Un'esplosione

Bidoni coperti da un sottile strato di terra. Lì sono stoccati i resti dei proiettili all'uranio impoverito sganciati nel '99 su Bogutovac. Nel cuore della quotidianità della piccola località termale nel sud della Serbia.

30/12/2003 -  Michele Nardelli

Mirijana Pantovic, aveva 32 anni, un marito, tre figli. Se ne è andata qualche settimana fa, uccisa da un cancro che la sua giovane età non è riuscita a sconfiggere. La sua morte non ha fatto notizia, ma se ne parla, con inquietudine. Così come di quella di altre persone a Bogutovac e dintorni, una località a non molti chilometri da Kraljevo, lungo la Ibarska, la strada statale che dalla Serbia ti porta in Sangiaccato. E che ad un tratto, in modo inaspettato, ti butta addosso i segni di una strana guerra, diversa da quella che ha distrutto sistematicamente le case di Bosnia o delle Krajne. Una stazione ferroviaria cancellata, capannoni e case distrutte, una scuola da poco ricostruita, un posto di blocco permanente della polizia serba.

Nel duro inverno di Bogutovac non c'è un raggio di sole. Il che rende ancor più spettrale lo scenario che hai di fronte, lungo la stretta valle del fiume Ibar, un tempo nota per la sua splendida fortezza di Maglic, per il Monastero di Studenica e per la ricchezza delle acque termali che sgorgano tutt'intorno.Gli occhi e il cuore, ormai abituati agli affreschi di questa modernità, si riprendono in fretta. Procediamo oltre, per una stradina che sale verso la montagna, nella direzione di Bogutovacka Banja, un centro termale dove l'acqua ricca di litio sgorga a 27 gradi. Una potenziale risorsa del territorio nel quadro di un progetto di cooperazione decentrata e di sviluppo locale che la comunità trentina sta promuovendo in quell'area.

Ed è lì, lungo i viali di un centro termale piegato su se stesso dal fallimento di un modello e dall'incuria di una transizione senza qualità, che l'attenzione viene catturata da un annuncio funebre affisso su un albero, da un nome e dalla giovane età della persona scomparsa. "Qui di uranio impoverito si continua a morire" ci dice Srdjan, rappresentante del Forum Civico di Kraljevo, organismo che raccoglie numerose Ong della zona. Sono gli "effetti collaterali" della guerra umanitaria del 1999. In quell'area c'erano infatti una caserma e depositi militari bombardati dalla Nato. Obiettivi "strategici" di una guerra che con la pulizia etnica del Kossovo non aveva niente a che vedere, prove di dominio di un apparato militar industriale che di lì a poco avrebbe messo definitivamente le mani sulla Casa Bianca. Lungi dal risolvere la questione kossovara, ma lasciando dietro di sé una scia di veleno e di morte.

A suo modo anche questa è una "guerra infinita", considerato che di uranio impoverito si continua a morire in Bosnia, in Serbia e nel Kossovo "liberato". E se gli organismi della comunità internazionale continuano a sostenere che non è acclarato alcun collegamento diretto tra uranio impoverito e tumori in tempi così rapidi come sarebbe in Serbia oggi, gli studi su Hadzici, comune nei pressi di Sarajevo fortemente bombardato durante l'azione del '95, ci dicono il contrario: più di 300 persone che erano ad Hadzici durante il bombardamento sono morte solo lo scorso anno nei campi profughi di Bratonac.

Di cancro e leucemia.

Le persone che ci accompagnano ci spiegano che le aree colpite dai missili "arricchiti" ora sono state bonificate dall'esercito e che non dovrebbe esserci alcun pericolo. Così andiamo in uno dei luoghi dove è stato stoccato il materiale contaminato dai bombardamenti (soprattutto bombe inesplose e parti di bombe esplose), in fusti piombati.

Lì, sul ciglio della strada statale che poco prima abbiamo percorso, vicino alle macerie della stazione ferroviaria, a poche decine di metri dal letto del fiume Ibar, c'è il sito di raccolta dei fusti, una specie di discarica a cielo aperto ricoperta di terra e con qualche presa d'aria, senza protezione alcuna, né un cancello, né un cartello di pericolo. E la gente ci passa attorno, i bambini con lo zainetto che vanno a scuola, le loro madri con i sacchetti delle provviste, ogni giorno. Perché quella è la loro terra, l'unica che hanno.Ci dicono che lì a due passi, sotto il ponte presidiato dal posto di blocco, c'è un missile inesploso da quattro anni e mezzo, "in attesa che gli americani vengano a bonificarlo".

Certo, perché il paradosso della storia è che in questi anni, nella distrazione generale, la situazione geopolitica nei Balcani è cambiata, tanto che oggi la Serbia è al centro nella strategia delle alleanze degli USA nei Balcani, paese di maggior favore nei rapporti commerciali (basti pensare alla mitica Zastava che oggi produce armi su licenza americana) e candidato a diventare un prezioso alleato dell'amministrazione Bush, com'è testimoniato dall'orientamento di inviare un proprio contingente militare in Afghanistan (qui si dice che le indicazioni per colpire il bunker di Saddam Hussein a Baghdad venissero proprio dai servizi segreti serbi, visto che tale bunker era di fabbricazione jugoslava).

In attesa dei militari nordamericani, il missile sotto il ponte di Bogutovac è lì, con il suo carico di morte, a monito del nuovo ordine mondiale.

Proseguiamo per Studenica, 40 chilometri più a sud, a ridosso di quell'incrocio di genti e culture che è il Sangiaccato. Lo splendido monastero dell'XI secolo è imbiancato da una leggera coltre di neve appena caduta. Uno spettacolo di arte, cultura e natura che resiste alla barbarie e che nonostante tutto ci fa pensare che questi luoghi possano rinascere. Del resto, è per questo che la comunità trentina è lì, l'idea di uno sviluppo locale autosostenibile e di un turismo rurale che si trova a dover fare i conti con la tragedia di una guerra infinita. In fondo non è che una forma di risarcimento. Anche alla memoria di Mirijana.