(Rudolf Getel/flickr)

Lo scorso fine settimana si è conclusa la decima edizione di Exit, a Novi Sad. 190.000 visitatori in quattro giorni, uno dei festival di musica più importanti in Europa. Abbiamo incontrato Bojan Bošković, uno dei ragazzi che nel 2000, sull'onda delle proteste anti Milosević, si misero in testa di fare un festival internazionale di musica rock

17/07/2009 -  Lucia Manzotti Belgrado

Ci sono delle tempistiche del dopo Exit Festival che non si possono evitare. Il lunedì nessuno dei telefoni messi a disposizione dei giornalisti funziona, il martedì si riesce a trovare la ragazza che faceva gli accrediti che però non è esattamente la pr, il terzo giorno dopo il festival si riesce a trovare l'addetto stampa e solo il quarto giorno si trova Bojan Bošković, uno dei ragazzi di Novi Sad che nel 2000, sull'onda delle proteste anti Milosević che avrebbero portato alla sua cacciata, si misero in testa di fare un festival internazionale di musica rock.

"Eravamo giovani studenti, parte di un movimento che voleva combattere per avere più spazio più visibilità, che voleva un cambiamento - racconta Bojan - volevamo rompere questa sorta di apatia che c'era in Serbia e abbiamo pensato che poteva essere un'idea portare artisti, musicisti, teatro che portasse alla ribalta la scena alternativa". E dopo Milosević dove è finita la spinta politica? "Non è assolutamente finita - spiega ancora Bošković - non è che dopo Milosević la Serbia è cambiata in maniera decisiva, continuiamo a portare molti temi sociali al festival, abbiamo fatto campagne per spingere la gente a votare abbiamo portato Olli Rehn qui, abbiamo fatto una campagna per la liberalizzazione dei visti. Quest'anno abbiamo parlato di ecologia in particolare con la "Exit green Guerriglia", ma non solo, abbiamo portato anche il Belgrade Pride, gli organizzatori del gay pride che si terrà ad agosto. Quindi lo spirito originario di lotta c'è ancora".

Quest'anno, a Novi Sad, nella suggestiva cornice della fortezza di Petrovaradin, sul Danubio, si è svolto il 10° Exit Festival contrassegnato dalla vendita delle mascherine anti-influenza suina (otto casi registrati tra i partecipanti dell'Exit) indossate più come gadget - assieme alle corna luminose e agli occhiali colorati con le fessure al posto delle lenti - che come effettiva protezione contro il virus H1N1. Nessun panico, insomma, ha scoraggiato la partecipazione ad uno dei più importanti festival di musica internazionale in Europa, visto che i numeri parlano di 190 mila visitatori in 4 giorni, di cui 20 mila dalla Gran Bretagna. E proprio un giovane inglese di 22 anni purtroppo è morto la notte tra venerdì 10 e sabato 11 luglio per una caduta accidentale dalle mura di Petrovaradin. Nelle serate successive il personale della sicurezza ha pattugliato le mura munito di fischietto impedendo a chiunque di anche solo appoggiarsi al parapetto. Questo evento non ha però fermato i festeggiamenti per i 10 anni di Exit che sono culminati con un eccezionale concerto dei Prodigy l'ultima sera al quale hanno partecipato circa 35 mila persone.

Exit è un festival che riesce ad essere locale e globale allo stesso tempo: da una parte si è avuta una crescita esponenziale del Festival, dai nomi degli artisti sempre più "Big", alla internazionlizzazione che ha portato Exit a ricevere il premio di miglior festival d'Europa nel 2007, all'organizzazione sempre più professionale. Dall'altra parte è il festival dei serbi, tutti i ragazzi di qua conoscono qualcuno degli organizzatori, ci hanno lavorato o conoscono quelli che ci lavorano, hanno amici che ci suonano e soprattutto ci vengono da quando è iniziato, o quasi. Danijel Farkas, 24 anni, è un giornalista del giornale free press 24sata (24 ore), è originario della Vojvodina e racconta che quello di quest'anno è il suo 7mo Festival. "I primi anni - racconta - c'era questo ottimismo, si sentiva che le cose stavano cambiando. Quest'anno invece è l'anno della crisi, si vede dalla diminuzione del numero degli stage, da 25 a 20, dal costo delle bevute e dell'entrata, ma non è cambiata la qualità dell'offerta musicale, come il concerto dei Korn di venerdì che è stato il miglior concerto di sempre". Fra i più famosi hanno suonato Patty Smith, Moby, e anche i giovani Artic Monkeys e Lilly Allen.

E per la musica locale? "Prima della guerra avevamo una grande scena musicale che oggi è assolutamente morta. Per gli artisti locali si dovrebbe fare molto, molto di più", dice il fondatore Bojan Bošković. "Qui manca tutto riguardo alla musica: mancano manager, mancano media che si occupano di musica, mancano le etichette, tutta la catena della produzione. Ma soprattutto manca la cooperazione delle istituzioni. Dobbiamo far capire ai politici che la Serbia deve scegliere se ritornare ad essere una nazione Rock and Roll o restare una nazione Turbo Folk e nazionalista, non si può stare nel mezzo".

Nina Zelić, 26 anni di Sombor è il secondo anno che canta all'Exit Festival. Quest'anno ha suonato con il gruppo Fade, musica rock progressive di Sombor. "Sombor è famosa per la musica - racconta Nina - siamo una piccola città di 50 mila abitanti, ma ben 5 gruppi nostri sono stati scelti per Exit quest'anno". Che cosa significa Exit per i gruppi serbi? "Ti dico solo che due ragazzi del mio gruppo non erano mai venuti ad Exit come scelta politica, per la musica che propone, sempre più main stream e per come vengono trattati i musicisti locali, quelli non famosi". "Io sono molto più positiva - dice ancora Nina - è ovvio che è un'occasione suonare qui. Dopo la nostra performance mi hanno fermato tre persone di diversi paesi per farmi i complimenti, ma è vero che le condizioni per i piccoli gruppi non sono buone anche perché gli organizzatori sanno bene che se un gruppo rifiuta ce ne è subito uno dietro che aspetta di essere preso".

Nina non ama tantissimo la musica di Exit, ma continua a venire e ad essere a favore:"Negli ultimi anni sta diventando sempre più main stream, focalizzato sugli stranieri. Non per niente arrivano 20 mila inglesi. All'inizio era molto diverso, durava dieci giorni e suonava chi voleva, e c'era anche la voglia di cambiare di uscire dall'isolamento di andare contro il regime". "Oggi è molto diverso, commerciale, ma io resto assolutamente "pro", perché un festival come Exit fa capire a chi ci governa che la musica può essere un lavoro e che bisogna assolutamente investirci. Come è il mercato adesso, nonostante ci sia una scena alternativa molto attiva in Serbia, di musica non ci si vive. Se per caso riesci a pubblicare un album - e comunque ci vogliono mille raccomandazioni - i diritti te li prende la casa discografica, gli artisti non guadagnano quasi nulla. Exit almeno mostra che ci sono almeno cento gruppi dalla Serbia che sono bravi e che vengono apprezzati anche dagli stranieri".