Con l’inizio del nuovo anno la Serbia ha assunto al presidenza dell’Osce. Quali le sfide e quali le opportunità dal ricoprire quest'importante ruolo internazionale? Un’analisi
La Serbia ha assunto la presidenza dell’Osce in un momento in cui la sua posizione a livello internazionale è molto vulnerabile e questo le potrebbe rendere difficile adempiere ai compiti previsti da quest'incarico. La crisi ucraina - che sicuramente è uno dei problemi principali di cui dovrà occuparsi l’Osce nei prossimi anni - getta nell’agone le relazioni tra Bruxelles e Washington da una parte e Mosca dall’altra. Obiettivo della Serbia è di cercare di imporsi come mediatore nella soluzione della crisi e aumentare così la propria reputazione internazionale, ma le possibilità che riesca a farlo sono decisamente basse.
La Serbia aveva lanciato, assieme alla Svizzera, l'ipotesi di una candidatura congiunta per la presidenza di due anni dell’Osce. Lo ha fatto nel 2011, durante l’incontro ministeriale Osce tenutosi a Vilnius, in Lituania. All’epoca al potere c’era la coalizione guidata dal Partito democratico (DS) e il presidente della Serbia era Boris Tadić. La valutazione di allora delle autorità serbe fu che la presidenza dell’Osce avrebbe portato alla Serbia un’invidiabile affermazione internazionale e un’influenza su alcune questioni di politica internazionale a cui era interessata.
Con la “doppia” presidenza insieme con la Svizzera, alla Serbia è stato sottratta però l’influenza sulla situazione regionale dei Balcani occidentali, cosa che interessava parecchio a Belgrado. L’accordo a cui si è arrivati infatti è che le questioni relative ai Balcani occidentali sarebbero state affrontate prevalentemente dalla Svizzera. Nel momento in cui Serbia e Svizzera hanno ricevuto l’ok per la presidenza (febbraio 2012) non vi era alcun sentore dello scoppio della crisi in Ucraina, la stessa che nell’ultimo anno ha poi di fatto sconvolto le relazioni internazionali.
In questi mesi è emerso però che l’Osce, benché da anni faccia i conti con il problema del suo funzionamento interno, è forse l’unico meccanismo internazionale che ha mostrato una qualche efficienza nella crisi ucraina. Pertanto la Serbia si trova ora a capo di un’organizzazione dalla quale ci si aspetta molto dal punto di vista del contenimento del conflitto ucraino. Aspettative che i funzionari serbi in colloqui non ufficiali giudicano un “spaventose” per la Serbia e la sua diplomazia.
Posizione internazionale
Obiettivamente la Serbia non è e non può essere un attore importante nel grande gioco politico che si sta facendo attorno all’Ucraina. Anche se suona bene che si dichiari ufficialmente come un paese che desidera egualmente buone relazioni sia con l’Est che con l’Occidente, in pratica ciò non significa nulla perché le relazioni sulla mappa geopolitica di questa parte di mondo sono cambiate in modo drammatico e richiedono che la Serbia scelga da che parte stare. Belgrado, inoltre, deve tenere presente il fatto che l’importanza geopolitica della Serbia di oggi non è lontanamente paragonabile a quella significativa avuta negli ultimi cento anni.
La Serbia desidera diventare membro dell’Unione europea, e pertanto ci si aspetta che, oltre ad attenersi strettamente ai principi dell’Osce, assumendone la presidenza tenga anche presente la politica estera di Bruxelles. L’Ue guarderà alla presidenza dell’Osce come ad un’occasione per la Serbia di ribadire la sua fedeltà all’idea europea e sostenere l’inaccettabilità di modificare i confini con la violenza. In queste circostanze Belgrado probabilmente non riuscirà a essere più flessibile di quanto sia stata finora nelle relazioni con la Russia, in particolare in merito alle sue azioni in Ucraina.
