Accusato dal Tribunale dell'Aja di crimini di guerra e in carcere dal 2003, il leader del Partito radicale serbo Vojislav Šešelj è tornato in Serbia per motivi di salute. Ora è pronto alla vendetta politica contro chi, tra i suoi, in questi anni lo ha abbandonato
La Serbia dove Vojislav Šešelj - il leader, malato e accusato di crimini di guerra, dell’ultranazionalista Partito radicale serbo (SRS) - è rientrato dal Tribunale dell’Aja il 12 novembre scorso, di sicuro non è il paese che aveva lasciato 11 anni fa, consegnandosi volontariamente ai giudici internazionali. Su una questione però le cose sono comunque rimaste simili: l’atteggiamento nei confronti dei crimini di guerra degli anni Novanta è addirittura meno critico di quanto non fosse in passato.
Con rare eccezioni, i politici e i media serbi nel commentare il ritorno in patria del leader radicale non hanno fatto cenno alcuno alla guerra e ai crimini. Il tema cruciale è stato il Tribunale dell’Aja e il dibattito generale si è concentrato sullo stabilire se è un tribunale che opera secondo equità, se ha violato i diritti di Šešelj e se l’Aja processa esclusivamente i serbi. Da questo punto di vista il leader dell’SRS è tornato in un’atmosfera sociale adatta alla sua retorica politica farcita di nazionalismo e potrà senza problemi continuare a costruire la sua immagine di eroe serbo che soffre ingiustamente per il bene della nazione.
Sotto questo aspetto la Serbia non è certo un’eccezione. Anche in Croazia gli accusati dall'Aja sono stati accolti con ovazioni e grande reverenza, tra questi ad esempio il generale Ante Gotovina. Fatti analoghi sono accaduti in Kosovo.
Le critiche delle élite politiche in ogni paese sono riservate ai criminali degli altri paesi mentre alle famiglie delle vittime e alle associazioni che si occupano di queste questioni non è rimasto che farsi sentire in manifestazioni per strada o coi comunicati stampa.
Šešelj non ha più nemmeno bisogno di porre l’accento sulla lotta contro il Tribunale perché è evidente che il suo stesso arrivo in Serbia dopo 11 anni si processo senza che sia stata emessa ancora una condanna, per la maggior parte dell’opinione pubblica, funge da prova evidente che il Tribunale è ingiusto e creato solo con l’intento di processare i serbi.
L’opposizione ad un tale approccio nel discorso pubblico è riservata ai comunicati di alcune organizzazioni non governative e ai difensori dei diritti umani. La compagine di governo invece incoraggia addirittura le critiche nei confronti del Tribunale, mentre dall'opposizione che si definisce democratica e filoeuropea, arrivano solo silenzi.
Vendetta
Šešelj è gravemente ammalato di tumore, e il resto della vita lo passerà di sicuro nell’impegno politico. All’aeroporto di Belgrado lo hanno atteso centinaia di accoliti, e la maggior parte di loro si è radunata davanti alla sede dell’SRS, dove Šešelj ha tenuto un discorso. Tra la folla si è mosso in modo risoluto e senza l’aiuto di nessuno. Su di lui erano ben visibili i segni della stanchezza, ma non certo come un uomo che da un momento all’altro può subire un tracollo. La passione per la politica e la sete di vendetta gli daranno nuova forza per combattere la malattia.
All’aeroporto non l’hanno aspettato le stesse persone che lo avevano accompagnato, con le lacrime agli occhi, 11 anni fa, giurandogli che gli sarebbero rimasti fedeli: il presidente della Serbia Tomislav Nikolić e il premier Aleksandar Vučić. Entrambi all’epoca erano uomini chiave di Šešelj, mentre oggi le tv serbe stanno ben attente nel mandare in onda le immagini di quando Šešelj veniva accompagnato all’Aja, in modo che non compaiano i volti degli attuali presidente e premier. Šešelj vede in loro due tra i principali traditori e di sicuro saranno il principale obiettivo della vendetta che ha annunciato.
