L'ultimo saluto all'ex uomo forte di Belgrado, i funerali nella capitale serba, le orazioni dei suoi sostenitori, il contro-meeting in piazza della Repubblica, le dichiarazioni dei partecipanti. Un reportage dal nostro inviato
Estremo saluto "alla guida e all'eroe", manifestazione politica e antigovernativa, retorica post-comunista e festival dell'identità serba, bandiere jugoslave e fotografie di Šešelj, Karadzić e Mladić. Il giorno dell'addio a Slobodan Milošević si trasforma in una galleria di tutte le passioni, le incertezze e soprattutto delle contraddizioni di quella parte della Serbia che non vuole dimenticare, e che nonostante anni di guerre, inflazione ed isolamento continua a rimpiangere "i tempi in cui vivevamo meglio, quelli quando c'era Slobo".
Belgrado, sabato 18 marzo 2006. La cerimonia entra nel vivo intorno alle 10.30, quando la bara con i resti dell'ex presidente serbo e jugoslavo, avvolta in un ampio tricolore rosso bianco e blu, viene issata sul grande palco eretto di fronte al palazzo del parlamento federale, nella stessa piazza che, il 5 ottobre di sei anni prima, ha fatto da palcoscenico alle proteste popolari che misero la parola fine al regime decennale di Milošević.
A quell'ora la folla è già numerosa, e continua ad arrivare dalle strade che convergono sulla piazza. Difficile dire quanti siano accorsi non solo da tutta la Serbia, ma anche dal Montenegro e dalla Republika Srpska, per dare l'ultimo saluto a quello che sui tanti cartelli che portano il suo nome viene definito "un eroe serbo". Le stime più attendibili parlano di 80-100mila persone, anche se le fonti del Partito Socialista Serbo (SPS), vero protagonista dell'organizzazione dell'evento, azzardano la cifra di "almeno mezzo milione si persone, più di quante vennero a rendere omaggio a Tito".
Se si possono avere ragionevoli dubbi sui numeri forniti dal partito socialista, di cui Milošević è rimasto formalmente il segretario fino al giorno della sua morte, i sentimenti della gente, venuta a stringersi intorno al "migliore di tutti noi", trasparivano chiaramente dai volti rigati di lacrime, dai lunghi sospiri, dagli sguardi smarriti. Quando Miroslav Vucelić, primo oratore e guida dell'ala dei duri e puri del partito socialista, chiede un minuto di silenzio, la piazza sembra quasi trattenere il respiro.
C'è una Serbia, fatta soprattutto di anziani, di realtà rurali, di orgoglio nazionalista, che ha amato "Slobo" come presidente, e che continua ad amarlo con passione, adesso sotto le spoglie, trasfigurate dalla morte, di "martire e santo del popolo serbo". A intervalli si levano slogan e grida "Slobo, Slobo, ti hanno ammazzato", "Carla assassina", mentre un cartello innalzato tra le prime file recita "Slobodan eroe, ti hanno ucciso i traditori della Serbia". Quando poi Vucelić tuona dal palco che "ai familiari di Milošević è stato negato anche il diritto di poterlo salutare per l'ultima volta, visto che il governo non ha voluto chiaramente esprimersi sulla loro sicurezza" dalla piazza si urla "Vergogna" e "Tadić ustaša".
Dal punto di vista politico, il dato più interessante della manifestazione riguarda proprio le indicazioni di sfiducia verso il governo Koštunica, contestato e accusato di essere "venduto ad interessi stranieri" e di non aver concesso i funerali di stato a Milošević, come era stato richiesto dall'SPS. Il partito, però, per il momento non ha fatto nessun riferimento diretto alla possibilità di ritirare l'appoggio esterno che fornisce ai suoi rivali politici. Molti commentatori ritengono infatti che, anche se la morte dell'ex presidente porterà probabilmente nuova forza politica ai socialisti, questi, a differenza dei radicali che hanno gridato alle elezioni anticipate a gran voce, non sono ancora pronti ad andare alle urne, dovendo prima risolvere gli equilibri interni al partito.
