Le pressioni delle due potenze occidentali sulla Serbia e Montenegro riguardano più che altro la firma dell'accordo bilaterale con gli USA sulla non consegna dei suoi cittadini al TPI. Un difficile dilemma che la SM dovrà risolvere.
Abbiamo chiesto a Željko Cvijanović, già capo redattore del settimanale belgradese "Blic News", corrispondente del settimanale di Sarajevo "DANI" e collaboratore di IWPR, di tracciare un profilo della posizione della Serbia e Montenegro nei confronti degli USA e della UE
Dopo la morte di Zoran Djindjic l'influenza degli USA su Belgrado si è rafforzata a scapito della UE. Questo significa che la Serbia e Montenegro avrà delle grosse difficoltà ad opporsi alle richieste di Washington, ossia di firmare l'accordo sulla non consegna dei cittadini americani al Tribunale penale internazionale.
In base a quanto riceverà di più da Washington o da Bruxelles nella seconda metà di giugno, la leadership della Serbia e Montenegro (SM) darà la precedenza, nelle sue opzioni strategiche, ad uno o all'altro dei potenti partner.
Questa scelta di Belgrado, tuttavia, non è volontaria: è stata ricattata con la richiesta di Washington del mese scorso, di sottoscrivere con la SM l'accordo bilaterale sulla non consegna di cittadini americani al permanente Tribunale penale internazionale.
"È indubbio che qualsiasi cosa faremo avremo di che pentirci", il difficile dilemma di Belgrado lo ha illustrato nel modo migliore Rasim Ljajic, il ministro della SM per i diritti delle minoranze.
Egli ha spiegato che rifiutare la firma sull'accordo può ostacolare l'aiuto politico ed economico degli americani a Belgrado, mentre se fosse firmato si altererebbero le relazioni tra la SM e Bruxelles, che invece è contraria all'immunità dei cittadini americani.
Peggiorare le relazioni con l'UE sarebbe per Belgrado particolarmente svantaggioso, proprio nel momento in cui al summit di Salonicco, che si terrà il 21 giugno, la SM si aspetta un consenso di Bruxelles sull'inizio del processo di accoglienza nella UE secondo una procedura accelerata.
Con ciò la povera SM è costretta a decidere su uno dei più pesanti conflitti tra gli USA e la UE, iniziato due anni fa, quando venne costituito il Tribunale penale internazionale.
Già a quel tempo gli USA si opposero fortemente alla possibilità che presso il TPI si trovassero i cittadini americani, temendo soprattutto per i membri delle forze armate americane, i quali si trovano in missioni militari i tutto il mondo.
Tuttavia, grazie a una pressione uniforme della maggior parte dei paesi del mondo, gli USA acconsentirono alla creazione del tribunale, ma al contempo iniziarono un'ampia azione con numerosi stati per ottenere la firma dell'accordo bilaterale di non estradizione di cittadini americani.
Fino ad ora questo accordo bilaterale con gli USA è stato siglato da 28 paesi.
Un grande dilemma di fronte al quale si è trovata Belgrado (secondo le richieste di Washington deve essere risolto entro il 1° di luglio), dilemma che, tuttavia, nelle scorse settimane nemmeno i rappresentanti degli USA e dell'UE hanno reso più facile.
Da una parte, gli USA con tale firma hanno condizionato il loro aiuto militare a Belgrado, che tre mesi fa, sotto il forte appoggio e controllo di Washington e Londra, probabilmente ha iniziato la più fondamentale riforma delle sue forze armate di tutta la sua storia.
Forse per questo il ministro della difesa della SM, Boris Tadic, si è più che esplicitamente dichiarato, in diffuse e piuttosto stringate dichiarazioni, a favore della firma dell'accordo con gli USA.
"La decisione deve includere tutti i termini razionali. Essa deve includere anche la nostra futura strategia della difesa", ha dichiarato Tadic.
Allo stesso tempo, numerosi funzionari a Belgrado credono che gli USA abbiano un interesse maggiore della UE per una partnership strategica con la forte Serbia intesa come una sorta di leader politico nei Balcani Occidentali.
Dall'altra parte, Washington ha al contempo offerto a Belgrado una "carota" piuttosto concreta.
Vale a dire, sebbene durante gli scorsi anni l'aiuto a Belgrado sia sempre stato condizionato in modo drammatico con gli arresti degli accusati dal Tribunale dell'Aia per i crimini di guerra, l'aiuto di quest'anno sarà fornito senza i precedenti toni da ultimatum.
