Testo dell’intervento tenuto a Castellano il 23 Luglio 2022, su invito della Pro Loco di Castellano
Tra il 1914 e il 1918 Castellano condivise con il resto del territorio trentino le conseguenze della Prima Guerra mondiale. Al paese venne risparmiata l’evacuazione, ma il conflitto segnò profondamente la vita dei suoi abitanti. Delle circa ottocento persone che vivevano a Castellano prima della guerra, più di 150 furono mobilitate come soldati e lavoratori. D’altra parte, molti giunsero e alloggiarono in paese nel corso di quegli anni: profughi dalla Val di Gresta, lavoratori militarizzati e soldati acquartierati in quella che si organizzò come una sorta di caserma “diffusa”. Nelle memorie della comunità si è conservato in particolare il ricordo dei numerosi prigionieri di guerra dell’esercito serbo sistemati in paese, del lavoro a cui erano sottoposti e delle difficili condizioni di vita che sopportavano. Tale presenza ha lasciato traccia anche nella toponomastica locale: dal “sentiero dei Serbi”, che prende i propri passi poco sopra Castellano, alla località definita “Zimitèri dei Serbi”, più distante dall’abitato.
Nel corso della Prima guerra mondiale, in Tirolo, vennero trasferiti come lavoratori coatti migliaia di prigionieri di guerra catturati su diversi fronti, in particolare soldati appartenenti agli eserciti russo, serbo e rumeno. Verso la fine del conflitto vennero trattenuti allo stesso scopo anche prigionieri italiani, che precedentemente venivano trasferiti altrove. Tutte le grandi potenze in guerra – non solo l’Austria-Ungheria – utilizzarono i prigionieri in lavori legati alle operazioni belliche, infrangendo i divieti imposti delle convenzioni internazionali firmate solo pochi anni prima. Lo sfruttamento delle compagnie di lavoro su tutto il continente rappresenta uno degli ambiti in cui la Grande Guerra aderì, a seconda delle valutazioni più o meno integralmente, al modello di “guerra totale”, incurante delle distinzioni tra militare combattente, civile o “nemico” sconfitto e inerme.
Secondo la documentazione disponibile, nel 1916 nell’intero Tirolo erano impieganti nei reparti di lavoro più di 8.000 prigionieri dell’esercito serbo. Nel luglio del 1917, l’Undicesima Armata dell’Esercito austro-ungarico – attiva in quella fase in particolare tra gli Altipiani e l’Alta Valsugana – utilizzava 1.631 “serbi”. Le prime testimonianze della presenza di prigionieri a Castellano risalgono all’inizio del 1916. A marzo era attestata in paese la presenza del reparto di prigionieri di guerra lavoratori n.195, le cui squadre A e B contavano 250 prigionieri serbi ciascuna. Con ogni probabilità, altri reparti si succedettero nei mesi e negli anni successivi in paese. Secondo la testimonianza di Luigia Miorandi, alcune centinaia di prigionieri serbi erano internate “negli avvolti del Castello”, altre memorie menzionano l’utilizzo allo stesso scopo dell’edificio della scuola del paese.
In tutto il Trentino, e più ampiamente in Tirolo, i prigionieri erano impiegati nei lavori più diversi: dal servizio alle postazioni – dediti soprattutto al trasporto di munizioni, armi, materiali e rifornimenti verso le prime linee in alta quota – alla costruzione e alla manutenzione di strade, ferrovie e teleferiche, quindi nella gestione e nella coltivazione delle campagne. A Castellano e nella Valle di Cei furono certamente utilizzati nella costruzione di strade, oltre che in supporto all’approvvigionamento. Pur con gradi diversi, in tutti i paesi belligeranti le condizioni di vita dei prigionieri di guerra raggiunsero nelle compagnie di lavoro il livello più disumano. Anche i dati relativi ai prigionieri serbi sepolti nel cimitero di Castellano nel marzo del 1916 parlano di sfinimenti e collassi, dovuti probabilmente alla carenza di cibo, al freddo e ai carichi di lavoro, senza contare le forme di violenza informale a cui erano sottoposti da parte delle guardie.
Le fonti registrano, in diverse località trentine e tirolesi, anche episodi di rifiuto del lavoro e di protesta da parte dei prigionieri. Secondo quanto riportato dalla testimonianza di Luigia Miorandi, nella primavera del 1916 una “rivolta” si verificò anche tra i prigionieri serbi presenti a Castellano. Difficilmente tali iniziative determinavano qualche miglioramento di condizione, finendo represse dall’intervento dei reparti di guardia. Un sollievo più concreto poteva invece arrivare da quei civili trentini che, contravvenendo alle disposizioni delle autorità, condividevano con i prigionieri di guerra le poche risorse disponibili, cibo o indumenti. Fu proprio quel rapporto tra popolazione civile e prigionieri diffuso su tutto il territorio provinciale – contraddistinto da pregiudizi e timori ma anche da diffusi slanci di umanità – che si conservò per molto tempo nelle memorie collettive popolari. Il ricordo, andato gradualmente a sfumare, viene oggi recuperato anche grazie a iniziative come la mostra fotografica inaugurata a Castellano.