Affermazione del partito Democratico di Boris Tadic, tiene il DSS di Kostunica, G17+ al 7%. Le forze moderate potrebbero formare il governo, ma i giochi per le candidature si aprono solo ora. Sullo sfondo il Kosovo e Mladic, mentre i Radicali rimangono il primo partito del paese
Il Partito Radicale Serbo rimane la prima forza in parlamento, ma nel prossimo futuro della Serbia sembra delinearsi la concreta possibilità di un governo filo-europeo, sempre che i partiti del cosiddetto blocco democratico riescano a superare incomprensioni e punti di frizione, primo fra tutti quello che riguarda il nome del nuovo primo ministro.
I primi risultati delle elezioni politiche tenutesi ieri, ancora parziali, ma ormai abbastanza stabilizzati, lanciano a Belgrado alcuni segnali forti, ma lasciano aperte altrettante domande. Il primo segnale, forse il più importante, è rappresentato dalla robusta crescita del Partito Democratico del presidente della Repubblica Boris Tadic, che ha quasi raddoppiato i voti attestandosi intorno al 22%, dato che rappresenta il massimo storico raggiunto dal partito, mentre il Partito Democratico Serbo di Vojslav Kostunica ha tenuto fondamentalmente le sue posizioni, ottenendo il 16-17% dei voti, e mantenendo così intatto il suo potenziale di manovra politica. Se si considera che il movimento G17+ di Mladjan Dinkic ha ottenuto il 7%, un eventuale esecutivo sostenuto da queste tre forze avrebbe tutti i numeri per governare durante la prossima legislatura, avendo a disposizione circa 130 deputati su un totale di 250.
A questo punto, però, è proprio il grande successo del Partito Democratico che in qualche modo rende la formazione del governo più difficile. Nella conferenza stampa di ieri sera, infatti, il presidente Tadic, pur richiamando tutte le forze democratiche alla responsabilità, non ha fatto mistero di volere per il suo partito, ampiamente primo nel blocco, la poltrona di premier, per la quale è stato proposto già in campagna elettorale l'ex ministro delle finanze del governo Djindjc, Bozidar Djelic. D'altra parte Kostunica non rinuncerà facilmente a farsi da parte, e secondo molti analisti lotterà per rimanere premier anche nel prossimo mandato, anche e soprattutto in considerazione del fatto che il contributo del suo partito per formare il prossimo esecutivo rimane indispensabile.
Nel campo delle forze riformatrici c'è da segnalare anche il buon risultato del nuovo Partito Liberal-Democratico del giovane Cedomir Jovanovic, presentatosi in coalizione con GSS, SDU e LSV. Jovanovic è l'unico in tutto lo spettro politico serbo che ha ammesso come ormai certa la perdita del Kosovo, e che è riuscito, seppur di poco, a superare la soglia di sbarramento del 5%, raccogliendo il voto di giovani e popolazione urbana. La partecipazione del partito ad un eventuale governo, però, non è data affatto per certa, visto che lo stesso Jovanovic ha dichiarato in campagna elettorale che non è disposto a nessuna coabitazione con i DSS di Kostunica.
Sul fronte opposto il Partito Radicale Serbo di Tomislav Nikolic ha raccolto il 27-28% dei consensi, che ne fanno ancora una volta il primo partito in Serbia. Le previsioni di chi davano il partito in flessione si sono rivelate sbagliate, e anzi rispetto alle ultime consultazioni i nazionalisti hanno guadagnato qualcosa. A meno di un improbabile ribaltone di Kostunica, però, il buon risultato elettorale non riuscirà a tirar fuori i radicali dal purgatorio dell'isolamento politico, e quindi probabilmente si prospetta per loro una nuova legislatura di maggioranza relativa vissuta all'opposizione, nonostante i proclami di vittoria fatti ieri sera in conferenza stampa dallo stesso Nikolic.
Unica vera grande sorpresa, il Partito Socialista Serbo di Ivica Dacic, che quasi tutti davano per ormai definitivamente spacciato dopo anni di costante declino e la morte del vecchio leader ed icona Slobodan Milosevic, è riuscito a superare lo sbarramento e farà parte del parlamento serbo anche nella prossima legislatura, evitando così il destino toccato ad uno dei suoi rivali storici, il Movimento per il Rinnovamento della Serbia dell'enigmatico Vuk Draskovic, che con uno striminzito 3% è rimasto fuori dai giochi, e sembra quindi destinato alla definitiva scomparsa dal panorama politico serbo. A completare la lista dei neo-deputati vanno quindi i rappresentanti delle varie liste di rappresentanza delle minoranze etniche, che a differenza dei partiti nazionali non hanno l'obbligo di superare il quorum del 5%.
Definita la composizione del parlamento, adesso si presenta la fase più difficile, quella cioè della creazione del governo. Al di là della sfida per la poltrona di primo ministro, secondo molti commentatori serbi i colloqui per la creazione dell'esecutivo potrebbero far emergere i numerosi punti di frizione tra il partito di Tadic e quello di Kostunica, che durante la campagna elettorale sono stati messi in sordina per un tacito accordo tra le due formazioni.
A rendere le cose più difficili potrebbe essere l'imminente annuncio da parte del mediatore dell'Onu Martti Ahtisaari delle sue proposte sullo status finale del Kosovo, e che probabilmente sarà orientato verso la concessione dell'indipendenza, seppur condizionata, della regione. Secondo fonti diverse l'annuncio, che sarebbe stato posticipato a dopo le elezioni proprio per non mettere in difficoltà le forze del blocco democratico, potrebbe essere fatto già venerdì 26, nel bel mezzo dei colloqui per la formazione del governo.
Questo potrebbe mettere in luce sostanziali divergenze di veduta tra il Partito Democratico e il Partito Democratico Serbo sulla strategia da tenere verso una proposta di questo tipo, visto che entrambi hanno dichiarato in campagna elettorale l'inaccettabilità dell'indipendenza per il Kosovo, ma con sfumature e voglia di battersi politicamente per la regione diversi.
Al di là delle considerazioni politiche, uno dei dati più importanti riguarda lo svolgimento stesso delle elezioni che, così come la campagna elettorale, è stato corretto, tanto che nessuno dei partiti in lizza ha denunciato brogli o irregolarità sostanziali. Da questo punto di vista le consultazioni del gennaio 2007 sembrano aver portato ad una svolta sostanziale nella cultura politica serba, che durante gli anni bui di Milosevic, ma anche in seguito alla sua caduta, aveva dato vita a competizioni elettorali macchiate da numerose irregolarità e accuse reciproche tra i contendenti.
Altro dato importante, a livello generale, è stata l'affluenza alle urne relativamente alta, che ha superato le aspettative della vigilia che parlavano di sfiducia negli elettori e poca voglia di andare a votare, attestandosi di poco sopra il 60%.
La speranza è che la voglia degli elettori serbi di recarsi alle urne, e il messaggio lanciato con la maggioranza dei due terzi data a forze che spingono verso l'integrazione europea, sia ripagata con responsabilità dalla classe politica che emerge da queste consultazioni, e che ha il compito di affrontare alcuni dei nodi più importanti della storia recente serba, dalla definizione dello status del Kosovo fino alla piena collaborazione col Tribunale dell'Aja, prima fermata del treno che può portare la Serbia verso l'Europa.