Si è concluso in Serbia il processo per l'omicidio del premier Zoran Djindjic. Condanne fino a 40 anni di reclusione per i due principali accusati, Milorad Ulemek Legija e Zvezdan Jovanovic, ex membri della disciolta Unità per le operazioni speciali-JSO
Con la lettura della sentenza agli accusati, lo scorso 23 maggio, è terminato il processo per l'omicidio del premier serbo Zoran Djindjic. Milorad Ulemek Legija, ex comandante dell'Unità per le operazioni speciali (JSO) e accusato principale per l'organizzazione dell'attentato e Zvezdan Jovanovic, ex vice comandante della JSO, accusato per l'esecuzione diretta dell'omicidio sono stati condannati alla massima pena prevista, 40 anni di reclusione.
L'inchiesta principale è stata avviata il 23 dicembre del 2003, il procedimento probatorio si è concluso il 23 marzo scorso, le requisitorie sono state esposte fino al 4 maggio 2007. Secondo i dati del Tribunale distrettuale di Belgrado, durante il processo sono stati ascoltati 89 testimoni, quattro collaboratori di giustizia, 18 periti, gli atti dell'inchiesta principale sono raccolti in 46 registrazioni e le prove scritte e le trascrizioni occupano più di 12.000 pagine.
Tutti gli accusati, che hanno atteso la sentenza nell'aula del Tribunale speciale per il crimine organizzato, sono stati dichiarati colpevoli. Il tribunale ha emesso la condanna a 35 anni di reclusione per i membri del cosiddetto Clan di Zemun: Aleksandar Simovic, Vladimir Milisavljevic Budala, Ninoslav Konstantinovic e Sretko Kalinic. Singole condanne a 30 anni di reclusione sono state inflitte a Milos Simovic, Milan Jurisic, Dusan Krsmanovic, Branislav Bezarevic e a Zeljko Tojaga, mentre Sasa Pejakovic, ex membro della JSO, è stato condannato a otto anni di carcere.
Milorad Ulemek fino ad ora, nei tre processi di primo grado che lo riguardano, è stato condannato complessivamente a 95 anni di carcere (per l'omicidio di Ivan Stambolic, per l'omicidio del premier e per il quadruplo omicidio sulla statale di Ibar), ma non potrà rimanere in carcere per più di 40 anni, perché il sistema giudiziario serbo non contempla la somma delle condanne come, per esempio, accade nel sistema giudiziario americano.
La sentenza del "processo del secolo", come è stato definito dai media locali e stranieri, è stata emessa dal Consiglio del tribunale composto da tre membri, presieduto da Nata Mesarovic, e inoltre composto dai giudici Radmila Dragicevic Dicic e Milimir Lukic. La giudice Nata Mesarovic ha letto la sentenza per 35 minuti durante i quali in aula non è volata una mosca. Mesarovic durante la lettura della sentenza ha affermato che la cosa più difficile è sapere che in un paese il presidente del consiglio può essere ucciso da un'organizzazione criminale definita "nemica".
Come trasmesso dall'emittente B92, Mesarovic ha spiegato che "l'omicidio Djindjic è un omicidio politico indirizzato contro lo stato, nel quale hanno partecipato la frangia criminale della JSO e la banda di Dusan Spasojevic". Mesarovic ha detto di aver preso la decisione sulla base del gran numero di prove addotte, in base alle dichiarazioni del testimone protetto Zoran Vukojevic Vuk, anch'egli ucciso, il quale aveva testimoniato che Legija e Spasojevic avevano pianificato l'omicidio di Djindjic,e infine a seguito della dichiarazione dell'ex capo della sicurezza di Legija, Nenad Sare riguardante gli spostamenti di Ulemek tra l'8 e il 14 marzo. Inoltre il tribunale ha considerato rilevante la dichiarazione di Jovanovic, il secondo accusato, il quale durante l'indagine aveva dichiarato di "aver ucciso personalmente il premier Djindjic".
Mesarovic ha sottolineato che la difesa di Ulemek non è risultata convincente e che è compromettente, aggiungendo che il primo accusato ha contribuito a far sì che un'organizzazione criminale diventasse potente. La presidentessa del consiglio del tribunale ritiene che Ulemek e Spasojevic abbiano organizzato l'omicidio del premier per paura di essere arrestati e di essere processati per numerose attività criminali. Secondo le sue parole, il motivo primario dell'omicidio non era la paura di essere consegnati al tribunale dell'Aja, perché fino ad oggi, contro nessun membro della JSO è stata sollevata l'accusa all'Aja.
Dopo la lettura della sentenza, tutti gli accusati hanno lasciato l'aula, rifiutandosi di ascoltare la spiegazione. Sulle facce di Ulemek e Jovanovic si notava un sorriso ironico. Ulemek, quando ha sentito la sentenza, ha fatto il saluto militare. I due dopo la sentenza hanno ammiccato alle loro mogli, hanno salutato con la mano i familiari e con un sorriso hanno lasciato l'aula. I familiari dei condannati hanno manifestato incredulità e inquietudine per la sentenza, ma in aula non si sono verificati incidenti.
