Grandi progetti infrastrutturali, portati avanti in modo poco trasparente da aziende straniere spesso con manodopera proveniente da paesi terzi sottopagata e sfruttata. Il tutto con il coinvolgimento delle istituzioni serbe. Un approfondimento
(Quest'articolo è stato originariamente prodotto e pubblicato da Kosovo 2.0 il 13 febbraio 2020. E' stato qui ripubblicato con il loro permesso)
A migliaia di chilometri di distanza da casa, senza soldi, passaporto o conoscenze linguistiche, sono - a Surčin, da qualche parte alla periferia di Belgrado - alla mercé del loro datore di lavoro.
Noi tre, due attivisti e un giornalista, siamo andati ad incontrarli. Congelati fino all'osso li abbiamo aspettati seduti in una macchina parcheggiata nella nebbia fitta.
"Non veniamo pagati, anche se lavoriamo dieci ore al giorno. Tutto questo è andato avanti mese dopo mese finché non ne abbiamo avuto abbastanza: vogliamo ricevere quello che ci siamo guadagnati e vogliamo tornare a casa", spiega Kannan, facendosi strada tra il fango. Il 26enne è uno dei circa 70 lavoratori temporanei provenienti dall'India che sono entrati in sciopero perché il loro datore di lavoro serbo li ha lasciati senza paga.
Dopo essersi imbattuti lo scorso febbraio in annunci per opportunità di lavoro in Serbia, sono stati assunti dalla ditta serba Nikolić d.o.o., un subappaltatore per aziende cinesi e russe che realizzano i più grandi progetti infrastrutturali nel paese.
E' poi emerso che i lavoratori indiani erano impiegati con contratti estremamente sfavorevoli, illegali in Serbia, ma sottoscritti con una società intermediaria americana. Alcuni di loro non hanno nemmeno il permesso di lavoro e i lavoratori sostengono che anche i loro passaporti sono stati portati via, motivo per cui si sono infine rivolti alla polizia serba.
Dopo l'intervento della polizia, a metà gennaio, hanno riottenuto i loro passaporti. La polizia è stata da noi contattata in merito alle affermazioni dei lavoratori ma non ha mai dato risposta.
"Pensavamo che a un certo punto tutto si sarebbe risolto. Ma, poiché la situazione è rimasta la stessa per mesi, ora abbiamo deciso di prendere posizione per i nostri diritti e la nostra retribuzione", dice Kannan mentre ci mostra il campo di lavoro allestito dal loro datore di lavoro, dove vivono da un mese.
Ciascuno dei container di dieci metri quadrati è occupata da quattro persone, che dormono, mangiano e asciugano il bucato lì. Dopo essersi lamentati dello scarso riscaldamento, alcuni hanno comprato dei piccoli termoventilatori.
Ci sono solo quattro servizi igienici nell’intero complesso prefabbricato. Senza neanche una doccia a disposizione, gli operai ricorrono a una pompa da giardino di gomma sul retro di un bagno. Anche se le loro condizioni di vita e di lavoro sono tutt'altro che adeguate, sono più preoccupati che il denaro per cui hanno attraversato mezzo mondo non sia stato trasferito sui loro conti.
“Mi devono circa 900 euro. È difficile trovare un lavoro nel nostro paese; in Serbia la paga è tre volte più alta", dice Kannan, spiegando la motivazione che lo ha spinto a venire qui.
Secondo i loro contratti, lo stipendio sarebbe dovuto essere di 320 euro, il triplo dello stipendio medio indiano. Incluso il lavoro straordinario immaginavano di raggiungere i 400-500 euro. Tuttavia l'accordo è che tutto il denaro che guadagnano viene trasferito sui loro conti in India. La loro diaria mensile in Serbia ammonta a soli 50 euro, detratti dal loro stipendio dal datore di lavoro.
La Serbia sta rinunciando alla propria giurisdizione all'interno dei propri confini
Il caso - messo in rilievo dal portale Istinomer.rs - è solo un esempio dello sfruttamento dei lavoratori stranieri in Serbia. Il numero dei lavoratori stranieri sta aumentando ogni anno a causa dell'esodo dei lavoratori serbi verso i paesi europei finanziariamente più generosi.
