Intendeva titolare così, Cloaca Maxima, una sua tetralogia. Che però non ha mai terminato. Vladimir Arsenijević è un artista che sta attraversando intensamente il suo tempo: dal punk, al post-punk, alla scrittura dall'esilio in Messico sino al ritorno nella Belgrado che stava per liberarsi di Milosević
«Se uno scrittore non è emarginato, vilipeso, se non è uno che “non fa parte”, che scrittore è? Un bestsellerista che se ne va in giro in giacca e papillon a vendere grigie sfumature di cellulosa». La citazione è di un talentuoso scrittore nostrano, noto – e non per sua volontà – più alle cronache di costume che non a quelle squisitamente letterarie, ma si attaglia perfettamente al destino di un collega serbo, altrettanto noto in patria, e anche in questo caso non sempre per ragioni inerenti alla sua attività di scrittore. Stiamo parlando di Vladimir Arsenijević, un artista e intellettuale poliedrico, certamente una delle voci più vivaci, eclettiche e cosmopolite della scena culturale belgradese.
Predator, la sua recente opera narrativa appena pubblicata in edizione italiana da Nikita (trad. di Matteo Grabrović e Sabina Tržan, pp. 336, € 14,00), è uno dei pochi, riuscitissimi esempi di “romanzo globale”. La trama si snoda lungo tre continenti e intorno a centri di accoglienza per richiedenti asilo e residenze per scrittori esuli. In questi non-luoghi di ordinaria, anonima immigrazione da terre martoriate da sanguinosi conflitti e lacerazioni sociali, si mescolano amore e ribellione, solitudine e tossicodipendenza, alienazione e cultura underground, in un mosaico multicolore di microstorie nelle quali riecheggia in forma privata il dramma delle guerre balcaniche.
Un universo di marginalità che riesce solo sporadicamente a prendersi la ribalta pubblica, a prezzo di umiliazioni o brutali repressioni poliziesche. Procedendo per scarti e intersezioni, quasi a ricomporre frammenti di civiltà urbana globalizzata in un puzzle di destini incrociati, la vicenda ruota intorno a due personaggi principali, un documentarista americano di fama internazionale e un profugo curdo-iracheno salvatosi rocambolescamente dai gas chimici di Saddam Hussein che hanno raso al suolo il suo villaggio e sterminato la sua famiglia. Conosciutisi in un forum web dall’indirizzo inequivocabile, yourdarkestdream.com, tra i due si stabilisce un’attrazione parafiliaca, seguita da un macabro rituale in cui preda e predatore sembrano scambiarsi beffardamente i ruoli, fino a “consumarsi” in un finale di agghiacciante bellezza.
Predator è un romanzo postmodernista che rompe i canoni classici della composizione narrativa pur mantenendo intatta un’atmosfera corale. Risultato di una considerevole ricerca storico-antropologica e aperto a più chiavi di lettura, c’è chi si è addirittura spinto a definirlo un “anti-romanzo”, e non soltanto per la sua struttura policentrica, ma anche per le ardite sperimentazioni linguistiche fatte di frequenti salti di registro, language switchings, giochi di parole e di punteggiatura.
Pur con le sue evidenti peculiarità stilistiche e certi accenti pulp degni del primo Burroughs, Predator non può non richiamare alla memoria l’esordio narrativo di Arsenijević, quello straordinario Sottocoperta che gli valse nel 1994 il Premio NIN. Bestseller tradotto in oltre venti lingue (l’edizione italiana, pubblicata da Comedit con la pregevolissima traduzione di Alice Parmeggiani, è del 1995), è un disincantato, irriverente affresco della Belgrado dei primi anni novanta, una città chiaroscurale che sprofonda nella crisi economica e nei deliri nazionalistici, ed è attraversata dai cupi rimbombi della guerra in Slavonia. Anche qui vediamo agitarsi spettri metropolitani in forma di outsiders, un piccolo esercito di soldati Sc'vèik che cerca di sfuggire alla coscrizione obbligatoria e si consuma quotidianamente in un disperato, nichilistico autocompiacimento e nell’abuso di droghe. Tuttavia, in questo condensato di speranze tradite e soffocata ribellione, ritroviamo una verace testimonianza della meglio gioventù belgradese dell’era Milošević e di una controcultura da cui si sprigionò quella stessa vitalità letteraria che impose sulla scena Arsenijević e altri interessanti scrittori della sua generazione.