Il leader dell’SRS si era consegnato volontariamente al Tribunale dell’Aja all’inizio del 2003, poco prima dell’omicidio dell’allora premier serbo Zoran Đinđić. L’SRS, anche dopo la partenza del suo leader, era rimasto il partito più forte nel parlamento serbo e aveva continuato a creare grandi problemi all’allora compagine di governo. Così era stato fino al 2008, quando Nikolić e Vučić hanno lasciato l’SRS dando vita al Partito progressista serbo (SNS), attualmente al potere, prendendo le distanze da Šešelj.
Con l’aiuto della compagine governativa, le cui colonne portanti allora erano il Partito democratico (DS) di Boris Tadić e il Partito socialista serbo (SPS) di Ivica Dačić, i progressisti si presero una parte significativa dei deputati del partito che hanno spaccato. Oggi l’SRS è un partito extraparlamentare mentre l’SNS controlla i due terzi del parlamento, situazione che Šešelj vive come una dolorosa umiliazione.
È quindi del tutto logico che Šešelj nella prima uscita in pubblico abbia posto come principale obiettivo togliere dal potere l’SNS, ossia Vučić e Nikolić. Ma il leader malato di un partito molto sofferente deve ancora fare i conti con la realtà politica della Serbia e convincersi che è davvero molto diversa da quella che ha lasciato quando si era consegnato al Tribunale dell’Aja.
Politica
Il ritorno di Šešelj in Serbia aggraverà la posizione del governo guidato da Vučić, ma non potrà danneggiarlo seriamente. Oltre ad avere la maggioranza dei due terzi del parlamento, l’SNS ha assunto le posizioni più lucrative nelle istituzioni, fatto che gli dà la possibilità di superare eventuali problemi. L’extraparlamentare SRS oltre al carisma di Šešelj non dispone di risorse rilevanti e per ora può ottenere un successo solo relativo nel sollevare tensioni politiche nel paese. Niente di più.
È certo che Šešelj ora cercherà di riportare a sé parte degli elettori con orientamento nazionalista e ultranazionalista, che nel frattempo hanno dato fiducia all’SNS. Questo può anche ottenere risultati tangibili se si tiene presente che dopo due anni di governo SNS, in Serbia si vive piuttosto male e che molti elettori sono delusi. Ma è un'azione dalla portata limitata, perché la maggior parte degli uomini dell’allora SRS ha assunto nel frattempo posti chiave nel sistema, sia localmente che a livello nazionale, mentre i funzionari dell’SRS che sono rimasti fedeli a Šešelj sono fuori dal sistema, privi della possibilità di influire in modo concreto sull’opinione pubblica.
Se si tiene presente tutto ciò, Šešelj e l’SRS hanno una possibilità solo potenziale di rivitalizzare almeno una parte della precedente influenza, ma non dispongono dei mezzi sufficenti a riuscirci. Šešelj cercherà di far fronte alla mancanza di influenza sui media con contatti diretti con gli elettori, ma è da valutare quanto la malattia gli permetterà queste fatiche. La sua presenza diretta nella leadership del partito potrebbe, tuttavia, contribuire a serrare le fila e a far aumentare le attività del partito.
L’opposizione filoeuropea e liberale guarda invece al rientro di Šešelj come ad una sorta di “regalo politico” che potrà aggravare la posizione del governo ma non otterrà granid vantaggi perché non è in grado di definire una piattaforma politica seria con cui contrastare l’SNS. L’accento delle tensioni politiche, dopo l’arrivo di Šešelj, si sposta definitivamente a destra, mentre l’opposizione liberale e filoeuropea resta del tutto disorientata e senza una vera e chiara idea politica. È come gettare una bomba in una fossa settica, ha sentenziato un utente di Twitter