"Purtroppo questo è un classico esempio di sfruttamento dei lavoratori, perché il datore di lavoro ha assunto in maniera fraudolenta i lavoratori in India e ha organizzato per loro il trasporto in Serbia, facendo leva sulla loro posizione precaria", racconta Srnja Ignjatović. Lavorando con l’Ong ASTRA, l'attivista ha seguito per mesi la sorte dei lavoratori indiani.
"I lavoratori hanno trascorso qui otto mesi vivendo e lavorando in gruppo. Hanno dovuto affrontare condizioni terribili e del tutto disumane e poi o si sono visti negare parte della retribuzione pattuita o non sono stati pagati affatto", spiega, aggiungendo che non sono stati in grado di terminare il loro lavoro volontariamente dato che i loro documenti d'identità sono stati confiscati, sono stati intimiditi e minacciati dalla polizia e si sono trovati a dipendere finanziariamente (e in ogni altro modo) dal loro datore di lavoro.
Ignjatović aggiunge che la sua organizzazioni ha cercato di ottenere informazioni sul caso da diverse istituzioni in Serbia, ma nessuna, compreso l'Ispettorato del lavoro, ha mai risposto.
Anche noi abbiamo anche cercato di ottenere ulteriori informazioni sui reclami dei lavoratori, ma né l'Ispettorato del Lavoro, né la polizia, né le ambasciate - indiane o statunitensi - ci hanno mai risposto.
Bojan Urdarević, professore della Facoltà di Giurisprudenza di Kragujevac, dopo aver esaminato i contratti, ritiene che l’azienda di Miami sia solo una facciata per poter far arrivare i cittadini indiani in Serbia. "La società è registrata negli Stati uniti solo pro forma, per giustificare l'esistenza di un rapporto di lavoro. Sono contratti che non hanno alcun valore", racconta Urdarević, che fa notare che lo stato di fatto rinuncia anche alle imposte sui salari che i lavoratori indiani dovrebbero ricevere.
Oltre allo sfruttamento dei lavoratori, questo caso è significativo considerando come i lavoratori indiani in Serbia siano di fatto diventati legalmente invisibili e senza soldi in mano.
Ciò che sta al centro della questione è il pericoloso meccanismo globale di "esternalizzazione" dei lavoratori, che se non cesserà è destinato a cedere il passo a numerose forme di abuso.
È emerso che i lavoratori indiani - seppure impiegati dalla Nikolić d.o.o. - non hanno stipulato un contratto di lavoro con la ditta serba, ma con una società americana chiamata IDEA Capital LLC. Quest'ultima li avrebbe trasferiti alla Nikolić d.o.o. come parte di un accordo di cooperazione commerciale e tecnica. Il collegamento tra queste due società è Nina Nikolić, proprietaria della società in Serbia e rappresentante legale della società americana in Serbia.
Tuttavia, questi contratti con l’azienda di Miami - che abbiamo visionato - non sono conformi alla legge sul lavoro serba, non sono firmati e prevedono multe a carico dei lavoratori che vanno dai 50 ai 500 dollari. Inoltre, i documenti contengono una clausola che permette al datore di lavoro di rescindere il contratto senza necessità di preavviso o motivo formale.
Mario Reljenović, dell'Istituto di diritto comparato, conferma che i contratti non sono conformi alla legislazione serba. Multe per comportamenti non opportuni sono, ad esempio, del tutto contrarie alla legge serba.
Ciononostante, l’Ispettorato del lavoro serbo ha negato la sua giurisdizione su queste questioni, demandando la responsabilità alla controparte americana. Con questa decisione, l’Ispettorato del lavoro ha paradossalmente violato la legge sul lavoro che stabilisce che ogni persona che lavora sul territorio serbo sia soggetta alle leggi nazionali, indipendentemente dal fatto che sia assunta da una azienda locale o straniera, o sia in possesso della cittadinanza serba o di un altro paese. Alcuni esperti dell'Ispettorato del lavoro hanno segnalato che la Serbia rinuncia così alla sua sovranità sul proprio territorio.
Inoltre, è opinione di vari esperti che aperto il vaso di Pandora, ora altri datori di lavoro potrebbero fare affidamento sullo stesso meccanismo di registrazione di società fittizie negli Stati uniti o altrove e successivamente assumere fraudolentemente lavoratori stranieri. "Non siamo mai stati in America - siamo venuti direttamente in Serbia. Abbiamo scoperto che i nostri contratti erano illegali solo quando abbiamo parlato con le ragazze di ASTRA", racconta Kannan.
