Come è strutturato in Serbia il cosiddetto terzo settore? Quale l'eredità del passato? Saranno in grado le ONG serbe di sopravvivere alla diminuzione dei finanziamenti dall'estero? Un intervento di Predrag Cetvanin del Comitato per le Iniziative Civiche.
La realtà sociale in Serbia ed il ruolo delle ONG nel processo di democratizzazione e stabilizzazione
L'attività delle ONG in Serbia è specifica, vista la particolarità della realtà sociale serba. Nonostante essa sia simile a quella dell'Europa centrale e dell'Europa dell'Est nel suo primo periodo di transizione, la Serbia ha una serie di problematiche specifiche: è per questo che ogni possibile analisi dell'attività delle ONG richiede di prendere attentamente in esame la struttura sociale del Paese.
Anche se più "leggero" rispetto al socialismo autogestito delle altre società dell'Europa centrale e dell'Europa dell'Est, quella jugoslava poggiava sulle stesse fondamenta. Il sistema politico monopartitico comporta la presenza di uno Stato sotto il controllo di un partito, e questo ha come diretta conseguenza l'utilizzo delle forze di polizia e dell'esercito per fini politici. Le strutture di proprietà dello Stato portarono a una pianificazione economica; il monopolio ideologico implicò un controllo anche sui processi sociali, soprattutto sull'istruzione e sui mass media, e per finire a limitazioni costituzionali alla libertà di associazione. In questo modo si posero le basi per la nascita di un'élite compatta, con potere illimitato e una chiara percezione di come preservare tale monopolio su tutti i sistemi sociali (politico, economico e culturale).
Questo costituiva il presupposto al mantenimento del controllo sul sistema. Nel 1980 l'élite al potere in Jugoslavia si divise su base nazionale invece di scegliere la strada della pluralizzazione basata sull'interesse, che avrebbe reso la società in grado di distinguere fra diversi sistemi economici e politici per eliminare il monopolio presente in campo politico ed economico. Questo è in parte avvenuto in altri paesi dell'Europa centrale e dell'Europa dell'Est.
Ad esclusione dell'élite slovena, il fine dei cambiamenti intervenuti è stato quello di non cambiare nulla. Dunque la logora ideologia social-comunista fu soppiantata da quella nazionalista, che garantiva l'egemonia all'oligarchia di governo (che ora si proclamava nazionale anziché d'avanguardia sociale). Tale situazione problematica si verificò in quanto le élites al potere a livello nazionale rivendicavano diritti sugli stessi territori (in particolare su Bosnia e Croazia), come parti integranti dei loro "feudi". Tralasciando la lampante incompetenza dei leader nazionali nel giungere a un compromesso, gli altri fattori che contribuirono allo stato di emergenza del conflitto erano la crisi economica verificatasi in Jugoslavia durante il decennio precedente e la perdita di importanza strategica e geografica del Paese dopo la caduta del muro di Berlino.
Il comportamento dell'élite serba fu un tipico esempio di un gruppo che mantiene la sua posizione sfidando i visibili cambiamenti a livello globale. Che la ragione fosse cecità ideologica, meschino interesse o entrambi, la decisione del gruppo di agire in contrasto con le tendenze a livello globale segnarono il destino della situazione sociale in Serbia nel corso degli anni '90, aprendo la strada alla sua totale distruzione. L'incapacità delle istituzioni, degli intellettuali, del settore pubblico e amministrativo di confrontarsi con questa tendenza portò a risultati altrettanto devastanti.
Le caratteristiche, gli obiettivi e lo sviluppo delle ONG in Serbia furono determinati dal regime e dalla natura dei problemi causati da tale regime, che detenne il potere in Serbia sin dall'inizio degli anni '90.
Le prime ONG nacquero in un ambiente ostile. Furono viste con sospetto per il semplice fatto che erano state create da gruppi formatisi autonomamente, al di fuori del controllo statale, e che si occupavano di problemi sociali di vitale importanza. Problemi molto più seri di quelli affrontati dalle solite associazioni sportive, ricreative e di basso livello professionale, le uniche nate dopo la Seconda Guerra Mondiale. Dato che la loro attività era finanziata da fondazioni internazionali (dunque provenienti dall'estero), in un Paese costantemente in guerra negli anni '90, le ONG erano viste come organizzazioni infide, ostili, quasi come se coprissero attività di spionaggio.
