Ritratto di Noam Chomsky

Noam Chomsky (© IV. andromeda/Shutterstock)

400 intellettuali di tutto il mondo - tra cui Jürgen Habermas, Étienne Balibar, Francis Fukuyama, Yuval Noah Harari e Noam Chomsky - hanno aderito ad un appello lanciato dall’Istituto di filosofia e teoria sociale dell’Università di Belgrado per garantirne indipendenza e libertà

04/06/2020 -  Antonela Riha Belgrado

In Serbia le istituzioni accademiche rischiano di subire la stessa sorte che hanno subito le istituzioni in Ungheria, Polonia e Turchia, dove i regimi autoritari, ricorrendo a misure repressive, cercano di soffocare il pensiero critico e la libertà di espressione. Un timore espresso non solo da ambienti intellettuali serbi, ma anche da quelli internazionali.

Jürgen Habermas, Judith Butler, Francis Fukuyama, Axel Honneth, Nancy Frazer, Noam Chomsky, Antonio Negri, Yanis Varoufakis, Thomas Picchetti, Yuval Noah Harari, Étienne Balibar, Jacques Rancière, Jean-Luc Marion, Timothy Snyder, Martha Nussbaum, Fredric Jameson sono solo alcuni dei 400 intellettuali provenienti da oltre 200 università di tutto il mondo che hanno aderito all’Appello alla solidarietà lanciato dall’Istituto di filosofia e teoria sociale dell’Università di Belgrado.

Stato di emergenza

Stando alle parole dei dipendenti, l’Istituto di filosofia e teoria sociale si trova in una situazione di emergenza dal marzo dell’anno scorso quando il governo serbo ha nominato il nuovo Consiglio di amministrazione. Alla guida del Consiglio è stato piazzato Zoran Avramović, più noto per la sua attività di promozione della figura e dell’operato di Vojislav Šešelj, condannato dal Tribunale dell’Aja per crimini di guerra, che per i suoi contributi scientifici. Per quanto riguarda la sua carriera politica, Avramović è riuscito a diventare membro della dirigenza del partito di governo (Partito progressista serbo, SNS) guidato dal presidente Aleksandar Vučić.

La nomina di Avramović come presidente del nuovo Consiglio di amministrazione è arrivata dopo che gli scienziati dell’Istituto avevano appoggiato le proteste anti-governative scoppiate nel novembre 2018. In una lettera inviata al presidente Aleksandar Vučić e alla premier Ana Brnabić nell’aprile dell’anno scorso, i dipendenti dell’Istituto hanno sottolineato che l’intenzione della nuova amministrazione è quella di “incidere in modo non democratico sull'assunzione del personale, di cambiare radicalmente l’orientamento programmatico del nostro operato scientifico, nonché di annullare tutti gli sforzi pregressi grazie ai quali siamo riusciti a far diventare l’Istituto un importante punto di riferimento per la comunità scientifica serba, regionale, europea e mondiale”.

Nel gennaio di quest’anno è stato nominato anche il nuovo direttore ad interim dell’Istituto. Si tratta di Veselin Mitrović che, stando alle parole dei dipendenti, non ha alcuna esperienza nella gestione di un’istituzione scientifica. La nuova dirigenza è riuscita – come affermano gli scienziati in rivolta – a ostacolare alcuni progetti dell’Istituto volti a rafforzare la collaborazione scientifica nei Balcani, nonché i progetti realizzati nell’ambito dei programmi Horizon 2020 e Jean Monnet.

L’Istituto di filosofia e teoria sociale dell’Università di Belgrado fu ufficialmente istituito nel 1981, ma le basi per la sua fondazione furono gettate – come viene spesso sottolineato – già nel 1968 dopo le proteste degli studenti contro le disuguaglianze sociali in ex Jugoslavia. Nel corso del tempo, l’Istituto ha accolto tra i suoi membri molti intellettuali di spicco critici nei confronti dell’ordinamento sociale e del potere politico, tra cui anche Zoran Đinđić, il premier serbo ucciso nell’attentato del 12 marzo 2003.