Sfruttamento sotto l’egida degli affari di stato
Negli ultimi anni, sempre più lavoratori stranieri sono arrivati in Serbia, soprattutto per lavorare nei cantieri. Secondo Goran Rodić della Camera dell'industria edile serba, i lavoratori edili serbi emigrano nei paesi europei più ricchi e così il loro posto viene preso da colleghi turchi, cinesi, albanesi e azeri, e ora anche da indiani.
Il numero esatto di lavoratori stranieri non può essere facilmente determinato, poiché la maggior parte di loro lavora illegalmente. Nonostante ciò, guardando i rapporti sul campo redatti dai sindacati, Rodić stima che ci siano circa 3.500 lavoratori stranieri nel apese, aggiungendo che le loro condizioni di vita e di lavoro sono disumane.
"I lavoratori vivono spesso in stanze piccole, non possono fare la doccia e non hanno (un posto) dove riposare dopo il lavoro estenuante, e nella maggior parte dei casi fanno gli straordinari, mentre vengono pagate somme di denaro insignificanti per gli impieghi che svolgono", spiega.
"Fa troppo freddo per loro in inverno e troppo caldo in estate. La maggior parte dei lavoratori non ha abiti adatti al proprio posto di lavoro e non sono registrati, ogni infortunio potrebbe dimostrarsi fatale, e molti infortuni non vengono mai alla luce".
Un altro esempio estremo di sfruttamento dei lavoratori stranieri che è diventato di pubblico dominio è il caso di 80 lavoratori edili turchi al "Belgrade Waterfront", un complesso residenziale e commerciale di lusso. Questa iniziativa imprenditoriale serbo-emirata - nonostante le obiezioni provenienti dei partiti dell'opposizione e degli esperti - è stata dichiarata dal governo serbo un progetto di rilevanza nazionale.
A metà del 2018, i lavoratori turchi sono entrati in sciopero perché non avevano ricevuto la paga da due mesi e non era garantito loro né cibo né alloggio. Secondo dichiarazioni rilasciate in un incontro tenutosi in cantiere, molti di loro avevamo subito infortuni e lavoravano illegalmente in acque profonde e fango senza essere pagati.
Le istituzioni serbe sono rimaste silenziose in modo assordante, non rispondendo alle denunce di sfruttamento di lavoratori stranieri. L'ambasciata turca ha pagato i biglietti per il ritorno a casa dei propri cittadini solo dopo aver subito un'enorme pressione da parte dei media. Ancora adesso quei lavoratori non sono stati pagati.
Rodić ritiene che lo sfruttamento dei lavoratori stranieri sia destinato a continuare accanto al silenzio istituzionale, poiché la questione riguarda i progetti statali e gli interessi di imprese potenti e dei loro rispettivi paesi d'origine. "Sono tutti progetti che coinvolgono i paesi stranieri da cui hanno origine i capitali sospetti, quindi, tenendo conto della mancanza di trasparenza, c'è motivo di credere che lì si verifichi riciclaggio di denaro,", ha dichiarato Rodić.
Diverse denunce da parte di giornalisti investigativi e e associazioni anti-corruzione hanno portato alla luce prove di sospetto riciclaggio di denaro, relativo anche a progetti di costruzione come "Belgrade Waterfront". Tuttavia, le azioni penali sono rare con l'Organized Crime and Corruption Reporting Project che segnala un "notevole disinteresse ad agire" dimostrato dalla procura in Serbia.
I più grandi progetti infrastrutturali relativi alla costruzione di strade sono realizzati dal governo serbo attraverso accordi bilaterali che escludono procedure di appalto pubblico, con l'opinione pubblica quasi completamente esclusa dal processo.
Oltre a ciò, i progetti sono spesso realizzati attraverso prestiti concessi dai paesi a capo di tali progetti. Nel caso del progetto di costruzione del Corridoio 11 che impiega i lavoratori indiani l’appaltatore principale è la società cinese "CCCC" e il progetto è finanziato da un prestito della banca cinese "Exim Bank".