Al contrario dell’Ue, la Russia si aspetta che l’unico suo potenziale alleato politico ad ovest dell’Ucraina dimostri comprensione tanto per l’invasione della Crimea che per le richieste avanzate dai ribelli nell’Ucraina orientale. È necessaria un’enorme abilità politica e diplomatica per far sì che in tali circostanze si tiri fuori dalla presidenza dell’Osce un qualche importante vantaggio politico. La Serbia sarà sicuramente in grado di offrire buoni servizi di mediazione, cercando con attenzione di non “innervosire” nessuno dei principali attori della crisi, ma questo non basta a trovare soluzioni alla crisi e ad una presidenza di successo.
A ben guardare la presidenza annuale dell’Osce potrebbe essere una prova decisiva per la Serbia che considera ufficialmente il suo ingresso nell’Ue come obiettivo primario della sua politica estera. Belgrado può sfruttare quest’anno di presidenza per decidere definitivamente da che parte stare tra Mosca da un lato e Bruxelles e Washington dall’altro, ma può anche proseguire nei tentativi di ondeggiare fra i due versanti, con l’obiettivo di rimandare una presa di posizione con la scusante che questo atteggiamento si "adatterebbe" al mandato di presidenza.
Antagonismi
Inoltre gli antagonismi e le incomprensioni sulle questioni cruciali che determinano la posizione internazionale del paese - tra cui la questione del Kosovo - non sono stati risolti nemmeno all’interno del partito di governo, figurarsi se si può parlare di un vero e sincero consenso da parte di tutti i partiti politici sulla linea da intraprendere.
Il popolo serbo preferisce diventare povero piuttosto che perdere il Kosovo, ha dichiarato alla vigilia del nuovo anno il presidente della Serbia Tomislav Nikolić. Quest’ultimo è il fondatore del Partito progressista serbo (SNS) a capo del quale ora siede il premier Aleksandar Vučić. La dichiarazione di cui sopra non è che una che delle tante espresse negli ultimi tempi e a seguito delle quali Vučić, che insiste sull’agenda europea, si è trovato in grande imbarazzo. Questo tipo di comportamento di Nikolić è gradito a Mosca che sostiene che il Kosovo è parte della Serbia e così facendo cerca di mantenere un’influenza sulla politica e l’opinione pubblica della Serbia.
Nikolić inoltre ha più volte sottolineato che Bruxelles, come condizione per l’ingresso della Serbia nell’Ue, chiede il riconoscimento dell’indipendenza kosovara. Tutto ciò costringe Vučić a dichiarare in modo definitivo se è per l’Ue o per il Kosovo, cosa che il premier non si azzarda a fare in pubblico, temendo di perdere consenso tra gli elettori di orientamento nazionalista. Nikolić, che si sente marginalizzato da Vučić, cerca invece di rinforzare la sua posizione sulla scena politica serba. Dicendo di lottare per il Kosovo a costo della povertà, Nikolić tenta di attrarre quella parte di nazionalisti che ora stanno con Vučić.
Tutto è quindi collegato: l’Ucraina, il Kosovo, la presidenza dell’Osce e i rapporti all’interno della politica serba. La nuova presidenza dell’Osce deve impedire alla Russia di immischiarsi nelle faccende interne dell’Ucraina; la Russia appoggia quella parte di politica e di opinione pubblica che chiede una posizione più ferma sul Kosovo e in cambio si aspetta un decisivo sostegno sui suoi obiettivi in Ucraina; Vučić per ora non riesce a “smussare” gli antagonismi all’interno della politica serba; Bruxelles ha chiarito la sua posizione e si aspetta che la Serbia la segua.
Per Vučić è una sorta di trappola politica dalla quale potrebbe uscire solo se osservasse in modo pragmatico il problema che ha di fronte. Ma il pragmatismo politico in Serbia è necessariamente legato all’aumento del rischio di perdere il potere, quindi la domanda su come si svilupperanno le cose resta del tutto aperta.