A vent'anni dall'inizio dei processi per i crimini di guerra commessi durante le guerre nell'ex Jugoslavia, il bilancio della giustizia resta molto lontano dalle speranze della vigilia. Tali reati non cadono in prescrizione, ma il rischio è che cadano nel dimenticatoio
Si è tenuta a Belgrado il 28 e 29 novembre scorsi la conferenza “Processare i crimini di guerra nei paesi della ex-Jugoslavia”, organizzata dal Fondo per il Diritto Umanitario , che dal 1992 si occupa di documentare crimini di guerra nella ex-Jugoslavia.
Lo scopo della conferenza era di fare il punto sui processi per crimini di guerra nella regione, dopo vent’anni dall’inizio dei processi. La conferenza ha riunito rappresentanti delle procure, vittime e attivisti che seguono queste questioni oltre a giornalisti indipendenti ed esperti che si occupano di giustizia transizionale nella ex Jugoslavia.
Arrestare e processare i criminali di guerra ancora latitanti rimane uno degli ostacoli più importanti al processo di democratizzazione dei paesi dell’ex Jugoslavia ed anche una delle condizioni da soddisfare l’integrazione europea.
In particolare, la cooperazione regionale tra le procure mira a far sì che gli indiziati di crimini di guerra non possano trovare rifugio negli altri stati della regione al fine di sfuggire alla giustizia. In più, in Serbia ed in Bosnia Erzegovina, sono state istituite procure apposite per i crimini di guerra e stipulati accordi di cooperazione per facilitare il passaggio di casi da una giurisdizione all’altra.
I primi vent’anni
A distanza di vent’anni, il perseguimento dei crimini di guerra e la giustizia per le vittime sembrano seguire il peggioramento dei rapporti tra i paesi della regione. Nel frattempo però si affievolisce lo slancio iniziale e scarseggiano le risorse che avevano caratterizzato i primi anni dei processi.
Di pari passo, riprendono vigore gli sforzi delle élite al potere per assicurare l’impunità ai criminali appartenenti al proprio gruppo etnico e promuovere sostanzialmente la stessa narrazione degli anni '90.
Il progresso in questi casi dipende da un numero sostanzialmente limitato di giudici e procuratori da un lato e dall’altro dalle organizzazioni della società civile che a più stretto contatto lavorano con le vittime e con i testimoni per facilitare lo svolgimento dei processi nella regione.
Un elemento essenziale perché i processi avvengano è la presenza di osservatori e organizzazioni internazionali, che non solo seguono da vicino i lavori di giudici e procure, ma sono pronti ad intervenire per denunciare interferenze del potere politico nei confronti della magistratura.
Un altro elemento fondamentale è il fatto che processare i criminali di guerra sia diventata una delle questioni che l’Unione Europea segue regolarmente per quanto riguarda il processo di adesione e che l’Unione stessa supporti le organizzazioni che lavorano sulla giustizia transizionale in Serbia e Bosnia.
Tuttavia, ciò non basta. Le difficoltà rimangono numerose: Bosnia Erzegovina, Croazia e Serbia illustrano chiaramente la situazione. In Serbia, per esempio l’operato della procura per crimini di guerra, è stato contraddistinto da un lavoro estremamente inefficace che ha attirato le critiche non solo delle organizzazioni non governative, ma anche degli stessi procuratori.
La procura serba lavora essenzialmente sui casi che vengono trasferiti dalla Bosnia, dove le indagini si sono già concluse, ma la Bosnia non può organizzare il processo dato che l’imputato è fuggito in Serbia e, in base alla legge locale, avendo la cittadinanza serba non può esser estradato in Bosnia.
Nel corso del 2023, come riportato dal Fondo per il Diritto Umanitario, per esempio, la procura serba ha concluso solamente tre casi, rinviando a giudizio un totale di sette persone. Il più importante di questi casi è un caso trasferito dalla Bosnia Erzegovina, con cinque imputatiti, mentre gli altri due casi (con una persona indagata per ciascun caso) non sono stati ancora confermati dai giudici. Decisamente poco: nello stesso anno, la Bosnia Erzegovina ha completato 37 casi, con il rinvio a giudizio di 104 persone.
Il trend del 2023 è in linea con gli anni precedenti: dal 2017 al 2023, la procura serba ha concluso con un rinvio a giudizio solamente 39 casi, 23 dei quali trasferiti dalla Bosnia Erzegovina. Nello stesso periodo in Bosnia ci sono stati 274 casi, terminati con il rinvio a giudizio di 594 persone. Mentre per la Serbia mancano i dati sul numero di processi per crimini di guerra, in Bosnia Erzegovina, nel periodo 2004-2023, si sono conclusi 742 processi contro 1136 imputati.
Per quanto riguarda il profilo degli imputati, in Serbia le persone processate sono soprattutto imputati di basso profilo, le indagini non riguardano quasi mai ufficiali di alto rango. Indiziati eccellenti come Novak Đukić, il responsabile della strage di studenti a Tuzla nel 1994, Duško Kornjača sindaco di guerra accusato della pulizia etnica di Čajniče o Tomislav Kovać, ex ministro degli Interni della Republika Srpska e accusato del genocidio di Srebrenica, rimangono tutt’ora a piede libero.