In seguito a tre proteste civili di grandi dimensioni ripetutesi ciclicamente, nel 1991, nel 1996 e nel 2000, si ebbe una rettifica di questo atteggiamento, seguita dallo sviluppo del settore delle ONG. Tali proteste si limitarono inizialmente a Belgrado, per poi espandersi alle "città libere" in Serbia e successivamente coinvolgere tutto il Paese. A partire dal 1990, quando il pluralismo a livello politico e l'associazionismo dei cittadini furono legalizzati, i partiti politici e le ONG si andarono rinforzando a vicenda e lavorarono a stretto contatto, anche se nessuno dei loro membri era disposto ad ammetterlo.
La prima "ondata" di Organizzazioni non governative arrivò a Belgrado; non solo molte persone attive nel campo del sociale trovarono un ambiente accogliente presso le ONG, ma anche molti dei nuovi leader politici facevano allo stesso tempo parte di Organizzazioni non governative. Vi sono altre ragioni per cui tutto partì a Belgrado: le capitali sono solitamente luoghi di tolleranza in ambito politico (forse dovuta alla presenza di ambasciate e personaggi della diplomazia), e in quel periodo i mass media locali tenevano informato il pubblico sull'attività delle ONG. Infine, ma della stessa importanza, fu la presenza di sponsor esteri, che concentrarono l'attenzione esclusivamente su Belgrado, soprattutto nel periodo iniziale.
La diffusione delle ONG nelle "città libere" della Serbia in seguito alle proteste popolari del periodo 1996/97 costituiscono un ottimo segnale della connessione tra il rafforzamento dell'opposizione politica e quello del settore delle ONG in Serbia.
Le proteste popolari ebbero luogo in tutte le città più importanti della Serbia, e dopo 3 mesi portarono a riconoscere le vittoria dell'opposizione in circa 40 di esse; ciò avvenne dopo il tentato broglio elettorale alle elezioni locali del 17 novembre 1996. Non solo l'attivismo della popolazione si risvegliò, tanto che i cittadini erano pronti ad istituzionalizzare l'attività dell'opposizione, ma la vittoria permise alle ONG di ottenere strutture, di organizzare seminari, convegni e incontri all'interno di edifici pubblici, cosa impensabile prima di allora. Dopo il 1996, molti media cominciarono ad essere operativi nelle città che erano state teatro delle proteste, dove l'attività delle ONG cominciava ad essere di pubblico dominio. Proprio in questo periodo i finanziatori stranieri diedero priorità alle organizzazioni che non avevano sede a Belgrado. Ne risultò un aumento del numero di ONG, che da 196 nel periodo 1990-1994 triplicarono nel 1997 (659), per triplicare nuovamente nel 2000 (arrivarono ad essere 2000).
Se fra il 1991 e il 1997 l'aumento del potere dell'opposizione nelle rappresentanze locali fu il presupposto per il rinforzamento del settore non governativo, seguendo la tesi di Gramsci secondo cui "la guerra fra posizioni", cioè la lotta per l'egemonia nel settore civile, è seguita dalla "guerra delle manovre", cioè la lotta per il potere a livello statale, l'attività delle ONG portò in gran parte alla mobilitazione dei cittadini serbi per la sostituzione del regime guidato da Milosevic alle elezioni del 24 settembre 2000, volontà elettorale che si espresse di conseguenza alle elezioni del 5 ottobre 2000. Come risultato, si ebbe una nuova esplosione di attività delle ONG, ora su tutto il territorio serbo, in particolare nei piccoli comuni dove ciò sarebbe stato impensabile al tempo del vecchio regime.
