Durante il Pride del 2022 a Belgrado © Suburbanium/Shutterstock

Durante il Pride del 2022 a Belgrado © Suburbanium/Shutterstock

Nel libro Coming in. Sexual Politics and EU Accession in Serbia, Koen Slootmaeckers spiega come le tensioni tra la politica nazionalista della Serbia e il suo impegno verso l’europeizzazione si siano risolte in un approccio utilitaristico ai diritti LGBT. L'autore offre inoltre un riesame critico dell’europeizzazione dei diritti LGBT e del processo di allargamento dell’UE

29/08/2023 -  Laura Luciani

 

(Originariamente pubblicato sul blog della London School of Economics , il 26 giugno 2023)

Nel luglio dello scorso anno, la Commissione europea aveva presentato un ricorso presso la Corte di giustizia dell’UE contro “la legge anti-LGBTQI+” adottata dall’Ungheria, sostenendo che la normativa discriminatoria “va contro tutti i valori fondamentali dell’Unione europea”. Successivamente, quindici stati membri hanno appoggiato "la più grande causa riguardante i diritti umani della storia giuridica dell'UE" che potrebbe sancire i diritti LGBT come parte integrante dei valori fondamentali dell’UE.

In questo contesto, il libro Coming in. Sexual Politics and EU Accession in Serbia di Koen Slootmaeckers è un puntuale promemoria sulla natura contestata dei “valori europei” e sugli ambigui effetti politici e sociali che il simbolismo dei diritti LGBT produce all’interno del processo di allargamento dell’UE.

Anziché dare per scontata l’apertura dell’UE verso le persone LGBT, nel libro si sostiene che le norme dell’UE “vengono create e riprodotte attraverso il suo rapporto con i paesi candidati”. L’analisi si concentra sul caso della Serbia (2001-2015), apparentemente un frontrunner dell’integrazione europea, il cui rapporto con l’UE resta però complicato per via dell’irrisolta questione del Kosovo (ed è, come suggerisce il libro, inestricabilmente legato alle vicende interne riguardanti la questione LGBT). Basato su una ricerca portata avanti per oltre dieci anni, un cospicuo numero di interviste, analisi dei documenti e osservazioni partecipate condotte durante gli eventi LGBT in Serbia, il libro fornisce un affascinante resoconto di come la promozione dei diritti LGBT e l’opposizione ad essi siano plasmate da un complesso intreccio tra politica internazionale e interna.

La prima parte del libro, che affronta la questione sul piano teorico, polemizza con la letteratura esistente sull’europeizzazione, caratterizzata, per la maggior parte, da un approccio top-down e dalla tendenza a concentrarsi sui risultati politici. Invece di scartarla in toto, Slootmaeckers propone di riconcettualizzare l’europeizzazione in termini relazionali e dinamici: si tratta di “un processo politico di transizioni negoziate” (29) dove il contenuto e il significato delle trasformazioni che l’UE richiede come parte del processo di allargamento vengono continuamente (ri)definite, senza alcun punto finale fisso. Attingendo al pensiero queer e femminista, il libro colloca l’europeizzazione dei diritti LGBT in un contesto internazionale segnato dall’omonazionalismo (tendenza per cui lo status di una nazione considerata “gay friendly” funge da standard di civiltà) e prende sul serio i processi di costruzione dell’identità e di alterizzazone Est-Ovest, insiti nell’allargamento dell’UE. In questo contesto, Slootmaeckers introduce il concetto di “europeizzazione tattica” per cogliere e conciliare i processi, apparentemente contraddittori, per cui le riforme riguardanti i diritti LGBT vengono attuate dai paesi candidati “per dimostrare l’europeità a livello internazionale, mentre sul piano interno vengono dissociate da quei valori” (15).