Se si aggiunge a questa situazione che circa 1700 casi sono ancora in fase pre-investigativa e si trovano nel dipartimento della polizia criminale incaricata di investigare i crimini di guerra, è chiaro che la situazione è estremamente sconfortante in Serbia. Anche la Bosnia ha un carico arretrato di circa 3200 casi, ma il lavoro passato della procura bosniaca induce ad un maggiore ottimismo.
La questione dei crimini di guerra sembra invece esser scomparsa dal radar delle cronache croate. Le autorità croate hanno praticamente cessato la cooperazione regionale con la Serbia e declinano le richieste di assistenza da parte delle autorità della Bosnia Erzegovina: ciò vuol dire da un lato le autorità croate non collaborano su crimini commessi contro i serbi sul proprio territorio e dall’altro sono pronte a rifiutare l’estradizione di cittadini croati che si siano macchiati di crimini di guerra.
L’Ufficio della Procura di Stato croata ha difficoltà a gestire i circa 100 casi rientranti nella propria giurisdizione. I pochi processi per crimini di guerra contro imputati croato-bosniaci avvengono quasi di nascosto, come è avvenuto a Spalato in questi giorni .
D’altro canto però, la Croazia ha condotto numerosi processi in contumacia dove gli imputati erano serbi imputati crimini di guerra contro cittadini croati. La situazione della Croazia è stata definita da Serge Brammerz , il procuratore del Tribunale dell’Aja che segue questo processo come un’”interferenza politica” nell’amministrazione della giustizia e “una politica di non cooperazione con gli stati della regione per quanto riguarda i crimini di guerra commessi da sospetti avente la nazionalità croata”.
Ad aggravare il tutto, il fatto che la Croazia sia già membro dell’Unione Europea e che la questione dei crimini di guerra non venga considerata dai “Rule of Law Report” che i membri dell’Unione Europea presentano ogni anno per valutare il rispetto dello stato di diritto nei paesi dell’Unione.
Ancor più problematica la situazione in Kosovo, dove solo dal 2018 la procura di stato ha iniziato a trattare crimini di guerra. Prima di tale data, UNMIK prima e EULEX poi avevano seguito la questione.
Il trasferimento dei casi da queste due missioni alle autorità locali è stato particolarmente difficile come spiegato da Drita Hajdari, ex procuratrice per crimini di guerra, che ha ricoperto tale incarico fino a poco tempo fa. Ora dato il gelo sceso tra Belgrado e Pristina, non esiste praticamente alcuna forma di cooperazione ufficiale con le autorità serbe.
Serbia e Croazia, refugium peccatorum per i criminali di guerra
Grazie alle leggi sulla cittadinanza e al rifiuto di estradare i propri cittadini, Serbia e Croazia sono di fatto diventate il refugium peccatorum dei criminali di guerra. Al momento come fatto notare da Brammerz, sono circa 500 le persone sospettate o formalmente accusate per crimini di guerra in Bosnia Erzegovina che si trovano in Croazia o in Serbia.
Come abbiamo visto, in Serbia tali processi vengono confinati all’anonimato, senza copertura mediatica e riguardano solo i “pesci piccoli”. Ancora peggiore la situazione in Croazia, dove la scarsità di risorse della procura di stato fa dormire sonni tranquilli ai criminali di guerra fuggiti in Croazia.
È inquietante pensare che per le strade di Belgrado e Zagabria circolino così tante persone responsabili di omicidi, stupri e deportazioni e che le autorità mantengano un atteggiamento passivo o addirittura ne promuovano le gesta. È chiaro quindi che ammissioni di colpevolezza come quella di Krstić che contraddicono la narrativa ufficiale vengano accolte dal silenzio delle autorità e dei media.
Basteranno altri vent’anni?
A vent’anni dall’inizio dei processi, organizzare una conferenza regionale sui processi per crimini di guerra, cosa che non avveniva da più di dieci anni, serve quindi per fare il punto della situazione, riorganizzare le energie ma anche per mettere in evidenza che a parte chi opera nel settore, gli sforzi per processare i crimini di guerra nella ex Jugoslavia sono costantemente frustrati dalla politica.
Come fa notare il vice procuratore della Bosnia Erzegovina Matesić, le procure e i giudici stanno processando i criminali di guerra, viene da chiedersi se il resto della società e la politica siano pronti a confrontarsi col passato e a fare la propria parte.
Al momento la risposta è negativa. Ma sta subentrando la consapevolezza che la questione dei crimini di guerra, che non cadono in prescrizione, né possono esser amnistiati, continuerà per numerosi anni ancora: per esempio la Germania sta ancora perseguendo i criminali di guerra della seconda guerra mondiale .
Occorre quindi un cambio di prospettiva e un cambio di ritmo nel processare tali crimini, ma allo stesso tempo è importante esser consapevoli che questioni così importanti non possono finire nel dimenticatoio all’oscuro del resto della società.