Per quanto riguarda la costruzione del viadotto di Čortanovci sulla linea ferroviaria ad alta velocità Belgrado-Budapest, l'appaltatore principale è la società statale russa "RŽD International". Il progetto è in parte finanziato da un prestito russo. Lavoratori indiani hanno lavorato anche a questo progetto.
Oltre alle imprese cinesi e russe, anche aziende turche e azere costruiscono strade in Serbia sotto un alone di mistero. L'anno scorso si è aggiunta a loro la Bechtel, un'impresa di costruzioni statunitense coinvolta senza alcuna procedura di appalto pubblico. A parte i suoi legami con il Partito Repubblicano, la Bechtel è nota per la ricostruzione di ciò che era stato distrutto delle bombe americane dopo l'invasione dell'Iraq da parte degli Stati Uniti nel 2003.
"Quando si tratta di queste imprese, non è chiaro cosa ci sia in ballo per la Serbia", afferma Rodić. "I progetti sono molto più costosi di quanto dovrebbero essere, sono per lo più realizzati da aziende straniere che fanno entrare lavoratori stranieri e li tengono celati agli occhi del pubblico. Oltre a questo, vediamo che si supera ogni limite in termini di sfruttamento della forza lavoro".
Materiali e beni di consumo tornano a casa
La Serbia è diventata da tempo un punto d'incontro di interessi americani, cinesi e russi, ma anche un nuovo snodo per lo sfruttamento operaio senza compromessi in un'economia capitalista più grande e iper-globalizzata.
È in virtù di questi sviluppi che le istituzioni statali hanno praticamente abdicato al controllo dei contratti illegali - e schiavisti- che gli indiani, tra gli altri lavoratori, hanno stipulato con il loro capo americano-siriano.
D'altra parte, l'ambasciata indiana ha essenzialmente rinunciato alla protezione dei propri cittadini chiaramente guidata dagli interessi del proprio paese, le cui priorità strategiche sono l'esportazione della povertà e il conseguente afflusso di rimesse.
"Nessuno ci ha aiutato all'ambasciata. Ci è stato detto solo di non fare nulla e di terminare il nostro contratto", ha scritto Kannan in un messaggio WhatsApp venerdì 30 gennaio, mentre si prendeva una pausa dalla preparazione dei bagagli e si preparava a tornare a casa.
Nina Nikolić, proprietaria della Nikolić d.o.o. e direttrice della IDEA Capital LLC con sede in Florida, ha acconsentito all’acquisto di biglietti aerei per gli scioperanti più intransigenti, tra cui Kannan. Dunque, si è liberata del problema e presto otterrà un altro contingente di lavoratori indiani.
Alla fine, gli scioperanti dicono di non essere mai stati pagati e che sono stati consegnati loro solo 70 euro a testa per le spese alimentari e di viaggio. Questo a copertura del loro viaggio dall'aeroporto di Nuova Delhi a Chennai, capitale dello stato più a sud dell'India, il Tamil Nadu - da dove provengono Kannan e la maggior parte dei suoi colleghi.
Nikolić ci ha detto che gli operai che se ne sono andati erano quelli più piantagrane, mentre gli altri non volevano andarsene. Sostiene anche che cinque di loro hanno maltrattato i loro colleghi, costringendoli a scioperare. Sostiene inoltre che alla fine i lavoratori sono stati pagati ma riconosce che il pagamento è stato ritardato.
Non ha risposto alla nostra domanda sul perché i lavoratori fossero impiegati dall'azienda statunitense.
Gli indiani hanno concluso il loro viaggio di lavoro in Serbia come fossero beni a scadenza. Stremati e amaramente delusi, i lavoratori non vedevano l'ora di riunirsi alle loro famiglie. Le loro grida di aiuto sono state ascoltate da pochi in Serbia. A tempo debito, però, tenteranno la fortuna in qualche altro Paese disperatamente bisognoso di forza lavoro a basso costo e priva di diritti.
"Sono arrabbiato e deluso. Ho lavorato in Oman per tre anni e lì non ho mai avuto problemi come quelli avuti in Serbia", ha scritto Kannan su WhatsApp.
Afferma che spera di avere più fortuna in futuro in paesi come gli Emirati Arabi Uniti, l'Arabia Saudita e l'Oman.
Kannan è costretto a vagare per un impietoso mercato del lavoro globale, vendendo l'unica cosa che possiede: se stesso.