Bujanovac © Aleksandar Tasic/Shutterstock

Bujanovac © Aleksandar Tasic/Shutterstock

I comuni di Preševo, Bujanovac e Medveđa, sud della Serbia - abitati in maggioranza da albanesi - sono da anni argomento retorico cruciale nei negoziati tra Serbia e Kosovo. Nonostante i proclami però le divisioni tra le due comunità, quella serba e quella albanese, restano e l'unica cosa che sembra accomunarle è la povertà

20/09/2021 -  Dejan Kožul

(Articolo pubblicato originariamente da Kosovo 2.0 il 16 agosto 2021, tit. orig. "The forgotten valley")

Gli abitanti di questa parte della Serbia sudorientale - i comuni di Bujanovac, Preševo ​​e Medveđa - non sono d'accordo sul nome di questa piccola regione. Alcuni la chiamano la "Valle di Preševo", altri la chiamano "Distretto di Pčinja", una designazione che non comprende Medveđa. Tuttavia, tutti sono d'accordo su un termine, “la valle della fame”, che descrive un'area profondamente divisa su tutti i fronti, tranne che per la povertà economica.

Sia gli albanesi che i serbi, e altri che vivono nella parte della Serbia al confine con il Kosovo e la Macedonia del Nord, concordano sul fatto che lì non c'è futuro, mentre il presente dipende dalla diaspora. Cioè sui fondi che coloro che sono partiti mandano a casa alle loro famiglie e su quello che la diaspora spende quando tornano per le vacanze.

Gli abitanti della valle hanno percepito sulla propria pelle la piena dipendenza dalla diaspora quando i confini sono stati chiusi a causa della pandemia. Tuttavia, né l'isolamento né la paura delle malattie sono stati sufficienti a riunire comunità che vivono - e muoiono di fame - insieme.

La divisione è evidente nei bar, per strada, nelle scuole e sui media. Il divario è così intenso che le persone non esitano a dire che vivono l'una accanto all'altra, ma non l'una con l'altra.

Una vita del genere significa che, nonostante siano letteralmente vicini, i giovani serbi e albanesi hanno in gran parte rinunciato a parlare le lingue degli altri; la maggior parte si affida invece all'inglese per comunicare attraverso le linee etniche. È quasi impossibile trovare serbi che parlino albanese e sempre più raro trovare albanesi che parlino serbo, soprattutto tra i giovani, che frequentano scuole separate. 

Ciò che è comune a entrambi, tuttavia, sono i sogni. Entrambi i gruppi sognano di continuare la loro vita lontano dalla valle.

E allo stesso tempo, è come se i politici di entrambe la parti ignorino tutto ciò.

Promesse e progetti, solo su carta

Prima che il regime dei visti per la Serbia fosse revocato, questo paese era tra i primi quattro in termini di richiedenti asilo nell'UE, subito dietro l'Afghanistan, la Russia e l'Iraq. Per lo più, si trattava di persone del sud della Serbia, ivi compresi i comuni di Preševo, Bujanovac e Medveđa.

Secondo le statistiche esistenti - purtroppo parziali - in questa parte della Serbia vivono meno di 70.000 persone. La maggior parte sono albanesi ma, ribadiamo, non esistono dati precisi sul numero di abitanti né sulla composizione etnica della popolazione. L'ultimo censimento - boicottato dagli albanesi - si è tenuto nel 2011. Una delle ragioni del boicottaggio risiede nel fatto che secondo i leader politici locali il precedente censimento, risalente al 2002, non aveva dato risultati affidabili e di conseguenza non rifletteva l'effettiva composizione etnica della popolazione che vi abita.

Poiché non si sa quante persone vivono in questa zona, è difficile dire quante se ne siano andate negli ultimi anni. Tuttavia, per le strade si nota una scarsa presenza di persone.

D'altra parte, le ragioni per andarsene abbondano. Uno degli aspetti principali che da molti anni affligge gli abitanti di tutti i comuni di questa parte della Serbia è la disoccupazione, che - in tutto il paese - è addirittura cresciuta durante la pandemia. Ma ancora una volta, non ci sono dati affidabili sul tasso di disoccupazione.

Mentre il governo di Belgrado sostiene che non sta accadendo nulla di drammatico nel campo della disoccupazione in quella parte della Serbia, il settore delle ONG è molto critico. Ardita Sinani, sindaco di Preševo, sostiene che il tasso di disoccupazione nel suo comune si aggira intorno al 70%.

Per decenni gli abitanti dei tre comuni hanno sentito promesse sul fatto che la situazione sarebbe migliorata. Vedono i politici firmare un accordo dopo l'altro, un piano dopo l'altro, ma le loro vite rimangono sempre le stesse.

Negli ultimi 20 anni sono stati firmati numerosi accordi. Il primo risale al 2000, quando è stato istituito l'Organo di Coordinamento del Governo della Serbia per i tre comuni, la cui sede principale è a Belgrado, con uffici a Preševo ​​e Bujanovac. Come affermato sul sito web dell'istituzione, l'obiettivo fondamentale è lavorare su questioni di istruzione, temi sociali, sviluppo economico e rafforzamento della società civile. L’ente è attivo ancora oggi, ma dalle fonti ufficiali è difficile individuare le attività che attualmente svolge.

