Dal Tribunale dell'Aja per l'ex Jugoslavia ancora una sentenza destinata a sollevare polemiche. Assolti in primo grado Jovica Stanišić e Franko Simatović, accusati di essere stati il "canale di comunicazione" tra Milošević e le leadership dei serbi di Croazia e Bosnia. Soddisfazione a Belgrado, costernazione tra le vittime
Sono attesi stamattina a Belgrado, da uomini liberi, l'ex capo dei servizi di sicurezza del ministero degli Interni serbo (Službe državne bezbednosti) Jovica Stanišić e il suo braccio destro Franko Simatović (a capo dell'unità per le operazioni speciali), assolti ieri in prima istanza dal Tribunale internazionale dell'Aja per l'ex Jugoslavia da accuse di crimini di guerra.
La sentenza, che arriva un giorno dopo le condanne in primo grado emesse nei confronti dei vertici dell'autoproclamata Repubblica di Herzeg-Bosna, ha sorpreso molti osservatori, provocando reazioni diametralmente opposte a Belgrado, Sarajevo e Zagabria.
Stanišić e Simatović erano accusati di aver partecipato, insieme a Slobodan Milošević e alle leadership dei serbi di Bosnia e Croazia, ad un' “impresa criminale” volta a pulire etnicamente dai “non serbi” larghi territori nelle due repubbliche, durante i conflitti della prima metà degli anni '90.
Secondo l'accusa, Stanišić e Simatović costituivano tra l'altro il “canale di comunicazione” tra i protagonisti del piano criminale: Milošević e Vojislav Šešelj in Serbia e i leader serbo-bosniaci (Radovan Karadžić e Ratko Mladić), e quelli dei serbi di Croazia (Goran Hadžić e Milan Martić) dall'altra.
Dopo la morte di Milošević il procedimento Stanišić-Simatović, pur essendo molto meno mediatico di quello all'ex uomo forte di Belgrado, era considerato dagli esperti come un processo di grande importanza, perché metteva sotto i riflettori il ruolo giocato dalla leadership serba nel pianificare e portare a termine politiche di aggressione e pulizia etnica in Croazia e Bosnia Erzegovina.
Secondo la maggioranza dei giudici (contrario il giudice Picard) pur essendo innegabile che i due imputati abbiano organizzato, finanziato e addestrato “unità di sicurezza” serbe attive durante il conflitto sia in Bosnia che in Croazia, il supporto fornito loro dai servizi di Belgrado sarebbe stato di natura “generale”, volto a garantire il controllo del territorio.
Per la corte, quindi, la procura non è stata in grado di dimostrare che da parte degli imputati ci fosse volontà diretta a istigare i crimini commessi dalle unità che “operavano” nel contesto bellico.
Anche l'accusa di aver sostenuto le azioni criminali di unità paramilitari serbe, come i tristemente noti “Scorpioni” o le “Tigri” di Arkan non è stata ritenuta dimostrata al di là di ogni ragionevole dubbio. Secondo la corte Stanišić e Simatović intrattenevano infatti con questi gruppi solo “deboli rapporti”.
In base a queste conclusioni, il Tribunale ha quindi ordinato l'immediato rilascio dei due imputati.
La decisione dei giudici dell'Aja è stata accolta con evidente soddisfazione dal governo di Belgrado, dove il premier Ivica Dačić ha parlato di “decisione molto importante per la Serbia”, che con la sentenza di oggi vede significativamente ridotte le proprie responsabilità nei conflitti in Bosnia e Croazia.
In un'intervista all'agenzia “Beta”, ripresa da B92, la fondatrice del Centro per il diritto umanitario Nataša Kandić si è detta invece“sbalordita dalla sentenza, che “va contro verità considerate evidenti fino ad oggi”. Per la Kandić, è “impossibile argomentare che le unità paramilitari serbe attive in Bosnia e Croazia siano state formate da 'cani sciolti'”, armatisi senza il supporto del governo serbo e dei servizi di sicurezza guidati da Jovica Stanišić.
Come prevedibile, invece, rabbia e costernazione tra le vittime, che hanno parlato di “decisione scandalosa”. “Nutrivamo grandi speranze nell'Aja, ma la corte si è trasformata in un tribunale politico, che libera chi ci ha aggredito e ha commesso un genocidio”, ha dichiarato ieri ad Al Jazeera Balkans, Hatidža Mehmedović, presidente dell'associazione delle Madri di Srebrenica.
La procura ha ora un mese di tempo per presentare eventuale ricorso: comunque vada, la sentenza di ieri farà discutere ancora a lungo.
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