La Commissione europea sembra più indulgente che in passato sul tema della consegna dei criminali di guerra. Ma da più parti si richiama al rispetto delle condizioni e delle regole dell'allargamento. Una nostra traduzione

22/03/2007 -  Anonymous User

Di Anna McTaggart* con Aleksandar Vasovic, Belgrado, e Gjeraqina Tuhina, Bruxelles, per BIRN, Balkan Insight, 16 marzo 2007 (titolo originale: "EU Split on Fast-Track Serbian Membership")
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Carlo Dall'Asta

Le divisioni all'interno dell' Unione europea su come rapportarsi con la Serbia sono venute a galla. Mentre la Commissione e alcuni Stati membri sembrano ansiosi di offrire velocemente la membership a Belgrado, altri sono contrariati per ciò che essi giudicano una eccessiva ed inopportuna indulgenza.

Fonti interne al Consiglio dei ministri dell' UE hanno dichiarato a Balkan Insight di essere infuriate con il commissario per l'allargamento, Olli Rehn, per avere dichiarato il 6 marzo che lo status di candidato per la Serbia nel 2008 era "una prospettiva ambiziosa ma possibile, se si verificheranno le migliori condizioni".

La dichiarazione di Rehn ha costituito una rottura con la precedente posizione dell'UE, che sosteneva che qualsiasi Paese deve dapprima firmare un patto di associazione con l'Unione prima di poter avviare un qualsiasi colloquio di richiesta di membership.

A causa della mancata consegna da parte di Belgrado dei principali indiziati per crimini di guerra, la Serbia deve ancora iniziare questo processo formale di integrazione nella UE. L'anno scorso Bruxelles aveva congelato i colloqui per un Patto preliminare di Associazione e stabilizzazione (SAA).

Ma in seguito ad un incontro svoltosi la scorsa settimana tra la Serbia e i rappresentanti della Presidenza, del Consiglio e della Commissione dell'Unione europea, le prospettive di riaprire i colloqui con la Serbia per un SAA sembrano essere migliorate. Con un'apparente marcia indietro la Commissione in particolare ha enfatizzato l'esigenza di vedere un "impegno" da parte di Belgrado a consegnare il generale Ratko Mladic e gli altri al Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia (TPI), anziché la concreta consegna dei sospetti.

Dopo l'incontro della "troika" dell'UE a Bruxelles, Rehn ha offerto nuovi incentivi alla Serbia, discutendo apertamente di un programma accelerato per la candidatura alla membership, come pure a standard "su misura" per giudicare la cooperazione sui criminali di guerra necessaria a concludere un SAA.

"Abbiamo evidenziato alcuni parametri necessari al fine di rimettere in moto le cose", ha detto Rehn dopo aver incontrato il presidente serbo Boris Tadic, specificando in particolare la presenza di "un chiaro impegno, nel programma del nuovo governo, ad arrestare e trasferire i latitanti rimasti".

Riferendosi ai negoziati per formare una coalizione di governo in corso in Serbia dopo le elezioni parlamentari del 21 gennaio, Rehn ha raccomandato che "le autorità competenti siano ben coordinate... intendendo con questo ...che la Serbia fornisca al TPI un pieno accesso ai documenti fin dal primo giorno di entrata in carica del nuovo governo".

Il tono accomodante di questo messaggio ha fatto suonare un campanello d'allarme nell'ufficio del procuratore del TPI.

"Resta da vedere quale sarà il significato di questi parametri, ma il linguaggio è certamente preoccupante", ha detto la portavoce Olga Kavran.

"Per diverso tempo la cooperazione con la Serbia è stata praticamente nulla, perciò molte cose dovrebbero succedere", ha aggiunto la Kavran. 'Lo status quo è inaccettabile".

Gli esperti in crimini di guerra sono preoccupati per quelli che essi vedono come segnali di un approccio più morbido in procinto di essere adottato verso gli obblighi della Serbia a consegnare i sospetti imputati di genocidio.

Il 14 marzo il procuratore capo del TPI, Carla del Ponte, ha inoltre condannato le "mutate" reazioni comunitarie ad una sentenza emessa il mese scorso dalla Corte internazionale di giustizia.

Questa sentenza aveva dichiarato la Serbia colpevole di non essere riuscita ad impedire il genocidio di Srebrenica in Bosnia ed Erzegovina nel 1995, e le ingiungeva di arrestare Mladic, il presunto artefice del massacro.

Le divergenti reazioni europee evidenziano i vari, differenti approcci che vengono oggi applicati nei confronti di Belgrado.

Mentre tutti gli Stati membri e le istituzioni dell'UE sono impazienti di riportare la Serbia nei binari del processo di integrazione, incoraggiando così la stabilità, le riforme democratiche e una migliore integrazione economica della regione, essi sono divisi su quanto in là spingersi nel piegare le regole stabilite in precedenza.