L'unica condizione, affinché il presidente americano George Bush proponga al Congresso che a Belgrado quest'anno giungano i previsti 110 milioni di dollari, sarebbe la cattura di Veselin Sljivancanin, ufficiale dell'esercito jugoslavo accusato di crimini di guerra a Vukovar nel 1991.
Nonostante che solo tre mesi fa gli USA avessero richiesto in modo ultimativo anche la consegna del generale Ratko Mladic (entro il 15 giugno, quando Bush dovrebbe proporre l'aiuto a Belgrado) nessuno a Washington ha più nominato l'accusato di genocidio e comandante dei serbi di Bosnia del quale si crede sia nascosto in Serbia.
Nella notte tra il 12 e il 13 giugno a Belgrado la polizia ha arrestato Sljivancanin, col che sono svanite tutte le possibilità che la risposta americana sia negativa.
Dall'altra parte, le parole di avvertimento a Belgrado arrivano anche da Bruxelles, che fa sapere che non avrà alcuna compressione per la SM se dovesse firmare l'accordo con Washington.
Peter Schieder, presidente dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, ha detto a Belgrado di sapere che alcuni paesi "per motivi di dipendenza strategica ed economica dagli USA hanno dovuto firmare l'accordo", ma che la SM non è fra quelli.
"Il vostro paese non si trova in quella situazione e voi potete vivere normalmente anche senza quelle comodità", ha fatto sapere Schieder ai politici di Belgrado.
Egli ha rammentato che la Serbia e Montenegro è "un paese che un giorno diventerà membro della UE e che per questo dovrebbe avvicinarsi agli standard europei".
Tre mesi fa questo dilemma di Belgrado era decisamente minore, dal momento che il defunto premier della Serbia Zoran Djindjic, a quel tempo, si era piuttosto abilmente bilanciato tra la UE e gli USA.
Ossia, mentre il suo partner montenegrino Milo Djukanovic, il quale gode di relazioni decisamente migliori con Washington piuttosto che con Bruxelles, aveva appoggiato l'attacco americano all'Iraq, Djindjic senza conseguenze politiche era riuscito ad evitare di esprimersi in tal modo.
La morte di Djindjic, tuttavia, è stata l'inizio di una forte offensiva su Belgrado da parte degli USA e del suo principale consigliere europeo la Gran Bretagna.
L'influenza di Londra e Washington in questo momento si è così ingrandita rispetto a quella della UE che gli ambasciatori britannico e americano hanno avuto un alto grado di controllo persino sull'azione dell'arresto degli assassini di Djindjic.
Allo stesso tempo, a Belgrado si accelerano fortemente le riforme dell'esercito e dei servizi serbi di informazione, i quali si svolgono sotto il protettorato di quei due paesi.
Dall'altra parte, rifiutare l'appoggio a Washington potrebbe peggiorare i rapporti tra la Serbia e il Montenegro, il cui premier Milo Djukanovic non ha alcun dubbio sull'appoggio agli USA.
Ciò significa che le possibilità che Belgrado dica esplicitamente no a Washington sono molto scarse, in particolare non nel momento in cui il premier serbo Zoran Zivkovic ha dichiarato che la Serbia gode delle migliori relazioni con gli USA degli ultimi 50 anni.
"Sappiamo qual è la nostra priorità, ma non ha senso che si vada in conflitto con l'America" ha dichiarato su questa questione anche il ministro della giustizia Vladan Batic.
Un cambiamento potrebbe verificarsi solo in un caso: se al summit della UE a Salonicco venisse emesso il termine per l'accoglienza della SM, questo significherebbe che Belgrado ha saltato parecchi gradini della sua strada verso la UE.
Ma Goran Svilanovic, capo della diplomazia della SM, afferma che non si deve nutrire una irreale aspettativa a Salonicco, in particolare riguardo l'accoglienza della SM nella UE entro il 2007, ciò che propina Zivkovivc.
Malgrado ciò, la proposta di accordo bilaterale della SM con gli USA, che già si prepara al ministero degli esteri, non verrà pronunciato a favore degli USA.
Secondo nostri contatti presso questo ministero, a prescindere dai risultati di Salonicco, tale accordo cercherà di soddisfare anche gli interessi dell'UE, sebbene la priorità sarà soddisfare gli interessi degli USA.
Un modello relativamente riuscito per fare ciò esiste già: la maggior parte dei paesi che hanno siglato questo accordo con gli USA hanno ottenuto che i contratti venissero ratificati nei rispettivi parlamenti.
Ma dei 28 paesi che hanno firmato con gli USA l'accordo sulla non consegna dei loro cittadini, solo due fino ad ora lo hanno ratificato.