La risoluzione sul Kosovo votata in seno all'Assemblea generale dell'Onu lo scorso 9 settembre è la fine della politica del doppio binario tentata dal governo di Belgrado su integrazione Ue e Kosovo. E l'inizio di nuove possibilità per la Serbia e per la stessa Pristina. Un commento
Il testo della risoluzione sul Kosovo concordato dall’Unione europea con la Serbia è stato approvato per acclamazione all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite tenutasi giovedì 10 settembre. L’accordo su un “approccio comune” sul Kosovo tra Serbia e Ue è stato raggiunto un giorno prima della seduta, a seguito dei numerosi contatti diplomatici tra il presidente serbo Boris Tadić e vari funzionari europei.
L’accordo ha dato una risposta all’interrogativo delle scorse settimane se la Serbia avrebbe cercato a tutti i costi di trovare appoggi per la sua proposta di risoluzione, presentata senza consultazioni con gli altri paesi, o se avrebbe invece raggiunto un compromesso, concordando un testo con i paesi dell’Ue. Per la Serbia sono stati giorni di stress e di angoscia; a Belgrado sono giunti, uno dopo l’altro, i capi delle diplomazie dei maggiori paesi europei, e tutti con lo stesso messaggio: Belgrado può scordarsi l’integrazione se non rinuncia alla risoluzione non concordata.
La politica del “sia Kosovo che Ue”, formulata dal Partito Democratico prima delle ultime elezioni e diventata poi politica ufficiale della Serbia, non ha superato il test della realtà. Il gabinetto del presidente Tadić, dove si tesseva la trama della politica serba sulla questione kosovara, ha insistito sul fatto che Kosovo e integrazione europea fossero due questioni distinte. Da un lato la Serbia ha compiuto sforzi significativi per accelerare il processo di adesione all’Ue, dall’altra invece ha cercato con ogni mezzo di impedire il riconoscimento del Kosovo indipendente e di bloccarne l’accesso alle principali istituzioni internazionali.
Pareva quasi che la Serbia ci fosse riuscita. Alla fine dell’anno scorso i cittadini serbi hanno finalmente potuto viaggiare senza visto e il vicepresidente del governo ha presentato a Bruxelles la richiesta per la candidatura della Serbia a stato membro dell’Unione. La difesa del Kosovo è stata affidata al ministero degli Esteri, guidato da Vuk Jeremić, il quale ha viaggiato per un anno in tutto il mondo nel tentativo di fermare il riconoscimento del Kosovo. Allo stesso tempo, la Serbia è riuscita ad ottenere all’Onu il parere consultivo della Corte internazionale di giustizia dell’Aja. Nessuno aveva parlato di sconfitta e men che meno di alternative o di obiettivi a lungo termine diversi da quelli proclamati sino ad allora.
Chi si intende di politica e relazioni internazionali sapeva che la politica del “doppio binario” era irrealizzabile e, in realtà, anche in Serbia erano in pochi a credere che entrambi gli obiettivi fossero realizzabili.
Ed è stato necessario tornare con i piedi per terra prima di quanto il governo sperava. Innanzitutto il processo di integrazione è stato bloccato e i diplomatici europei hanno iniziato a ripetere che l’avvicinamento della Serbia all’Europa non è possibile senza riconoscere la realtà dei fatti e senza un dialogo con Pristina. Il parere della Corte internazionale di giustizia dell’Aja ha chiaramente dimostrato che la strategia di Belgrado ha subito una sconfitta. Già allora era stato evidente che Belgrado non può più opporsi alle pressioni di Europa e Stati Uniti, e che il raggiungimento di un compromesso era solo una questione di tempo e di modi. Ancora una volta, secondo una formula ormai collaudata, si è arrivati al finale solo poche ore prima della seduta all’ONU.
Ma diamo uno sguardo a tutte le possibili implicazioni della risoluzione appena approvata. Prima di tutto, questa è per la Serbia l’occasione per ridefinire finalmente la sua politica sul Kosovo, avendo chiaro qual è il limite oltre il quale non è possibile andare. In questo momento tale limite è chiaramente tracciato: Belgrado non riconoscerà l’indipendenza del Kosovo. Del resto, alla Serbia non si chiede questo, o almeno non ora.
Per Belgrado, se cambiasse la sua strategia sul Kosovo, la risoluzione potrebbe essere un avvio al dialogo con Pristina. Dialogo su questioni vitali, ma anche dialogo sullo status del Kosovo del nord, sulla condizione dei serbi a sud dell’Ibar, sull’autonomia delle municipalità serbe e su altri nodi importanti. Si parla di status speciale per il nord del Kosovo secondo il modello del piano Z4, che a suo tempo era stato pensato per i serbi in Croazia, o del piano Ahtisaari plus che prevede ulteriori meccanismi di autonomia per i serbi del Kosovo. Si parla anche di far ripartire il processo di integrazione europea, ma dall’Europa ci si aspetta che esamini la candidatura della Serbia a stato membro.
Sul piano interno, per la Serbia al momento non cambierà molto. È possibile che il ministro Jeremić faccia un passo indietro. Il governo non cadrà per via del Kosovo. E anche se ci saranno elezioni anticipate, oggetto di discussione saranno le molte promesse non mantenute e la profonda crisi economica che fa tremare il paese.
Non ci sono dichiarazioni né manifestazioni a sostegno del Kosovo. Per la maggior parte dei serbi è chiaro che il Kosovo è stato perso ormai molto tempo fa e tutte le nuove “sconfitte” arrivano a conferma di ciò. In che modo i recenti accadimenti riguardo il Kosovo hanno scosso la società serba e provocato nuove frustrazioni, lo si vedrà negli anni a venire.
Ma di certo è tempo di una nuova politica. La cosa più importante non è se la ridefinizione della politica sul Kosovo avrà come esito l’accelerazione del processo di integrazione. Il punto è invece che si intravede la fine di ciò che era percepito come “la più grande ferita della società serba”. Il mito del Kosovo, che è vivo per i serbi dal 1389 e che negli ultimi due decenni è stato particolarmente forte, continuerà a vivere nelle storie e nelle canzoni e probabilmente sarà descritto e raccontato come una grande ingiustizia, ma un po’ alla volta, nella vita di tutti giorni, comincerà a sbiadire. Inizierà a prendere forma un dialogo con Pristina, timido e difficoltoso, ma che fino a ieri era inimmaginabile.
La Serbia ne avrà qualcosa in cambio. Forse la candidatura all’ingresso nell’Ue, forse qualcosa di meno. Alla Serbia questa nuova pagina sulla questione del Kosovo porterà la possibilità di ridefinire le priorità e il dialogo sugli obiettivi strategici del paese.