L'Accordo di Končulj, firmato nel 2001, ha posto poi fine ai conflitti che si sono propagati dal Kosovo, con i rappresentanti politici degli albanesi locali, della Serbia e del Kosovo impegnati nella smilitarizzazione.

Nello stesso anno è stato firmato il “Piano e programma per la risoluzione della crisi nei comuni di Bujanovac, Preševo ​​e Medveđa”. È anche conosciuto come “Piano Čović”, riferendosi a Nebojša Čović, in passato vice primo ministro e a capo dell'Organismo di Coordinamento per il sud della Serbia. Il piano includeva una clausola sull'"integrazione degli albanesi". Il termine per l'attuazione del Piano è scaduto nel 2004.

Un altro accordo seguì nel 2009. Chiamato "Accordo sui principi per la ricostruzione dell'Organismo di Coordinamento per i comuni di Preševo, Bujanovac e Medveđa", questo accordo faceva riferimento al primo e avrebbe dovuto creare le condizioni per consentire a tutte le comunità di "esprimere, preservare e sviluppare le loro identità” e di essere stata una garanzia per “coinvolgere la comunità albanese nelle istituzioni statali”. Anche in questo caso, poco è stato fatto per attuare quanto concordato, mentre le condizioni indicate nell'accordo non sono ancora state raggiunte.

Nel giugno 2013, il governo della Serbia, guidato dal Partito progressista serbo di Aleksandar Vučić, ha adottato il "Piano in sette punti", che ricalcava fondamentalmente i precedenti accordi. 

Aiuto esterno

Ragmi Mustafa, presidente del Consiglio nazionale albanese (ANC), afferma che gli albanesi della valle nutrivano grandi speranze nelle garanzie della comunità internazionale per il raggiungimento dei loro diritti, ma ritiene che in realtà sia arrivato poco aiuto. Mustafa afferma che la Serbia non ha alcuna volontà politica di cambiare la situazione sul campo in questa parte del paese - e che ciò si riflette nella legislazione esistente.

“Il governo della Serbia non mostra alcuna volontà politica o disponibilità a integrare gli albanesi della Valle di Preševo, così come nessuna seria riforma dei quadri costituzionali e legali che migliorerebbero lo status delle minoranze in Serbia, in particolare quello degli albanesi”, ha affermato Mustafa.

I rappresentanti albanesi al governo hanno cercato di apportare modifiche al quadro giuridico. Uno di loro, Shaip Kamberi, presidente del gruppo parlamentare United Valley-SDA nel parlamento serbo e principale rappresentante degli albanesi che vivono in Serbia, ha deciso di parlare quest'anno, come egli stesso dice, della necessaria riforma del diritto costituzionale e del quadro giuridico, collegandoli alle richieste dell'UE in materia di riforma giudiziaria.

Le reazioni di Belgrado sono state negative, e presto si è ritrovato nel mirino dei media filo-governativi e dello stesso presidente Aleksandar Vučić, che ha descritto Kamberi come un sostenitore di un "Kosovo indipendente" e della secessione della Valle di Preševo. "Pensa anche che la Serbia sarebbe migliore senza Preševo, Bujanovac e Medveđa, una Serbia senza Kosovo", ha dichiarato Vučić, descrivendo Kamberi.

Kamberi ha negato ciò sulla sua pagina Facebook personale. Ha scritto che "non ha problemi con i serbi", ma che non è d'accordo con le politiche di Vučić, aggiungendo che è devoto a una Serbia democratica.

Parlando con K2.0, Kamberi ha affermato che la sua intenzione era quella di "accorciare le procedure per cambiare la Costituzione".

Kamberi e altri leader politici albanesi della valle si aspettano che lo status di questa parte della Serbia sia legato alle fasi finali del dialogo tra Kosovo e Serbia che è in corso dal 2011 sotto gli auspici dell'UE.

Mustafa vede la definizione dello status di questa parte della Serbia come "garanzia di una pace duratura". Tuttavia, sottolinea che è chiaro a tutti che le posizioni delle due parti sono diametralmente opposte.

Ljiljana Stojanović, direttrice editoriale di Jugpress.com, un'agenzia fondata dall'ONG Centro per la democrazia e lo sviluppo del sud della Serbia, è categorica nell'affermare che un accordo è necessario, ma che non si può parlare di scambio di territori, di cui a volte si discute in pubblico.

“Dare e prendere territori stranieri è proibito, e questo è un dato di fatto”, ha affermato Stojanović, sottolineando una posizione che recentemente è stata sostenuta anche dai rappresentanti della comunità internazionale.

L'accordo in cui tutti sperano

In tutti questi accordi e le trattative, dichiara Stojanović, nessuno spazio è stato dato ai reali interessi o bisogni delle persone. Non dimentica l'esistenza dell'Organismo di Coordinamento, ma dice che le loro attività non sono visibili sul terreno.