In questo momento il settore non governativo ha raggiunto il suo massimo livello di sviluppo in Serbia, sia in termini di dimensioni che di obiettivi della sua attività. Nel corso del 2001 si sono registrate circa 800 nuove ONG, che all'inizio del 2002 ammontavano a un totale di 2800. Le autorità non sono più di ostacolo alla nascita di nuove organizzazioni, e ciò viene di conseguenza alla stessa attività delle ONG (specialmente in campo umanitario), ma anche grazie al mutamento di clima a tutti i livelli sociali in Serbia. La valutazione un tempo negativa del lavoro intrapreso dalle ONG, oggi è diventata positiva, per quanto riguarda le loro attività nel settore pubblico. Gli sponsor, anche enti di grande importanza come la Commissione Europea, il Consiglio d'Europa, USAID e la Banca mondiale, svolgono un'intensa attività su tutto il territorio dell'ex-Jugoslavia.
Questa situazione idilliaca, comunque, non potrà durare per sempre, e presto verranno alla luce problemi che riguardano il lungo periodo, lasciando sulla scena solo le ONG che sono in grado di far fronte anche ad un progressivo ridursi degli ora copiosi finanziamenti internazionali.
Il regime di Milosevic ha comunque lasciato dietro di sé una situazione disastrosa. Nel corso delle guerre nella ex Jugoslavia la violazione dei diritti umani in Serbia, in nome degli interessi della classe al potere, è diventata una regola più che un'eccezione. La diffusione quotidiana di una profonda intolleranza fra etnie, espressa soprattutto dai mass media, ha reso le relazioni interetniche quasi impraticabili in Serbia, al punto che per ripristinare non solo la convivenza pacifica, ma anche la fiducia interetnica ci vorranno decenni. Durante gli anni 90, più di 100000 giovani intellettuali lasciarono la Serbia, mentre, secondo le statistiche dell'UNHCR 538000 rifugiati e altri 80000 persone che fuggivano dalla guerra entrarono nel Paese. Dopo la fine della guerra in Kossovo altri 180000 IDP giunsero in Serbia. Fra il 1990 e il 1994 il PNL diminuì del 52,2%, e secondo alcune fonti nel corso del 2000 subì un crollo del 67%. Non solo furono 400000 a perdere il posto di lavoro in questo periodo, ma nel 2001 1.300.000 persone lavoravano per società in fallimento (il numero totale di impiegati raggiunge 1.600.000). Per finire, i danni causati dai bombardamenti NATO nel 1999 ammontavano a 30 miliardi di dollari secondo alcuni, e questo dato si aggiunge all'elenco di problemi da risolvere, sia per le nuove autorità che per il settore delle ONG serbe.
Questo ci porta ai giorni nostri; tenendo presente la situazione politica, possiamo dire che la prima fase di transizione in Serbia si è ora compiuta. I contrasti all'interno della coalizione al potere, la DOS, hanno raggiunto un punto di non ritorno, e l'organizzazione di nuove elezioni politiche in Serbia è solo una questione di tempo. Nonostante le nuove classi dirigenti abbiano fatto grossi passi avanti, soprattutto per quanto riguarda la posizione della Serbia e della Jugoslavia nelle organizzazioni e istituzioni internazionali, presupposto per il recupero in campo economico e in tutti gli altri contesti, rimangono molti altri problemi con cui il nuovo sistema politico si è confrontato solo a livello superficiale, sotto le pressioni della comunità internazionale. Essi riguardano le cause e le conseguenze delle guerre nella ex Jugoslavia, e una chiara presa di posizione riguardo ai crimini di guerra perpetrati in Bosnia, Croazia e Kossovo. Si nota inoltre una scarsa attività e mancanza di proposte per migliorare le relazioni fra le diverse etnie presenti in Serbia. Nonostante l'atteggiamento dei media sia cambiato drasticamente, tanto che non sono più questi a generare odio e tensione, subiscono tuttora un controllo, tanto da essere utilizzati a scopo politico nelle lotte fra partiti. I recenti scandali sull'uso delle forze militari e di polizia a scopo politico dimostrano in quale misura queste due istituzioni riflettano i giochi politici.