Dopo Vucelić sul palco si alterna un gruppo eterogeneo di oratori, di diverse nazioni, convinzioni politiche e basi ideologiche, ma tutti riuniti dalla convinzione che "con la sua morte Slobodan Milošević è entrato nella storia della Serbia e nel cuore dei serbi, per rimanerci per sempre"."Le potenze occidentali non gli hanno perdonato la sua resistenza alla transizione verso un capitalismo gangsteristico. E' stato ucciso perché il suo coraggio non venisse preso ad esempio da altri paesi" ha esclamato Mihajlo Marković, professore universitario e ideologo dell'SPS, mentre Aleksandar Vučić segretario generale del partito radicale, ha letto la lettera inviata a "Slobo" da Vojislav Šešelj: "Ti prometto che mi batterò con il tuo stesso impeto contro i criminali dell'Aja, per difendere la verità e la nostra patria".
Sul palco sono poi saliti gli ospiti internazionali, tra cui il leader dei comunisti russi Gennadij Žjuganov, il vice presidente della Duma Sergej Baburin e l'ex ministro della giustizia americano Ramsey Clark. Nelle loro parole Milošević "titanico Davide, morto combattendo il feroce Golia del capitalismo mondiale" è stato paragonato a Che Guevara e Georgi Dimitrov, martire di fronte a quei giudici, espressione delle potenze imperialistiche, "che non potendo condannare un innocente, hanno dovuto ucciderlo".
La cerimonia di Belgrado è terminata verso le 13.45, poi la folla, guardata a vista da un folto gruppo di forze di polizia, che però non hanno mai dovuto intervenire, si è messa in moto per seguire il corteo funebre fino alla città natale di Milošević, Požarevac, dove "Slobo" è stato sepolto nel tardo pomeriggio , e a una settimana precisa dalla morte, nel giardino di casa, "sotto quel tiglio che amava tanto" come ha scritto dalla Russia il figlio Marko.
E' arrivata la primavera!
Mentre una parte della Serbia accompagnava la salma di Milošević nel suo ultimo viaggio, nella centralissima Trg Republike, a Belgrado, si materializzava, quasi d'incanto, un'altra Serbia, quella che aveva assistito distaccata, e quasi indifferente, ai lunghi giorni dell'esposizione e dell'addio all'ex presidente.
Alle tre del pomeriggio, seguendo il tam tam degli sms che erano stati inviati nei giorni precedenti da anonimi organizzatori e rilanciati da molti attivisti, una folla di circa tremila persone, soprattutto giovani, armati di fischietti e palloni colorati si incontrava per seppellire non tanto Milošević, quanto il suo fantasma, che da giorni aleggiava sul cielo grigio e piovoso della capitale.
Al grido "Gotov je, za uvek!" ( "E' finito, per sempre"), che riprende il più famoso slogan partorito dall'opposizione al governo di "Slobo", i manifestanti hanno dimostrato contro "la farsa messa in piedi dall'SPS sui funerali di Milošević", ma anche contro il governo, che ha preso una posizione giudicata ambigua, visto che, dopo aver negato i funerali di stato, l'esecutivo ha comunque messo a disposizione degli organizzatori della veglia funebre, con una decisione senza precedenti, una struttura pubblica e culturale come il museo "25 maggio".
Dopo aver assistito alla provocazione di un gruppetto di estremisti che hanno inneggiato ai fatti di Srebrenica, subito fermata dall'intervento della polizia, la folla variopinta e rumorosa si è mossa in corteo per le strade del centro, al grido "E' arrivata la primavera". Dopo aver attraversato la Knez Mihajlova, l'improvvisata manifestazione a raggiunto poi gli spalti del Kalemegdan, dove i palloncini sono stati liberati.
"Che Milošević non sia stato giudicato, per me cambia poco" ha detto ad Osservatorio uno dei manifestanti. "Mi ha rubato gli anni migliori della giovinezza, e sinceramente avrei preferito che fosse morto già nell'ottobre del 2000. Comunque l'importante è che sia finito, e stavolta per sempre".