Globalizzazione e questione identitaria nell'incontro in Italia tra il celebre scrittore sloveno e il sindaco di Pirano, politico di origine ghanese. L'intervista
Il 24 dicembre 2010, intervistato dal quotidiano di Capodistria Primorske Novice, Boris Pahor aveva dichiarato che era “un brutto segno” il fatto che gli sloveni avessero eletto a sindaco di Pirano un candidato di origine africana. La dichiarazione, rilasciata nel contesto di un'ampia intervista realizzata in occasione del ventennale del plebiscito sull'indipendenza della Slovenia, era valsa allo scrittore accuse di razzismo.
L'autore di Necropoli si è recentemente incontrato in Italia con il primo cittadino di Pirano, Peter Bossman , medico ghanese naturalizzato sloveno. Nel corso dell'incontro, che si è tenuto presso il Centro Ernesto Balducci di Zugliano, Pahor ha avuto modo di precisare il proprio pensiero sulla questione della coscienza nazionale degli sloveni. Respingendo le accuse di razzismo.
“Questa sera non sono qui per fare pace con Peter, perché non siamo mai stati nemici – ha esordito Pahor. Siamo qui per parlare dell’Europa dei migranti, del nostro presente dopo la caduta del muro e di come preservare la nostra identità nell’Europa unita. L’unico modo è cominciare dal nido d’infanzia, proteggere e far conoscere ai figli degli immigrati la lingua madre”.
Peter Bossman, dal canto suo, “africano di origine ma sloveno per scelta”, ha replicato in modo più che esplicito: “Lo scrittore Boris Pahor non è razzista, né nazionalista.”
Le parole di Bossman sono state una sorpresa?
Quando mi attaccavano giudicandomi non solo nazionalista, ma anche razzista, io rispondevo che se avessi incontrato Peter Bossman gli avrei espresso i miei complimenti per l’elezione, e che ce l’avevo con gli sloveni che non avevano scelto un cittadino autoctono. Alcuni amici allora mi confermarono che Peter mi aveva compreso. Così il nostro incontro a Zugliano è stato da amici, e lui ha giustamente confermato che essendo di origine del Ghana, sapeva molto bene che valore aveva la coscienza della propria identità.
Sia lei che Bossman, durante il dibattito, avete dato una grande importanza alla questione dell’identità, vissuta anche come orgoglio per le proprie origini. La preoccupa la fragilità dell’Europa di fronte alla globalizzazione?
La globalizzazione è un pericolo per le piccole identità nazionali, che bisognerebbe garantire. Questo l’abbiamo confermato durante il nostro incontro, sottolineando soprattutto la condizione dei figli degli immigrati.
Cos’è accaduto in Europa nei due decenni dopo il crollo del Muro?
Dopo il crollo del Muro è cessata la necessità di combattere il comunismo, è scoppiata la pace e la vita facile, egoistica e senza scopo, lo sviluppo fantastico della tecnica civile ed il conseguente consumo incontrollato.
Lei ha spesso citato nel corso del suo incontro con Bossman il filosofo Edgar Morin e la sua ricerca di etica. Perché?
Perché insieme a Stéphane Hessel ha scritto un volumetto in cui cerca i rimedi per una società malata di egoismo. Propongono un Consiglio etico, che certo sarebbe utile, se ad un tempo ci fosse anche un’autorità di controllo...
Teme che la questione identitaria possa diventare uno strumento per il risveglio dei nazionalismi da cui lei stesso è stato perseguitato durante il periodo nazifascista?
Sì, nonostante la democrazia c’è sempre il pericolo. Perciò i giovani dovrebbero conoscere bene la storia europea del XX secolo: la verità sul fascismo italiano, spagnolo, tedesco, croato e sul comunismo.
Quale sarebbe il suo sogno sull’Europa da lasciare a noi, non solo suoi estimatori e lettori, ma anche cittadini di questo continente?
Siccome il comunismo ormai si è liquidato da solo, bisognerebbe far nascere dei movimenti di difesa della libertà, della giustizia, della solidarietà, dell’amicizia. Forse potrebbe venire in aiuto la Chiesa, ma dovrebbe prima ritornare alla semplicità del Vangelo e di Gesù che calzava i sandali e non aveva né mitra né anello pastorale…
Come giudica la mancanza di interesse da parte dei grandi giornali italiani che, quando è esploso il “caso Pahor – Bossman”, avevano riferito delle sue parole estrapolandole da un contesto molto più ampio? A qualcuno non sarebbe piaciuto il suo incontro con Bossman?
Parlando dell’incontro, la sinistra avrebbe riconosciuto di aver sbagliato!