In Serbia il prossimo 3 aprile si vota per le presidenziali, politiche e per le amministrative in alcuni comuni del paese. La campagna elettorale si svolge all'ombra della guerra in Ucraina e con condizioni di disparità tra i concorrenti dettate dal governo del presidente serbo Aleksandar Vučić
Mancano meno di tre settimane al 3 aprile, quando in Serbia si terranno le elezioni presidenziali e quelle comunali nella capitale Belgrado. Lo stesso giorno i cittadini serbi saranno chiamati a votare anche alle elezioni politiche anticipate, nonché alle elezioni amministrative in dodici comuni del paese . Sono circa 6,8 milioni gli aventi diritto al voto, compresi i votanti della diaspora.
Domenica 13 marzo è scaduto il termine per la presentazione delle candidature. Sono otto i candidati che si sono presentati per le elezioni presidenziali e sedici le liste per le elezioni politiche . Dai sondaggi condotti finora si evince che Zdravko Ponoš , ex capo di Stato maggiore dell’esercito serbo, candidato alle presidenziali proposto dalla coalizione Ujedinjena Srbija [Serbia unita], potrebbe imporsi come principale sfidante di Aleksandar Vučić nella corsa alla presidenza della Repubblica.
Delle sedici liste presentatesi per le politiche , ad avere maggiori possibilità a entrare in parlamento, oltre ai partiti che fanno parte dell’attuale maggioranza di governo, sono la summenzionata lista “Serbia unita” guidata da Dragan Đilas e Vuk Jeremić, poi la lista della coalizione “Moramo” [Dobbiamo] che riunisce alcuni partiti e movimenti ambientalisti, quella della coalizione “Nada” [Speranza] composta da partiti e forze conservatrici e quella della coalizione guidata dall’ex presidente della Serbia Boris Tadić. Poi ci sono sei liste guidate dai partiti delle minoranze nazionali, mentre la maggior parte delle restanti liste è composta da forze posizionate a destra dello spettro politico, tra cui spiccano i movimenti Zavetnici e Dveri.
Dal boicottaggio alla corsa elettorale
Gran parte dei partiti di opposizione aveva boicottato le elezioni politiche del 2020, ritenendo che non ci fossero condizioni per lo svolgimento di elezioni eque e libere. Diversi i motivi che avevano spinto le forze di opposizione a non partecipare alle ultime elezioni, dalle liste elettorali non aggiornate al dominio assoluto degli esponenti del governo sui principali mezzi di informazione, passando per la costante tendenza della leadership al potere a demonizzare i suoi oppositori politici e ad esercitare pressione sull’elettorato, ricorrendo anche a minacce.
I membri del Parlamento europeo che, prima della tornata elettorale del 2020, avevano tentato di mediare per favorire un dialogo tra governo e opposizione serba, hanno continuato a impegnarsi in tale direzione anche dopo le elezioni, contribuendo così al raggiungimento di un’intesa tra la compagine di governo e una parte dell’opposizione sulle condizioni necessarie per lo svolgimento di elezioni democratiche.
Tuttavia, la tornata elettorale del 2020 ha letteralmente cancellato l’opposizione dal parlamento, e con essa anche qualsiasi dibattito sulle leggi da adottare, permettendo alla leadership al potere di continuare indisturbata ad attaccare chiunque osasse opporsi alla politica del presidente Vučić, a prescindere dal fatto che si trattasse delle forze di opposizione rimaste escluse dal parlamento e dei cittadini critici verso il regime.
Ad un certo punto anche lo stesso Vučić si è reso conto che i suoi partner internazionali, in primis l’UE e gli Stati Uniti, non percepiscono più la Serbia come uno stato democratico e questo lo ha quindi costretto a indire elezioni politiche anticipate. Benché Vučić abbia adempiuto ad alcuni impegni assunti nell’ambito dell’accordo raggiunto tra maggioranza e opposizione, nulla è sostanzialmente cambiato rispetto al periodo precedente all’avvio del dialogo mediato dai membri del Parlamento europeo. Ciononostante, l’opposizione, anziché boicottare le imminenti elezioni, ha deciso di partecipare alla corsa elettorale in modo da poter continuare la sua battaglia politica all’interno delle istituzioni.
Autocrazia e clientelismo
Aleksandar Vučić governa in modo autocratico. Il partito guidato da Vučić, insieme ai suoi partner di coalizione, ha la maggioranza assoluta in parlamento ed è di fatto il principale partito al governo, ma a rendere note tutte le decisioni politiche è sempre ed esclusivamente il presidente che quasi ogni giorno rilascia interviste e pronuncia discorsi trasmessi in televisione. Vučić è presente sempre e ovunque, è instancabile nel portare avanti la sua perenne campagna elettorale.
Vučić e il suo partito controllano anche i principali mezzi di informazione in Serbia. Come emerso da una ricerca condotta dall’ong CRTA , circa due terzi dei cittadini serbi si informa attraverso la televisione, “poco più del 50% dei cittadini si fida esclusivamente dei media filogovernativi, mentre poco meno del 20% si fida dei media critici”.