Il presidente della Serbia Boris Tadic, il vicepremier Bozidar Djelic, alcuni ministri neoeletti membri del Partito democratico, Dragan Sutanovac, Milan Markovic, e alcuni ministri del governo di Djindjic, Vladan Batic, Zoran Zivkovic e Zarko Korac hanno seguito la lettura della sentenza nella galleria dell'aula del tribunale. Alla lettura della sentenza non era presente la moglie del premier ucciso Ruzica Djindjic, e nemmeno gli avvocati Danilovic e Popovic che in questo processo hanno rappresentato la famiglia Djindjic. Il presidente Tadic è uscito dal tribunale dall'uscita di servizio senza rivolgersi ai giornalisti presenti.
Il procuratore e gli avvocati della difesa hanno annunciato comunque ricorso. Anche il procuratore speciale Radovanovic dal canto suo chiederà di ricorrere in secondo grado poiché auspicava condanne massime per tutti i partecipanti dell'attentato contro il premier. Il rappresentante legale di Ulemek, Slobodan Milivojevic in una dichiarazione per il quotidiano "Politika" ha affermato che farà "ricorso perché per questa condanna non esistono prove materiali" aggiungendo che "chiederà giustizia a Strasburgo". Milivojevic crede che il tribunale abbia avuto una forte pressione dai media. A suo avviso l'unica cosa giusta da fare sarebbe aprire un nuovo procedimento probatorio.
Come riporta B92, subito dopo la sentenza, l'avvocato di Zvezdan Jovanovic, Nenad Vukasovic ha dichiarato che ciò che avrebbe dovuto essere "un'aula di giustizia si è trasformata in un crematorio legale". Vukasovic ha concluso la sua dichiarazione davanti ai giornalisti con le parole "Dio, perdonali, perché non sanno quello che fanno".
L'avvocato Rajko Danilovic, uno dei rappresentanti della famiglia Djindjic ha detto di essere soddisfatto della sentenza, sottolineando che si è trattato dell'unica sentenza possibile: giusta e attesa.
In un comunicato stampa degli uffici del presidente Tadic si scrive che la sentenza è stata un momento decisivo per il sistema giudiziario serbo e che apre la via per la costruzione di un sistema legale stabile come presupposto per l'integrazione europea della Serbia.
Nella dichiarazione rilasciata all'agenzia Beta, il premier Kostunica ha considerato come la sentenza "avesse un particolare valore per lo stato, per l'intera società e per il funzionamento del sistema legale del paese" aggiungendo che "l'omicidio del premier Djindjic è stato un colpo pesante per il paese" e che con questa sentenza si fa sapere che "il braccio dello stato e della giustizia toccherà tutti quelli che hanno commesso crimini".
Il Partito democratico ha espresso soddisfazione per la sentenza e per il lavoro del sistema giudiziario, in particolare quello del Tribunale speciale per il crimine organizzato che, nonostante numerose pressioni, è riuscito a mettere davanti alla giustizia gli organizzatori e gli esecutori dell'attentato contro il premier Djindjic.
Il leader del Partito liberale democratico (LDP) Cedomir Jovanovic ha reso noto che la sentenza per l'omicidio Djindjic rappresenta il primo passo nel chiarimento di tutti i fatti riguardanti l'attentato. Nella dichiarazione per B92, Jovanovic sottolinea che "per LDP la fine del processo in tribunale contro gli assassini di Zoran Djindjic non rappresenta anche la fine della lotta per la verità sul 12 marzo" e aggiunge che "fino ad oggi non è stato possibile scoprire il retroscena politico dell'omicidio, perché in Serbia, sotto la guida di Vojislav Kostunica, governano persone che godono della fiducia dei criminali".
Tomislav Nikolic del Partito radicale serbo considera che su questo caso mancano ancora cinque o sei persone che hanno organizzato l'omicidio e che se ne stanno nell'ombra, dicendo poi ai giornalisti che loro sanno molto bene chi sono queste persone.
I giovani del DS e del G17, che hanno organizzato un raduno sotto lo slogan "anche 40 anni sono pochi", hanno atteso la lettura della condanna davanti al palazzo del Tribunale speciale. I membri del LDP portavano dei cartelloni con la scritta "per l'omicidio del 12 marzo i responsabili sono loro. Per la verità sul 12 marzo i responsabili siamo noi. Non è finita!". Tutti quelli che si sono raccolti hanno fischiato quando gli amici e i membri delle famiglie degli accusati hanno lasciato il palazzo del tribunale, e il dissenso più forte è stato mostrato contro un giovane della disciolta JSO che sulla maglietta aveva una rosa rossa, uno dei simboli di questa unità. Ci sono state anche alcune bandiere con l'ormai noto lupo infuriato (altro simbolo della JSO), e più volte la gente riunita fuori dal tribunale ha ricevuto in risposta ai fischi "il dito medio". Ma non si sono verificati gravi incidenti.