Nato a Pola nel 1965 e belgradese di adozione, nei primissimi anni ottanta Vladimir Arsenijević dà vita alla punk band Urbana Gerila e successivamente ai Berliner Strasse, uno dei punti di riferimento del post-rock jugoslavo. Nel 1994 è il più giovane scrittore ad aggiudicarsi il Premio NIN, il più importante riconoscimento letterario in Jugoslavia prima e in Serbia poi, e Sottocoperta – pensata come prima parte di una tetralogia dal titolo Cloaca Maxima – rimane a tutt’oggi l’unica opera d’esordio a figurare nella lunga e celebre lista dei romanzi premiati. Un’opera assai controversa, intorno alla quale si scatena un acceso dibattito pubblico.
«Era il 1995, l’anno degli accordi di Dayton che posero fine al macello in Bosnia» ricorda Arsenijević. «Per un breve lasso di tempo Milošević fu un fattore di stabilità nei Balcani e riuscì ad accreditarsi a livello internazionale il ruolo di peacemaker. Una delle conseguenze in patria fu un‘inconsueta apertura critica dei media che di lì a poco sarebbe stata soffocata da una nuova ondata repressiva. A beneficiare di quell‘atmosfera fu anche il mio libro, che ottenne sì il maggior riconoscimento ufficiale e i riflettori puntati, ma venne anche brutalmente criticato da certi ambienti politici e culturali che tutt’oggi continuano a prenderlo di mira come modello negativo per un’intera generazione». Sulla scia dell‘inatteso successo, nel 1997 Arsenijević pubblica il suo secondo romanzo, Anđela, anch’esso un caso editoriale. Tuttavia il clima nel Paese è cambiato, monta la protesta di piazza contro il regime, e la maggior parte della stampa, perlopiù piegata agli interessi dell’establishment, accoglie il romanzo con toni aspri e cinici.
Nel frattempo, i riflettori pubblici, l’attenzione dei media e la fama di scrittore d’opposizione creano ad Arsenijević non pochi problemi: «Gli attacchi mirati della stampa, le minacce e il fatto di essere continuamente invitato a parlare del mio libro, di me stesso e dei miei progetti finirono presto con il nausearmi, causarono la fine del mio matrimonio ed ebbero forti ripercussioni sulla mia scrittura e sul romanzo cui stavo lavorando, Arkadia, che non sarei mai più riuscito a portare a termine. Durante la crisi in Kosovo trovai una soluzione alla mia personale crisi d’identità e una via di fuga da questo cazzo di Paese. Un paio di mesi prima dell‘intervento NATO approfittai dell‘invito dell‘International Parliament of Writers e me ne andai in Messico, dove mi ritrovai a osservare, dall’altro capo del mondo e in un misto di ilarità e depressione, diciotto nazioni diverse bombardare la mia città e il mio Paese. Lasciai perdere definitivamente il mio romanzo, che mi stava annoiando a morte, conobbi il poeta kosovaro Xhevdet Bajraj e grazie al suo consiglio iniziai a redigere una sorta di diario di guerra [Mexico. Ratni dnevnik] che pubblicai l’anno successivo». In Messico Arsenijević torna alla sua vecchia passione e diventa chitarrista dei Los Armstring, un gruppo punk rock con cui registra il CD Wanderlust.
Rientra a Belgrado nel settembre 2000, giusto in tempo per assistere alla sconfitta elettorale di Milosević, al suo arresto e trasferimento all’Aja. Il rinnovamento politico in Serbia coincide con l’avvio di nuovi e ambiziosi progetti culturali: Arsenijević apre una casa editrice indipendente, Rende, con lo scopo di creare un canale di comunicazione con la galassia post-jugoslava e dare spazio alla letteratura croata e dei Paesi diventati indipendenti dopo il 1991. Un’esperienza che si rinnova nel 2007, quando lascia Rende per diventare editor della costola belgradese di VBZ, una delle più importanti case editrici croate. Nel frattempo realizza, insieme al celebre cartoonista Aleksandar Zograf, il graphic novel Ishmail, un racconto ambientato nel 1979 in cui si ripercorrono gli stretti legami tra la cultura punk assai diffusa nell’allora Jugoslavia socialista e l’arte concettuale degli anni sessanta. Oltre al romanzo Predator, datato 2008, ha pubblicato recentemente una raccolta di saggi dal titolo emblematico, Jugolaboratorija, che sintetizzano il suo personale percorso politico e culturale degli ultimi dieci anni, e un altro graphic novel, Minut Put oko sveta za 60 sekundi [Un minuto – Giro del mondo in 60 secondi], illustrato dalla visual artist Valentina Brostean.
Attualmente Arsenijević è uno dei columnist di punta del quotidiano zagabrese Jutarnji List, animatore del festival letterario internazionale Krokodil (www.krokodil.rs), che si tiene in contemporanea a Belgrado e Zagabria e organizza residenze per scrittori, e direttore di Reflektor (www.rflekt.me), una casa editrice specializzata in audiolibri.