Recentemente, la Radio televisione della Serbia e alcune emittenti private allineate al potere hanno deciso di dare un po’ di spazio all’opposizione, spazio che però non permette agli esponenti dell’opposizione di presentare i loro programmi e le loro idee.
Nonostante le rassicurazioni sul fatto che non avrebbero condotto una campagna elettorale focalizzata sulle attività dei singoli funzionari statali, Vučić e i suoi collaboratori continuano a girare la Serbia aprendo fabbriche, annunciando la costruzione di nuove linee ferroviarie ad alta velocità e l’arrivo di ulteriori investimenti stranieri e promettendo nuovi posti di lavoro e stipendi più alti. Stando ad alcune stime pubblicate da Transparency Serbia , nelle prime tre settimane della campagna, il Partito progressista serbo (SNS) guidato da Vučić ha speso 728mila euro per pubblicità elettorale, cifra inimmaginabile per gli altri partecipanti alle elezioni.
Vučić indubbiamente gode di grande popolarità. Oltre ai continui sforzi per rendere invisibili gli altri partiti e leader politici, un’altra caratteristica del suo modo di governare è il clientelismo. Ormai da dieci anni, ossia da quando Vučić è salito al potere, gli elettori dell’SNS, tenuti sotto il ricatto di perdere il posto di lavoro e quindi impauriti, sono costretti a fornire la prova di aver votato per Vučić – una foto della loro scheda elettorale. Interi eserciti di persone lavorano on-line per l’SNS, molti di loro – come emerso da alcune testimonianze – sono dipendenti pubblici ed elogiare Vučić sui social fa parte del loro lavoro.
Date queste premesse, è chiaro che l’opposizione si trova in una posizione di estremo svantaggio. Tutte le forze in campo cercano di conquistare il consenso di ogni singolo elettore, e soprattutto di chi ad oggi si è astenuto dal voto. Alle elezioni del 2020, boicottate da una parte dell’opposizione, si era recato alle urne il 48,93% degli aventi diritto . Dal 2008 l’affluenza alle urne non ha mai superato il 60%.
Una tornata elettorale all’ombra della guerra in Ucraina
Ci sono diverse problematiche che l’opposizione potrebbe sfruttare per criticare l’operato della leadership al potere e per spingere chi si astiene dal votare a recarsi alle urne il prossimo 3 aprile. Negli ultimi anni, i cittadini serbi hanno spesso protestato – proteste che a volte si sono protratte per mesi – per le elezioni inique, i vari scandali, la corruzione ad alto livello e i legami tra criminalità organizzata e vertici dello stato. Finora tali proteste sono sempre state definite dai media filogovernativi, ma anche dal parlamento e dallo stesso presidente, come atti di slealtà e ostilità nei confronti dello stato serbo, frutto delle azioni degli agenti stranieri.
Nelle scorse settimane, tutti questi temi sono passati in secondo piano a causa della guerra in Ucraina che il presidente Vučić ha saputo abilmente sfruttare per dare un’ulteriore spinta alla sua campagna elettorale. La Serbia ha votato a favore della risoluzione dell’Onu che condanna l’aggressione russa dell’Ucraina, ma non ha appoggiato le sanzioni contro Mosca. Una decisione strettamente legata alla campagna elettorale, perché se Vučić avesse deciso di introdurre sanzioni contro la Russia e di condannare fermamente le azioni di Putin, avrebbe rischiato di perdere il consenso di una parte dell’elettorato. Il ricordo dei bombardamenti della Nato del 1999, la narrazione secondo cui la Russia – che dispone del potere di veto in seno al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite – può “garantire” che il Kosovo rimanga parte integrante della Serbia e la tradizionale vicinanza tra Belgrado e Mosca danno slancio ai partiti conservatori e di destra apertamente filorussi.
Vučić, pur guardandosi bene dal dirlo pubblicamente, attraverso i suoi media promuove “i successi militari” di Putin. Allo stesso tempo, continuando a rassicurare i cittadini serbi sul fatto che il paese dispone di quantità sufficienti di ogni tipo di merce, dal riso e dal grano ai carburanti, Vučić cerca di presentarsi come l’unico attore politico in grado di tenere la situazione sotto controllo e di salvare i cittadini serbi di fronte alla catastrofe che incomberebbe sull’intera Europa a causa della guerra in Ucraina.
Stando ai sondaggi, l’opposizione ha maggiori possibilità di vincere a Belgrado, una vittoria che infliggerebbe un duro colpo al regime. Quanto alle elezioni presidenziali, in questo momento Vučić è invincibile, ma un eventuale ballottaggio sarebbe un ulteriore colpo per la leadership al potere. Gli oppositori di Vučić sicuramente considereranno ogni seggio conquistato come successo. Vučić rischia di perdere molto di più: di certo non riuscirà a mantenere il potere assoluto, di cui attualmente dispone, ma farà di tutto per mantenere, quanto più possibile, l’egemonia conquistata.