"Se qualcuno vuole davvero che quei comuni facciano parte della Serbia, allora deve parlare con la gente", ha sottolineato Stojanović. “Questo è il primo passo importante. Per questo è stato istituito l'Organismo di Coordinamento, ma è come se non esistesse perché è praticamente invisibile sul terreno”.

La giornalista afferma che l'attuale atteggiamento di Belgrado è quello di "spingere consapevolmente la valle sotto la giurisdizione di Pristina". A prova di ciò Stojanović menziona la mancanza di aiuti forniti a questa regione in seguito alle inondazioni dell'estate 2020 e del gennaio 2021.

“Se la capitale, dove ha sede il governo della Serbia, non mostra alcun interesse, né invia aiuti alle aree alluvionate di Bujanovac e nel frattempo arrivano aiuti dal Kosovo e dall'Albania, cosa si sta facendo?" si chiede Stojanović.

Sia Pristina che Tirana hanno inviato aiuti nella valle, per un importo di oltre 100.000 euro. Belgrado invece ha deciso di destinare fondi attraverso l'Organismo di coordinamento solo alle singole famiglie - 130 famiglie hanno chiesto e ricevuto fondi - per un importo massimo di 1.000 euro ciascuna.

Tuttavia, Kamberi sostiene che anche Pristina sia “restia” nell'offrire aiuto a questa regione, aggiungendo che non basta agire in “situazioni ad hoc”, riferendosi alle alluvioni. È categorico nel chiedere che gli albanesi in questa parte della Serbia chiedano che venga istituito un programma a Pristina a beneficio dell'area.

Perché l'aiuto sia più tangibile, ripetono, occorre trovare un accordo tra Belgrado e Pristina.

"Il nuovo inizio dei negoziati non sembra promettente, ma la gente nel sud della Serbia non perde la speranza", ha detto Kamberi, avvertendo che ci sono poche speranze che si raggiunga una soluzione prima delle elezioni previste per il prossimo anno.

L'unica cosa su cui tutti coloro i quali hanno parlato con K2.0 nella valle sono d'accordo è che la popolazione è ostaggio delle relazioni tra Serbia e Kosovo.

Ljiljana Stojanović osserva che negli ultimi anni non si è parlato di comunità diverse che vivono insieme, anche se legate dagli stessi problemi. Invece, Stojanović sottolinea che il discorso pubblico è impregnato di paura dell’altro, "il che porta all'idea che non è molto consigliabile parlare con persone di una comunità diversa o essere visto con loro".

"Le persone di entrambe le comunità reagiscono in modo identico, hanno gli stessi problemi: come faranno a sopravvivere? Come faranno i loro figli a rimanere nel luogo dove sono nati?", chiarisce.

Recinzioni e accampamenti

In questa terra di confine - che per molte persone del posto sembra una terra di nessuno - le autorità con sede a Belgrado, con il sostegno dell'UE, hanno aperto nel 2016 campi per migranti che percorrono la rotta balcanica.

Oltre ai campi, è nel comune di Preševo, precisamente nel villaggio di Miratovac, al confine con la Macedonia del Nord, che si è iniziato ad erigere una recinzione per impedire ai migranti il passaggio.

Secondo alcuni media, la recinzione è stata eretta con fondi dell'UE, anche se non ci sono conferme ufficiali di tali affermazioni. La recinzione è stata costruita su un terreno acquistato dalla gente del posto.

Nei documenti ufficiali del governo, si afferma che l'obiettivo dell'erezione della recinzione era limitare il possibile attraversamento di massa del confine "per prevenire la diffusione del coronavirus". Ad oggi, i cittadini della regione e della valle hanno poche informazioni sulla questione.

Il piano era di alzare una recinzione lungo l'intero confine con la Macedonia del Nord, circa 150 chilometri, ma l'attuazione del progetto sta procedendo lentamente. La recinzione è ad oggi visibile solo nell'area vicino al posto di blocco del confine.

Il campo di Preševo ​​può ospitare circa 1.000 persone ed è un campo chiuso, il che significa che le persone possono uscire solo con un permesso per un tempo limitato durante il giorno. È situato in un'ex fabbrica di sigari che è stata ristrutturata con denaro di donatori internazionali. Il campo è sotto la giurisdizione del Commissariato per i rifugiati della Serbia e le infrastrutture assicurano posti di lavoro a un numero significativo di persone della zona.

Lo stesso vale per un campo a Bujanovac, che ha una capacità di circa 200 persone.

Le autorità serbe inviano spesso migranti trovati in altri luoghi della Serbia al campo di Preševo, contro la loro volontà. Ivi incluse persone fermate a Belgrado o vicino ai confini con Ungheria e Croazia.

Tuttavia, né la gioventù locale, né le persone residenti nei due campi, hanno alcuna intenzione di rimanere nella valle, né nella regione del resto.

 

Dejan Kožul è un giornalista che lavora per vari media nello spazio jugoslavo (Novosti, Lupiga, FTV, ecc.). Per più di otto anni è stato redattore e conduttore del programma radiofonico KUPER che è stato trasmesso su BH Radio, Radio Republika (Novi Sad), Radio Rojc (Pula), KLFM (Split) e Radio Apart (Beograd).

Traduzione a cura di Elena Mollichella