I criteri di Copenhagen, che richiedono democrazia, rispetto dei diritti umani ed una economia di mercato, restano i parametri con cui la UE valuta gli aspiranti Stati membri, con il processo di Associazione e stabilizzazione a fare da pietra miliare per i Paesi dei Balcani occidentali.

Fino ad oggi la firma di un SAA è stata un passo essenziale prima che potessero essere prese in considerazione la candidatura e i negoziati.

"È ridicolo parlare di status di candidato se non c'è neppure un accordo di SAA", ha detto a Balkan Insight un esponente del Consiglio. "Una volta che avremo un accordo firmato e approvato, allora potremo parlare della possibilità per la Serbia di accedere allo status di candidato".

Inoltre l'Olanda, il Belgio e la Francia hanno messo in chiaro che essi non faranno marcia indietro in tema di crimini di guerra sulle condizioni ai negoziati per un SAA.

Altri paesi però sono più ambigui. La Gran Bretagna, che era irremovibile sui crimini di guerra quando si trattava del SAA e della candidatura della Croazia, è stata notevolmente più pacata nell'applicare gli stessi criteri alla Serbia.

Anche l'Italia e la Slovenia non hanno nascosto la loro disponibilità ad assumereun approccio più pragmatico, basato sul riconoscimento dei problemi territoriali della Serbia rispetto al Kosovo e del suo tormentato processo di riforme.

"Chiaramente non c'è un accordo sul rimuovere le condizioni poste dal TPI", ha detto Judy Batt, ricercatrice del parigino Istituto per gli studi sulla sicurezza. "Ma tutti gli Stati membri desiderano fortemente che la Serbia riavvii i negoziati per il SAA, dando un nuovo indirizzo al Paese", ha continuato.

I sostenitori di un approccio più flessibile sperano che ciò porterà immediatamente a nuovi colloqui e permetterà alla Serbia di sottoporre una richiesta di candidatura già il prossimo anno.

Vladimir Gligorov dell'Istituto di studi economici internazionali di Vienna ha detto che se i colloqui per il SAA ricominciassero in tempi brevi, "il patto potrebbe essere firmato presto, e i documenti per la candidatura potrebbero essere presentati durante la presidenza slovena della UE". Ha aggiunto: "la Slovenia sta appoggiando le aspirazioni di membership della Serbia".

Anche l'analista serbo Nebojsa Spaic vede le recenti dichiarazioni come "un gesto di buona volontà, mirato a preservare le strutture politiche democratiche in Serbia e a fare piccole concessioni sul Kosovo".

Il Kosovo è un fattore importante nei calcoli della UE. A Bruxelles si spera che riaffermare l'impegno della UE per la membership serba farà da contrappeso all'imposizione di una soluzione invisa ai serbi sullo status finale della provincia.

Un altro fattore che sta dietro all'ammorbidirsi dell'approccio della UE verso la Serbia è l'incapacità finora dimostrata nel raggiungere risultati concreti.

La decisione di rendere centrale la collaborazione col tribunale dell'Aja ha funzionato con la Croazia. Quando la ratifica del SAA croato e l'inizio dei negoziati furono posposti in seguito alla mancata consegna di un ricercato dell'Aja, Zagabria intraprese passi concreti ed efficaci per rintracciare il generale Ante Gotovina.

Ma l'imposizione di queste condizioni non ha avuto gli stessi effetti in Serbia. L'indiziato chiave, Mladic, resta latitante, ed in ogni altra area degli obblighi verso il TPI la Serbia si è praticamente rifiutata di cooperare.

"Le nostre domande di assistenza, come la consegna di documenti, hanno richiesto molto tempo per essere esaudite, con risposte frammentarie e di difficile interpretazione", ha detto la Kavran. "Non abbiamo ricevuto assolutamente nulla sull'arresto dei cinque ricercati che noi riteniamo essere ora sotto giurisdizione serba".

Questa situazione di stallo ha lasciato indietro la Serbia rispetto alla gran parte dei Balcani occidentali nel processo di integrazione nell'UE, portando alcuni a caldeggiare un cambiamento di tattica.

"Il problema dell'approccio attuale è che esso sopravvaluta il potenziale delle condizioni di cambiare un intero sistema", ha detto Gerald Knaus dell'Istituto europeo di stabilità, una think-tank che caldeggia una più ampia integrazione europea.

"Questo succede solo nella fase di candidatura e di pre-accesso", ha aggiunto. In confronto, ha detto Knaus, l'SAA "ha una potenzialità molto limitata di ispirare reali cambiamenti, dato che i suoi limitati benefici economici sono già da tempo implementati tramite altri meccanismi, e interessano solo una manciata di funzionari pubblici".

