Aleksandar Vučić e Marko Đurić durante la votazione all'Assemblea generale dell'ONU © UN Photo/Evan Schneider

Aleksandar Vučić e Marko Đurić durante la votazione all'Assemblea generale dell'ONU © UN Photo/Evan Schneider

Giovedì 23 maggio è stata approvata con una maggioranza di 84 voti a favore, 19 contrari e 68 astenuti, più una ventina di paesi che non si sono presentati, la risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite su Srebrenica. Riportiamo il clima e le reazioni in Serbia

24/05/2024 -  Massimo Moratti Belgrado

Il 23 maggio è stata approvata la risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite su Srebrenica. La risoluzione istituisce l’11 luglio come giornata di riflessione e commemorazione sul genocidio di Srebrenica. Un tentativo analogo davanti al Consiglio di Sicurezza dell’ONU era fallito nel 2015 per il veto posto dalla Russia, e quindi la proposta di risoluzione era stata presentata nei mesi scorsi all’Assemblea Generale dove non c’è il diritto di veto.

Una massiccia campagna contro la risoluzione

La Serbia e la Republika Srpska (entità della Bosnia Erzegovina) si sono da subito opposte alla proposta di risoluzione e hanno condotto un’intensa campagna contro tale iniziativa. Il messaggio chiave è “mi nismo genocidan narod”, che si potrebbe tradurre in modo poco elegante con “noi non siamo un popolo genocida”. Nei giorni precedenti il voto all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, la campagna delle autorità serbe, nella regione e all’estero è stata incessante.

Dalle persone comuni, ai media, alle istituzioni, il messaggio è stato ripetuto incessantemente. Lo ha confermato un’attempata signora di Belgrado, che con tono decisamente alterato ha sbottato: “Ma non vede quello che ci stanno facendo? Con quella risoluzione! Noi non siamo un popolo genocida!”.

Il fatto che la bozza della risoluzione fosse stata cambiata e che il testo escludesse esplicitamente il concetto di colpa collettiva di un intero popolo non ha convinto la mia interlocutrice “Ah si! E lei crede a quello che scrivono in questi documenti…”. E si è lanciata in una serie di recriminazioni contro la comunità internazionale sfoderando argomenti di vecchia data che cercano di ritrarre il popolo serbo vittima di una congiura internazionale.

La posizione della gente comune riprende la linea proposta dalle autorità serbe. La campagna non ha trascurato i social media: il profilo Instagram del presidente serbo riproduceva un video , a nome della Serbia e della Republika Srpska, dai toni piuttosto inquietanti che ribadiva “Noi non siamo un popolo genocida. Ricordiamo….”.

In occasione del voto, il presidente Vučić, si è recato a New York per una vera e propria offensiva diplomatica cercando di bloccare la risoluzione. In un messaggio carico di emozioni, Vučić ha promesso di dare il meglio di sé, per difendere il popolo serbo. Il ministro degli Esteri Marko Đurić in un commento su Politico aveva spiegato come la risoluzione servirà a far aumentare le divisioni nei Balcani, anziché promuovere la riconciliazione.

La missione a New York è stata coperta massicciamente dai media serbi, soprattutto da quelli più vicini al governo. In prima fila si sono schierati i tabloid , i cui titoli andavano da “I serbi non sono un popolo genocida” a “La lotta contro i potenti” e “La difficile battaglia per la Serbia e il popolo serbo”.

Alla voce dei tabloid, si è unito Politika, storico quotidiano serbo nell’articolo “La vendetta tedesca sui serbi ” che ha spiegato come il fatto che la Germania avesse patrocinato la risoluzione su Srebrenica non fosse nient’altro che l’ennesimo esempio di revanscismo tedesco nei confronti dei serbi, iniziato negli anni '40 del secolo scorso.

La Radiotelevisione serba, il giorno prima del voto all’ONU aveva programmato, in prima serata, un documentario che ricostruiva i “delitti senza castigo”, cioè i crimini commessi nei confronti dei serbi nella zona di Srebrenica.

Il messaggio “non siamo un popolo genocida” è stato ripreso dalla Chiesa ortodossa serba, che ha ordinato a tutte le chiese di suonare le campane alle 12 e il patriarca stesso ha invitato i fedeli alla tolleranza e fermezza contro le accuse ingiuste mosse al popolo serbo.

Anche gli edifici più importanti di Belgrado, come la nuova Torre di Belgrado, l’avveniristico palazzo di Beograd na Vodi, hanno puntualmente ripetuto il messaggio sull’enorme schermo luminoso dell’edificio. Graffiti e striscioni sono apparsi un po’ in tutta la città.

"Srebrenica non è genocidio!" Belgrado, maggio 2024 (Foto M. Moratti)

"Srebrenica non è genocidio!" Belgrado, maggio 2024 (Foto M. Moratti)

“Popolo genocida”: un’espressione oscura

Se il messaggio è stato ribadito da tutte le parti in Serbia, non è stata fatta però chiarezza su una serie di questioni.

In primo luogo, la stessa espressione “popolo genocida” è rimasta ambigua ed oscura. Il Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia infatti ha riscontrato la responsabilità penale di alcuni individui per il genocidio mentre la Corte Internazionale di Giustizia ha riscontrato la responsabilità della Serbia per non aver impedito il genocidio e successivamente punito i colpevoli, ma non per averlo commesso direttamente.