La Serbia sempre più simile all’Ungheria

Era da tanto tempo che la Serbia non era oggetto di così tanta attenzione a livello mondiale, soprattutto da parte dell’élite intellettuale internazionale, come oggi. L’appello lanciato dall’Istituto di filosofia e teoria sociale per denunciare le pressioni a cui è sottoposto è stato pubblicato prima dal quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung, poi dal quotidiano francese Le Monde e da numerosi portali di tutto il mondo, nonché dai pochi media indipendenti in Serbia.

Uno dei firmatari dell’appello, Francis Fukuyama, ha dichiarato all’emittente Voice of America che “purtroppo, sotto la guida del presidente Vučić, il paese si sta muovendo fermamente in una direzione autoritaria”, e ha paragonato Vučić a Viktor Orbán.

In un’intervista rilasciata alla stessa emittente, Judith Butler ha affermato che “il governo serbo contribuisce alla censura, al controllo dell’opinione pubblica e al rafforzamento del potere statale nei confronti dei media. [...] Se è interessata a rafforzare il suo legame con l’Europa, [la Serbia] non dovrebbe attaccare i più rinomati intellettuali della tradizione europea del pensiero sociale critico”.

Qualche giorno più tardi, lo scorso 28 maggio, Noam Chomsky ha inviato una lettera al presidente Vučić in cui ha affermato: “È profondamente sconvolgente scoprire che questo straordinario Istituto oggi si trova nel mirino del potere, è l’ennesima manifestazione della piaga che si sta diffondendo nella regione, nel modo più palese in Ungheria, dove le istituzioni accademiche, scientifiche e culturali subiscono duri attacchi, ed è un grave danno per l’intera società. Spero che la Serbia non imbocchi questa strada buia”.

Il regime ignora le critiche

Ad oggi il presidente Vučić non ha reagito in alcun modo alle critiche e agli appelli che gli sono stati rivolti da alcuni dei più importanti intellettuali a livello internazionale. In Serbia è in corso la campagna elettorale per le elezioni politiche, fissate per il prossimo 21 giugno. Ci si aspetterebbe che la questione dell’indipendenza delle istituzioni scientifiche trovasse posto nell’agenda di tutti i partiti che partecipano alla corsa elettorale, eppure nessuno ne parla.

L’Istituto di filosofia e teoria sociale è solo una delle tante istituzioni accademiche sotto attacco, e i meccanismi di pressione usati dal regime sono ben noti. Le persone competenti vengono destituite e rimosse e al loro posto vengono piazzati i funzionari obbedienti, tutto allo scopo di soffocare ogni pensiero critico. L’opinione pubblica serba è talmente sommersa da vari scandali, da campagne condotte dal regime contro nemici immaginari, da accuse di tradimento rivolte a chiunque la pensi diversamente che anche le notizie su quanto accade all’Università finiscono per confondersi nel mormorio generale in cui ognuno, individuo e istituzione, deve lottare per se stesso per sopravvivere e mantenere la propria integrità.

Una delle prove che rimarranno a testimonianza del carattere autoritario dell’attuale regime serbo è l'ultimo rapporto di Freedom House che ha declassato la Serbia, per la prima volta dal 2003, da democrazia parzialmente consolidata a “regime ibrido”, segnato da un potere autoritario come conseguenza di riforme democratiche incompiute.

Nell’ultimo mese e mezzo, alcuni parlamentari europei provenienti da diversi partiti hanno inviato due lettere al Commissario europeo per l’Allargamento Olivér Várhelyi in cui hanno duramente criticato il regime di Aleksandar Vučić per le violazioni dei diritti umani durante lo stato di emergenza introdotto a causa della pandemia di coronavirus e per la mancanza delle condizioni necessarie per lo svolgimento di elezioni democratiche.

La solidarietà degli scienziati di tutto il mondo, la loro adesione all’appello in difesa dell’Istituto di filosofia e teoria sociale di Belgrado è un gesto che va oltre l’attualità politica. È un serio monito che la Serbia si sta avviando verso una “strada buia”.