Circa 200 tra giornali, agenzie di stampa e organizzazioni della società civile in Serbia hanno aderito ad una campagna per la libertà dei mezzi di informazione, #ZaSloboduMedija, in seguito alla chiusura del giornale "Vranjske Novosti". Una rassegna
(Pubblicato in collaborazione con East Journal)
La Federazione Europea dei Giornalisti (EFJ) ha deciso di inviare in Serbia una missione internazionale per monitorare le condizioni della libertà di stampa, peggiorate negli ultimi anni, invitando il Consiglio d'Europa e l'OSCE affinché facciano pressioni al Presidente della Repubblica, Aleksandar Vučić, circa quello che viene definito “buio mediatico”.
La decisione dell'EFJ è solo l'ultimo capitolo, risalente a venerdì 13 ottobre, della lotta per la libertà di informazione che i giornalisti stanno portando avanti in Serbia dallo scorso settembre.
Gli ultimi fatti
"Accade questo quando non c'è libertà di informazione": uno schermo totalmente nero fa da sfondo a questa scritta e a tre hashtag di supporto alla protesta per la libertà dei media in Serbia.
Sono 182 i giornali, le agenzie di stampa e le organizzazioni della società civile che lo scorso 28 settembre hanno aderito all'iniziativa simbolica contro il buio mediatico in Serbia oscurando i propri siti con questa schermata.
La protesta è nata in seguito alla chiusura, lo scorso 18 settembre, del giornale “Vranjske Novosti”, un settimanale che ha sede a Vranje e che per oltre vent'anni è stato tra i più prominenti media indipendenti del paese. La motivazione ufficiale riguarderebbe la difficile situazione finanziaria del giornale ma, come viene sostenuto da molti colleghi in Serbia, la vera motivazione è la pressione politica subita dal suo fondatore e direttore, Vukašin Obradović, che in passato è stato anche presidente dell'Associazione Indipendente dei Giornalisti Serbi (NUNS).
All'indomani della chiusura del giornale, Obradović aveva annunciato l'inizio dello sciopero della fame per attirare l'attenzione circa “l'insignificanza della lotta per la libertà di informazione che ho portato avanti negli ultimi trent'anni” - come ha dichiarato lo stesso Obradović.
Il giorno dopo, in solidarietà con Obradović, centinaia di giornalisti e cittadini si sono riuniti di fronte al palazzo del governo prendendo le difese del direttore del giornale con il messaggio “Stojimo uz Vranjske” (dalla parte di Vranjske), invitando lo stesso Obradović a interrompere lo sciopero della fame.
Successivamente, il 5 ottobre, in occasione dell'anniversario della caduta di Milošević, gli aderenti all'iniziativa si sono riuniti per firmare in modo congiunto una “Dichiarazione per la libertà di stampa”.
“Noi – cittadini e cittadine, giornalisti e giornaliste, agenzia di stampa e organizzazioni della società civile – chiediamo che finisca l'oppressione politica, fisica e finanziaria subita dai media; che si fermino gli attacchi verso coloro che parlano e pensano liberamente; che ai giornalisti sia consentito di lavorare in modo professionale, responsabile e rispettoso, senza compromettere la loro libertà e la loro esistenza”, come si legge nel primo punto della dichiarazione.
Inoltre, in contemporanea alla chiusura di Vranjske, il ministro della Difesa Aleskandar Vulin aveva definito come “drogato” il direttore di KRIK (centro di giornalismo investigativo sul crimine e la corruzione), Stevan Dojčinović, in relazione alle indagini condotte circa l'appartamento di proprietà di Vulin in centro a Belgrado, per il quale lo stesso ministro ha dichiarato essere stato comprato con un prestito da oltre 200 mila euro di una zia che vive in Canada, fatto poi smentito dall'Agenzia delle entrate serba.
Come all'epoca di Milošević, anzi peggio
“La situazione di oggi è molto peggio rispetto all'epoca Milošević. Gli uomini di Milošević uccidevano i giornalisti, mentre l'attuale governo no, o meglio – come dico sempre – non lo fa ancora”, afferma Slaviša Lekić, presidente di NUNS, intervistato lo scorso 8 ottobre da Radio Free Europe.
Secondo i giornalisti che lavorano per quei pochi media indipendenti rimasti il nocciolo della questione sarebbe la figura di Aleksandar Vučić e la sua intolleranza verso la libertà di stampa. Va infatti ricordato che Vučić, durante il governo di Milošević, era ministro dell'informazione, ovvero a capo di quella macchina propagandistica che sosteneva il regime e durante il quale molti giornalisti non allineati al potere vennero uccisi, come nel caso di Slavko Ćuruvija, giornalista dissidente assassinato nel 1999.
“Nel corso della sua lunga carriera politica – sia al governo che all'opposizione – Vučić ha imparato come controllare i media e come governare grazie al loro aiuto. Questa è la caratteristica comune al regime di Milošević e a quello attuale. I media sono i principali portavoce del governo attuale”, afferma Nedim Sejdinović, presidente dell'Associazione Indipendente dei Giornalisti di Vojvodina, intervistato lo scorso 8 ottobre da Radio Free Europe.
Il riferimento di Sejdinović è a tutti quei giornali e televisioni che vengono definiti pro-regime, come ad esempio il quotidiano Informer e la televisione Pink, che godono dell'appoggio del governo, ne condividono le posizioni e non risparmiano attacchi verbali, linciaggi pubblici e offese diretti ai leader dell'opposizione.
Come testimonia il grafico a cura di Freedom House, la situazione della libertà di stampa in Serbia è andata ulteriormente peggiorando da quando Vučić è diventato primo ministro nel 2014.
Da allora, oltre all'allineamento di molti media alle posizioni del governo, sono diversi i casi di giornali e televisioni che rischiano la chiusura, come accadde all'indomani delle ultime elezioni presidenziali al quotidiano Danas, che alla vigilia delle elezioni si rifiutò, a differenza di tutti i quotidiani del paese, di pubblicare in prima pagina il logo e il motto di Vučić. Nelle settimane successive, inaspettatamente e senza apparenti motivi, tutte gli inserzionisti decisero di ritirare le pubblicità da Danas, minacciandone la sopravvivenza.
Quella che sta andando avanti da oltre un mese è quindi una battaglia per la quale i giornalisti indipendenti chiedono l'intervento della comunità internazionale.
I giornalisti dell'EFJ hanno infatti chiesto al Commissario europeo per la politica di vicinato e i negoziati per l'allargamento, Johannes Hahn, di intervenire affinché in Serbia vengano rispettati gli standard europei di libertà di espressione e di libertà dei media e affinché il percorso di integrazione della Serbia sia coerente con i valori condivisi nell'Unione Europea.
Le redazioni di East Journal e di OBCT Transeuropa aderiscono all'iniziativa “#StopMedijskomMraku”
This publication has been produced within the project European Centre for Press and Media Freedom, co-funded by the European Commission. The contents of this publication are the sole responsibility of Osservatorio Balcani e Caucaso and its partners and can in no way be taken to reflect the views of the European Union. The project's page