In questo senso era illogico estendere la responsabilità all’intero popolo serbo, ma né le autorità di Belgrado né quelle di Banja Luka hanno fornito spiegazioni in merito, non hanno nemmeno spiegato che un emendamento al testo della risoluzione aveva espressamente escluso responsabilità collettive, attribuibili ad un popolo intero. Il testo della risoluzione infatti, non menziona né il popolo serbo, né la Serbia o la Republika Srpska.

Un altro aspetto oscuro è legato alle conseguenze dell’etichetta di “popolo genocida”, anche in questo caso le autorità serbe sono state reticenti e non hanno spiegato ai propri cittadini cosa sarebbe avvenuto nel caso in cui la risoluzione fosse passata.

Anche qui, un emendamento al preambolo della risoluzione, spiegava che le Nazioni Unite mirano a mantenere la stabilità e promuovere l’unità nella diversità della Bosnia Erzegovina e quindi, la risoluzione non intendeva promuovere stravolgimenti costituzionali in Bosnia Erzegovina.

Né il governo serbo, né quello della Republika Srpska hanno fornito spiegazioni su cosa intendessero per “popolo genocida” preferendo invece ripetere incessantemente un concetto che zoppicava parecchio sia dal punto di vista giuridico che logico.

Le possibili spiegazioni

Viene da chiedersi quindi per quali motivi la Serbia e Republika Srpska avessero condotto una battaglia così accesa per bloccare questa risoluzione senza però fornire delle ragioni precise a parte l’ossessiva ripetizione del concetto “genocidan narod”.

Le possibili spiegazioni non si escludono, ma anzi si rafforzano a vicenda.

Una prima possibile spiegazione è data da ragioni di politica interna. In Serbia le elezioni amministrative, incluse quelle per Belgrado, si terranno tra poco più di due settimane e il Partito progressista serbo (SNS) ha usato la discussione all’ONU per mobilitare ancora una volta gli elettori, dopo le incertezze del dicembre scorso, e per silenziare l’opposizione che si è dovuta appiattire sulle posizioni della maggioranza. Lo stesso vale per la Republika Srpska, dove le elezioni si terranno ad ottobre. Tale opinione è stata anche espressa da alcune importanti ONG serbe come la Youth Initiative for Human Rights.

Una seconda ragione è data dal fatto che la risoluzione, come sottolineato da Amnesty International, ribadisce alcuni obblighi collegati al crimine di genocidio. In questo senso, la risoluzione invita tutti i paesi a punire i responsabili per il genocidio, a non glorificare i criminali di guerra e ad inserire nei propri programmi educativi una spiegazione dei fatti per come sono avvenuti, senza distorsioni affinché il genocidio non possa ripetersi.

Questi sono tre punti dolenti sia per la Serbia che per la Republika Srpska, dove i processi contro i criminali di guerra stanno andando a rilento (con oltre 1.700 casi in cui le indagini non sono mai iniziate ) e alcune persone condannate per crimini di guerra continuano a ricoprire cariche pubbliche e godere di visibilità. In questo contesto, non è irrilevante il fatto che lo stesso Vučić avesse una posizione di rilievo nel partito radicale serbo ai tempi del conflitto in Bosnia e successivamente fosse diventato ministro dell’Informazione ai tempi di Milošević.

Infine, un’altra possibile ragione è che la risoluzione fa esplicito riferimento al crimine di genocidio, uno dei più gravi crimini internazionali, con una definizione ben precisa e chiari obblighi internazionali, mentre sia in Serbia che in Republika Srpska ci si riferisce a Srebrenica come un “terribile crimine” o un “massacro”, definizioni piuttosto vaghe e difficili da inquadrare dal punto di vista giuridico, ma che sostengono la narrazione che tutte le parti sono vittime e colpevoli alla stessa maniera. Tale narrazione tende quindi a relativizzare Srebrenica e ad inserirla in un contesto più ampio dove tutte le colpe più o meno sono equamente distribuite.

La risoluzione viene approvata

Alla fine la risoluzione è stata approvata con una maggioranza di 84 voti a favore, 19 contrari e 68 astenuti, più una ventina di paesi che non si sono presentati.

Vučić ha sottolineato come la risoluzione stessa ha provocato divisioni non solo nella regione ma nella stessa Assemblea Generale e che coloro che volevano stigmatizzare il popolo serbo hanno fallito nel loro intento.

Vučić ha concluso la seduta all’Assemblea Generale avvolto nella bandiera serba. Una simile conclusione è stata raggiunta da Dodik, il quale ha poi annunciato che la Republika Srpska ha sollevato la questione di una separazione consensuale dalla Federazione di Bosnia Erzegovina, perché dopo quanto avvenuto non ha più senso continuare a vivere assieme nel paese.

Le prime reazioni a caldo sono abbastanza prevedili e in linea con quanto anticipato prima della votazione.

La sorpresa della giornata è stato il numero di astensioni all’Assemblea Generale, frutto evidente dell’offensiva diplomatica dei vertici serbi che al rientro in patria riusciranno a presentare la missione come un paradossale successo dato che il popolo serbo non è stato etichettato come “popolo genocida” (anche perché tale etichetta non esiste).

Le prime pagine dei tabloid e di Politika del 24 maggio già celebravano, e questa non dovrebbe essere una sorpresa, la  vittoria morale seppur nella sconfitta . Nel centro di Belgrado, il 23 sera, un corteo di auto con le bandiere serbe, “spontaneamente” organizzato, è sfilato per le vie cittadine . Celebravano la sconfitta legale o la vittoria morale?