Knaus ritiene che il tema della giustizia sui crimini di guerra potrebbe essere meglio affrontato spostando la condizionalità alla fase dei negoziati. Ciò permetterebbe alla Serbia per lo meno di iniziare a valutare la compatibilità del suo sistema con l'"acquis" comunitario** dell'UE, e le offrirebbe una reale prospettiva di membership. "Altrimenti il Paese e la sua amministrazione rimarranno riluttanti a cooperare", ha sostenuto.

Preoccupazioni per la difficile posizione della Serbia sono emerse chiaramente anche nelle recenti dichiarazioni di Rehn. Parlando coi giornalisti alcuni giorni dopo il meeting della "troika", egli ha definito le possibili concessioni della Comissione come "fair play", piuttosto che come favoritismo, ribadendo l'importanza che l'UE si mostri "coerentemente impegnata per una prospettiva europea della Serbia".

Sono in molti ad essere frustrati dall'attuale situazione della Serbia, perché da un punto di vista economico ed amministrativo essa è in buona posizione per negoziare una membership.

Fonti interne alla Commissione hanno riferito a Balkan Insight che l'unica cosa che blocca il cammino della Serbia è l'elemento politico.

"Se si muovessero in fretta, il 2008 come data-obiettivo per l'ottenimento dello status di candidato non è impossibile", ha detto un responsabile.

Dato che i contatti tra UE e Serbia proseguono anche se i negoziati non sono ufficialmente in corso, un SAA potrebbe essere concluso nel giro di poche settimane.

"Per quanto ci riguarda noi siamo pronti a riprendere i colloqui anche domani", ha detto Srdjan Majstorovic, vicepresidente dell'ufficio serbo per l'integrazione nella UE.

"L'amministrazione ha la capacità di farlo, come la Commissione della UE ha notato nel suo rapporto annuale, e io credo che i colloqui potrebbero essere portati a termine entro due mesi".

Comunque è improbabile che perfino l'approccio più flessibile dia dei frutti, a meno che la Serbia non formi velocemente un governo che poi dimostri almeno la volontà di base di cooperare con il TPI.

"La UE puè certamente essere flessibile su come e qundo le condizioni devono essere soddisfatte, ma l'integrazione presuppone la capacità da parte degli Stati di ottemperare a certe condizioni - i valori, come pure l''acquis' - cosicché non può fare passi avanti se si basa sull'idea che certi Stati devono applicare le regole e certi altri no", ha spiegato Batt.

Nelle sue asserzioni sul processo di integrazione nell'UE della Bosnia ed Erzegovina, Rehn ha assunto un tono nettamente più aspro.

Il 14 marzo ha detto che la UE "non concluderà i negoziati per il SAA con la Bosnia ed Erzegovina prima che siano stati fatti concreti progressi sulle condizioni chiave, specialmente sulla riforma della polizia e sulla cooperazione col tribunale per i crimini di guerra".

Rehn si è rammaricato che l'agenda di riforme della Bosnia ed Erzegovina sia "in fase di ristagno; inoltre il clima politico si è inasprito, volgendosi alla retorica e alle tensioni nazionalistiche. Francamente, ne abbiamo avuto abbastanza".

Knaus ha ammesso che se prendesse piede l'idea che Bruxelles stia offrendo alla Serbia una specie di trattamento privilegiato, i risultati sarebbero "devastanti".

Ma anziché fare marcia indietro sulla Serbia, egli ritiene che la candidatura dovrebbe essere offerta anche ad Albania, Bosnia e Montenegro.

Nel frattempo la formazione di un nuovo governo a Belgrado rimane cruciale perché la Serbia faccia dei veri progressi nell'integrazione con l'UE.

"Se nel governo entra gente nuova, se il governo riafferma la volontà di catturare Mladic, e se fanno questo secondo scadenze chiaramente definite, i colloqui possono riprendere", ha detto Vladimir Gligorov.

Il fallimento del governo uscente nell'intraprendere azioni significative riguardo a Mladic ha comportato il fatto che ora i partner stranieri della Serbia si aspettano dei cambiamenti significativi nelle persone che assumeranno gli incarichi di governo di maggior rilievo. "Se non ci saranno cambiamenti, la situazione della Serbia s'indebolirà significativamente", ha detto Batt.
*Anna McTaggart e Aleksandar Vasovic sono redattori di BIRN. Gjeraqina Tuhina è collaboratrice di Balkan Insight. Balkan Insight è la pubblicazione online di BIRN.
** NdT: Per "acquis" comunitario (dalla locuzione francese "(droit) acquis communautaire", (diritto) acquisito comunitario) si intende l'insieme dei diritti, degli obblighi giuridici e degli obiettivi politici che accomunano e vincolano gli stati membri dell'Unione Europea e che devono essere accolti senza riserve dai paesi che vogliano entrare a farne parte. (cfr. Wikipedia)