre, vedremo solo stazioni abbandonate, dove da tempo nessuno aspetta più.” (pag. 32)
In un angolo nascosto della sua anima, in un luogo poco illuminato e frequentato, dove si annidano le parole fallaci o mai pronunciate e tristemente si perpetuano storie inverosimili, trova il suo nascondiglio il segreto destinato a segnare la sua intera vita. Il peso che esso ha diventa sempre più insostenibile e rischia di schiacciare la sua esile, talvolta finta esistenza – poco visibile in un mondo di apparenze –, in una realtà che si intreccia con i sogni, conducendola a un passo da un’estrema fuga: da se stessa, dalla famiglia, dalla propria solitudine. E proprio in quel passo surreale, a metà tra il metaforico e l’onirico, lei scopre la libertà per sopravvivere a un passato ingombrante.
È una bambina-ragazza-donna senza nome. Vive in una città anch’essa senza nome, in una famiglia infelice, nella quale scopre i tradimenti e l’alcolismo del padre, affronta la malattia e la morte precoce della madre, la difficile rottura e la ferita mai rimarginata con l’unico fratello, e la prematura fine di una vita normale. Un’infanzia che poteva essere serena, e che a tratti lo è anche stata: i bagni nel fiume, le corse matte in bicicletta, le avventure con il fratello, le rane gracchianti, le stelle tremolanti, le pannocchie gialle, i dolci profumati usciti dalla calda cucina della madre e il suo vestito verde a fiori con sopra il grembiule, un sorriso incoraggiante: questo mondo viene improvvisamente travolto da eventi drammatici che lo modificano per sempre. Tutto scompare, la scena cambia: per un attimo si abbassano gli sguardi, calano le luci e dietro le quinte si sente vibrare un subbuglio di emozioni, voci, respiri. Si intravede un pozzo nel giardino dietro la casa, si riconosce un rumore familiare e cupo che pian piano si propaga, acquisisce nuove tonalità, per diventare infine un silenzio assordante. Si formano crepe che si allargano inesorabilmente con gli anni e diventano secche e profonde, sul fondo di un quadro tinteggiato di rosso fiammeggiante e, in seguito, a un altro quadro dai colori sempre più sbiaditi, ma ancora pericolosamente vivi.
In una grande città, illuminata da tante luci, all’ombra delle quali si nascondono la sua stessa presenza e la sua quotidianità regolare, monotona, la giovane donna si dona e al contempo si nega agli altri, non sente, non spiega, non torna. Di tanto in tanto evade, si perde in spazi entro i quali nessuno la può vedere e dove però lei incontra un uomo misterioso con un impermeabile grigio: sembra che lui sappia tutto di lei, che conosca la sua storia. È una finzione o è una persona in carne e ossa? Le colline dove si danno appuntamento sono alle spalle della città oppure esistono soltanto nei suoi sogni pulsanti di inquietudine? La casa in cui lui vive, mai chiusa a chiave, piena di quadri nei quali si rispecchia la vita di lei, schizzano i colori della sua immaginazione e si riverberano in bianco e nero i ricordi dell’infanzia – è una casa di mattoni o un rifugio della sua mente?
Dove non arriva lei a fare i conti con il passato, giunge il suo alter-ego, la sua anima perduta nei meandri di un passato che non l’ha mai abbandonata. La protagonista si rassegna al suo destino, a ribellarsi è un’altra lei che le vive dentro e la porta fuori, spingendola delicatamente, ma con una forza invisibile e irreversibile, verso quelle zone in cui non vuole entrare, dove risiedono le domande alle quali deve rispondere, dove attendono i segreti la cui ombra minaccia di oscurare il suo cielo, il suo orizzonte. Lei tende le mani, alla ricerca di un tempo perduto, ma soprattutto anelando dolorosamente alla libertà e volendosi affrancare proprio da quello che sa, che non sa e che non vuole sapere, da ciò che porta dentro di sé e che non ha mai voluto portare. Con una voce diventata roca vuole gridare tutta la verità, tutto il dolore, per infrangere il voto di silenzio che è stata obbligata a sottoscrivere.
Immagini forti ma tinteggiate con delicatezza, con sprazzi di liricità nella realistica e quasi distaccata descrizione delle emozioni, trasmettono un dolore inspiegabile fino all’ultimo atto, quando prevale un sentimento di rivincita. Quasi un respiro di sollievo per il lettore, nel momento in cui lei entra in quella casa, in quella stanza grande e assolata, dalla quale una cascata di luce improvvisamente “colma di pace i suoi occhi”.