L'omicidio Djindjic bloccherà le riforme in Serbia? Una panoramica a caldo sul tragico evento accaduto oggi a Belgrado.
La notizia è certa. Il Premier Zoran Djindjic è stato ucciso oggi verso mezzogiorno di fronte agli uffici del Governo. Già il mese scorso era stato coinvolto in uno strano incidente d'auto. La polizia in quel caso aveva individuato analogie con l'attentato dell'ottobre 1999 in cui era rimasto ferito Vuk Draskovic, prima oppositore e poi per un periodo alleato di Milosevic. "Se qualcuno pensa che la legge e le riforme possano essere bloccate eliminandomi, allora subirà grosse delusioni" - aveva dichiarato in quell'occasione Djindjic al quotidiano Politika - "il sistema continuerà a funzionare e nessuno verrà amnistiato per i crimini commessi". Parole in quell'occasione forti ma che ora, dopo l'assassinio del Premier serbo, non aiutano a ridimensionare l'angoscia che è calata sul paese e su Belgrado in particolare.
La mano degli attentatori probabilmente appartiene alla criminalità organizzata, il mandante a quell'ambiente ambiguo nel quale mafia, business e potere politico andavano a braccetto. Quell'ambiente proliferato e degenerato durante l'era Milosevic, ma già esistente prima della disgregazione dell'ex Jugoslavia e certo non scomparso con la salita al potere dell'opposizione democratica. Djindjic è l'ultimo di una lunga fila di omicidi eccellenti: nell'ottobre del 2001 è stato ucciso Slavo Mijovic, alleato del criminale di guerra Arkan a sua volta ucciso a Belgrado nel gennaio del 2000; nel giugno del 2000, Vuk Draskovic sopravvisse ad una sparatoria; meno fortunato nel maggio dello stesso anno Bosko Perosevic, alleato di Milosevic, ucciso a Novi Sad; nello stesso mese era stato ucciso Goran Zugic, consigliere sulla sicurezza dell'allora Presidente montenegrino Djukanovic; nell'aprile del 2000 era stata la volta del presidente delle linee aeree yugoslave Branislav Latinovic; nello stesso anno era stato ucciso il Ministro della difesa Pavle Bulatovic.
Ora la Serbia, che con difficoltà aveva iniziato un cammino di 'normalità', rischia nuovamente di inciampare, di fermarsi, di ritornare sui propri passi. In parte lo aveva già fatto con i ripetuti fallimenti delle elezioni presidenziali: in due tornate elettorali non si è infatti riusciti ad eleggere il Presidente della Serbia mancando il quorum necessario del 50% degli elettori. Disaffezione verso la politica, delusione per una riforma del paese che ci si immaginava veloce una volta tolto dai piedi Milosevic e che invece si è dimostrata lenta, difficile e dolorosa: costo della vita in continuo aumento, salari bloccati, ristrutturazione delle imprese statali con conseguenti licenziamenti. Ma sarebbe sbagliato dare una lettura troppo lineare a quanto successo. Dindjic campione delle riforme e mondo legato alla cricca di Milosevic che frena e tenta di rigettare il paese nel caos. La Serbia di oggi è ricca di contraddizioni. Contraddizioni che riguardavano anche la figura del Premier serbo, accusato ad esempio in passato di essere sulla busta paga di noti trafficanti di sigarette. Questo non significa che la scomparsa del Premier non sia una sciagura per la Serbia. Lo è senza dubbio. Ma contemporaneamente occorre non bloccarsi all'illusione che per avere una Serbia nuova, che riconosce e supera il proprio passato e che rapidamente viene integrata nell'Unione europea possano bastare i tagli nel settore pubblico dettati da FMI e Banca mondiale, i seminari su diritti umani e democratizzazione ed una collaborazione di facciata con il Tribunale dell'Aja senza che venga avviata una riflessione sul tema del conflitto e della riconciliazione.
E forti incertezze nel paese erano arrivate proprio per quanto riguarda la collaborazione con il Tribunale Penale Internazionale. Il procuratore generale Carla del Ponte ritornava ripetutamente a Belgrado per chiedere la cattura e la consegna all'Aja di Ratko Mladic, il macellaio di Srebrenica, che si suppone sia nascosto proprio in Serbia. Il Presidente Kostunica l'ha accolta sempre con freddezza, se non con aperta ostilità. Non era così per Djindjic fautore, e per questo in contrasto con lo stesso Kostunica, di una linea di piena collaborazione con il TPI. Da pochi giorni era partito per l'Aja anche l'ultranazionalista Borislav Seselj, un passo in più verso l'entrata della Serbia nel Consiglio d'Europa. Anche in questo caso l'uccisione di Djindjic rischia di bloccare tutto ed allontanare ancor più la Serbia dall'Europa.
"Questo è un giorno terribile per la Serbia, per i Balcani", ha dichiarato a caldo Pauline Neville-Jones, consulente politica dell'ex Alto rappresentante di Bosnia Erzegovina Carl Bildt. Ed infatti la situazione politica in Serbia rimane cruciale in molte delle questioni ancora aperte nell'area Balcanica. Innanzitutto il Kossovo sul quale proprio in seguito ad un'accelerazione stimolo del Premier Djindjic si era riaperto il dibattito sullo status finale. Ma poi da non dimenticare la situazione calda ancora esistente nel sud della Serbia, nella valle del Presevo; la posizione della Serbia condiziona ancora fortemente le reazioni dei 'cugini' della Republika Srpska in Bosnia; in ultimo è in una fase iniziale la nuova Unione Serbia Montenegro e molte sono le questioni ancora aperte per rodare questa nuova relazione tra le due Repubbliche.
Se l'uccisione di Djindjic è senza dubbio l'atto criminoso più tragico che si sia verificato in Serbia negli ultimi anni, alzando lo sguardo in generale sull'intera area balcanica si scopre che non negli ultimi mesi ma negli ultimi giorni sono molteplici le notizie di cronaca nera che portano alla luce l'inquietante relazione tra organizzazioni criminali, politica e mondo economico. Il 7 marzo scorso a Sofia è stato assassinato con un colpo al cuore Ilya Pavlov, "l'uomo più ricco di Bulgaria", imprenditore potente e collegato alla malavita con forte connessioni con il potere politico; in Croazia nei giorni scorsi è stata fatta saltare con dell'esplosivo la macchina di Ninoslav Panic, magnate dei media croati. "Per intimidire me e soprattutto i miei giornalisti", aveva dichiarato quest'ultimo.
L'aeroporto di Belgrado è chiuso, i ponti presidiati, il centro città nel caos. Ed il Governo, riunitosi d'urgenza, ha dichiarato lo stato d'emergenza e tre giorni di lutto nazionale. "Il sistema continuerà a funzionare e nessuno verrà amnistiato per i crimini commessi", affermava Djindjic. Ma la crisi istituzionale è forte e rischia di far allontanare ancor più i Balcani dall'Europa.