Lo Stato al servizio della società è ancora lontano; nella Serbia di oggi esso è ancora solo uno strumento nelle mani dei partiti, l'unica concessione è quella che nessun partito detiene il potere in modo esclusivo. Per finire, se a questo sommiamo la situazione di insufficiente sicurezza legale e politica nel campo degli investimenti dall'estero, e dunque l'offerta poco riuscita nel campo delle privatizzazioni, abbiamo un'idea sufficientemente chiara dei progressi fatti dalla Serbia per quanto riguarda le riforme sociali (partendo da un livello a dir poco disastroso). La situazione è ancora più grave nel settore pubblico; al momento nel Paese si possono distinguere tre blocchi politici: il Partito Democratico del Presidente Kostunica, ora uscito dalla coalizione di governo e dichiaratamente filo-nazionalista; i membri dello scorso regime (in particolare i socialisti e Seselj) e la coalizione DOS, attualmente al potere. Solo gli ultimi sono aperti alle proposte e alle riforme provenienti dall'Unione Europea e a collaborare con le ONG, anche se i contatti con queste ultime sono più personali che istituzionali. Se vogliamo credere alle analogie con altri paesi dell'Europa Centrale e dell'Europa dell'Est, e tenendo conto dell'opinione pubblica, è possibile che con le prossime elezioni venga restituito il potere a forze politiche filo-nazionaliste, e ciò potrebbe rallentare l'attuazione delle riforme e alimentare l'atteggiamento di sfiducia nei confronti delle organizzazioni non governative.
Senza tener conto dei possibili mutamenti in campo politico, le ONG in Serbia si sono occupate della risoluzione di problemi e hanno dato il via a processi di trasformazione con effetti a lungo termine: la salvaguardia dei diritti umani, il miglioramento delle relazioni interetniche, l'aiuto ai rifugiati, interventi di tipo umanitario in fasce disagiate della popolazione, la risoluzione di problematiche ambientali, l'analisi delle cause e conseguenze delle guerre nella ex Jugoslavia e la promozione dell'istruzione per aumentare il livello di democratizzazione.
Questi ultimi sono particolarmente importanti per l'organizzazione di cui faccio parte, il Comitato per le Iniziative Civiche.
Per meglio affrontare questi problemi, e tenendo conto della loro fragile organizzazione interna e della quasi totale dipendenza dai finanziamenti internazionali, le ONG serbe devono rispondere nella pratica ad alcune importanti domande:
1. Prima di tutto, sono e saranno in grado di sopravvivere quando gli aiuti internazionali verranno diretti ad altre aree?
2. Come promotrici di processi di democratizzazione, le ONG serbe hanno una struttura interna democratica, o resteranno legate ai modelli delle compagnie private, con uno o due responsabili e una serie di dipendenti retribuiti ma non motivati al lavoro?
3. Il settore non governativo in Serbia consiste di una rete in cui le organizzazioni sono più o meno in contatto, o è una moltitudine di gruppi separati che competono per ottenere finanziamenti sempre più limitati?
4. Per finire, le ONG sono veramente promotrici di democrazia come i movimenti degli anni '60 e '70, o rappresentano l'insoddisfazione della popolazione, e, invece di incentivare le trasformazioni a livello sociale, le prevengono?
Io stesso credo nel futuro del terzo settore in Serbia, e allo stesso modo sono convinto che il graduale allontanarsi degli sponsor internazionali porterà ad una riduzione del numero di ONG. Credo inoltre che coloro che si sono smarriti nel terzo settore, e che mi piace soprannominare "mafia del non profit", alla fine abbandoneranno la loro attività in questo campo. A sopravvivere e a continuare l'attività saranno le ONG che prima di cominciare il proprio lavoro hanno costruito un'infrastruttura, che dispongono dell'attrezzatura necessaria, del personale e delle competenze, quelle che fanno parte delle comunità locali e che hanno trovato il modo di essere autosufficienti fornendo servizi di vario tipo. In questa lotta per la sopravvivenza saranno avvantaggiate le organizzazioni strutturate secondo principi democratici, ad esempio quelle che dispongono di sufficiente personale volontario, entrato nel terzo settore con la volontà di affrontare problemi umanitari, senza aver approfittato esclusivamente di un momento in cui erano coinvolti ingenti finanziamenti.
di Predrag Cetvanin