Questa asserzione teorica viene ulteriormente approfondita nella seconda parte del libro, in cui Slootmaeckers meticolosamente ricostruisce i processi del cambiamento giuridico e politico in Serbia. Questa analisi longitudinale rivela come “la complessa battaglia normativa” che caratterizza il rapporto tra l’UE e la Serbia abbia inciso sull’adozione delle politiche di contrasto alle discriminazione e sulla storia del Pride di Belgrado. L’autore spiega come le tensioni tra la politica nazionalista della Serbia e il suo impegno verso l’europeizzazione si siano risolte in un approccio utilitaristico ai diritti LGBT, dove i progressi compiuti vengono ostentati a livello internazionale, mentre nel paese vengono ignorati oppure attivamente minati. Slootmaeckers dimostra in modo convincente che l’europeizzazione tattica è resa possibile dalle stesse pratiche che l’UE utilizza per monitorare “i progressi” nell’ambito del diritti LGBT, ma anche dalla tendenza dell’UE a “privilegiare le identità geopolitiche a quelle normative” (128) quando si trova a dover fare i conti con una resistenza che si manifesta contemporaneamente in diversi ambiti, nello specifico nell’ambito del dialogo tra Serbia e Kosovo e in quello dei diritti fondamentali.

La questione del progresso – come viene concepito e a chi è rivolto – diventa centrale nell’ultima, e probabilmente la più avvincente parte del libro, che affronta la spaccatura tra riconoscimento istituzionalizzato dei diritti LGBT, sponsorizzato dall’UE, ed esperienze di oppressione quotidiana realmente vissute. Slootmaeckers dimostra che le leggi antidiscriminazione rischiano di restare lettera morta se le persone LGBT non chiedono giustizia per il timore di un coming out forzato, e quindi di un’ulteriore esclusione sociale come conseguenza della decisione di denunciare atti discriminatori in una società omofoba. Inoltre, scalfendo la precaria superficie del progresso fornito da uno svolgimento “sicuro” e “ben riuscito” del Pride di Belgrado, l’autore descrive come questo strumento di attivismo sia stato depoliticizzato dal “pink testing” messo in atto dall’UE (la prassi di utilizzare il Pride come un banco di prova dell’europeità nel processo di allargamento) e, allo stesso tempo, schiacciato all’interno di una performance, militarizzata e tollerata dallo stato, “svuotata di qualsiasi politica trasformativa” (183). Mettendo al centro le esperienze e le voci delle persone LGBT in Serbia, questa sezione del libro scardina le convinzioni profondamente radicate nel processo di elaborazione delle politiche, nell’attivismo e negli studi sui diritti umani, al contempo svelando i veri danni che “l’inclusione dei Pride in una più ampia politica internazionale (civilizzatrice)” (169) può provocare.

Il principale messaggio che Coming in ci trasmette è che dovremmo essere “sempre scettici nei confronti delle istituzioni sovrane come (auto-proclamati) agenti del bene” (187). Nella sua conclusione, Slootmaeckers invita i lettori a continuare a spingere “per un’Unione europea che vada oltre i suoi bias istituzionali, oltre i suoi paradigmi neoliberisti, un’Unione capace di abbracciare l’essenza del progetto di giustizia sociale e trasformare radicalmente il sistema in modo da poter proteggere innanzitutto i suoi membri più emarginati (187). Tuttavia, il libro non ci dice molto su come le persone LGBT in Serbia immaginano tale progetto di emancipazione queer, né tanto meno ci dice quale ruolo l’UE dovrebbe eventualmente giocarvi. Se la colonialità insita nell’allargamento dell’UE, con il suo lessico imperniato su diritti umani apolitici e relazioni asimmetriche tra donatori e beneficiari, non ci permette di compiere la svolta che desideriamo, quali alternative e spazi restano per una politica queer e intersezionale di solidarietà che non sia incentrata sull’EUropa? E (come) sarà possibile, dal punto di vista metodologico, rendere visibili queste politiche alternative nel campo accademico degli studi sull’UE e l’europeizzazione? Questi interrogativi restano aperti.

Riassumendo, Coming in fornisce il tanto necessario riesame critico dell’europeizzazione dei diritti LGBT e del processo di allargamento dell’UE, esortandoci a esaminare costantemente le motivazioni politiche che si celano dietro ai cambiamenti sul piano giuridico e a chiederci se “il progresso” si traduca in effettivi miglioramenti della vita o in un’ulteriore esclusione delle comunità emarginate. In un momento, come quello attuale, in cui la retorica geopolitica e i binarismi di civiltà sembrano essere ulteriormente normalizzati, l’invito di Slootmaeckers all’autoriflessività nella politica estera dell’UE risuona forte e ha implicazioni che vanno ben oltre il particolare ambito politico e focus geografico del libro.