© Soloveva Kseniia/Shutterstock

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In Slovenia nessun netto vincitore alle elezioni europee. Non vince nemmeno la democrazia con poco più di un avente diritto su quattro che si è recato a votare

31/05/2019 -  Charles Nonne Lubiana

Circa 1,6 milioni di elettori erano chiamati in Slovenia ad eleggere 8 rappresentanti al Parlamento europeo per la legislatura 2019-2024. Per l'occasione il Parlamento europeo - insieme ad una rete di associazioni locali della società civile - hanno promosso una sofisticata campagna di comunicazione per far sì che gli sloveni, soprattutto i più giovani, si recassero alle urne. Al termine di una domenica annuvolata è arrivato il verdetto: gli sloveni sono rimasti a casa loro, e nessuno su questo può cantar vittoria.

La sera del 26 maggio è stato tempo di sorrisi a denti stretti nel quartier generale dei principali partiti politici del paese. I risultati elettorali hanno soddisfatto tutti coloro i quali hanno ottenuto almeno un seggio, ma si può affermare che nessuno abbia ottenuto un vero e proprio successo.

Destra, sinistra, centro

A destra, l'alleanza tra il Partito democratico (SDS) dell'ex primo ministro Janez Janša e il suo cugino moderato, il Partito popolare (SLS), può vantarsi di aver vinto le elezioni, avendo ottenuto tre seggi. Tuttavia, l'SDS perde un seggio rispetto al 2014: il terzo eletto della coalizione è stato infatti il più votato dell'SLS, Franc Bogovič. Aggiungendo il seggio ottenuto dai solidi cristiano-sociali dell'NSi, i partiti affiliati al Partito popolare europeo (PPE) hanno ottenuto solo quattro deputati, contro i cinque che occupavano nel precedente Parlamento europeo. Il troppo radicale Janez Janša rimane comunque lontano dal potere a causa del cordone sanitario imposto attorno a lui dal resto della classe politica slovena.

A sinistra, al secondo posto nei risultati elettorali, troviamo i Socialdemocratici (SD) che hanno più che raddoppiato il loro punteggio rispetto al 2014, garantendo altri cinque anni alla molto conosciuta Tanja Fajon e mandando a Strasburgo per il suo primo mandato l'ex presidente della Assemblea nazionale slovena Milan Brglez; i Socialdemocratici così non fanno altro che mettere un cerotto sul disastro del 2014 che aveva portato loro un solo seggio. L'SD esce comunque rafforzato come partner chiave della coalizione di governo e potrebbe prendere l'iniziativa quando sarà il momento di nominare il commissario sloveno all'interno della Commissione europea. La formazione di sinistra più radicale, Levica, esce a mani vuote dalle elezioni, nonostante il buon risultato ottenuto alle legislative del 2018 e la nomina della loro capolista, Violeta Tomič, a Spitzenkandidaten del partito continentale "La sinistra europea"

Al centro, il bicchiere è pieno solo a metà: il giovane partito del primo ministro Marjan Šarec (LMŠ) ottiene due seggi rispetto al solo seggio che era stato previsto dai sondaggi più recenti. Šarec però può essere deluso e paga la sua eccessiva fiducia che lo ha portato a rifiutare una coalizione con altri partiti centristi proponendo loro condizioni inaccettabili. I partiti di centro, tutti partner della coalizione di governo e tutti affiliati all'Alde, hanno ottenuto complessivamente il 26,88% dei voti, superando di misura i conservatori di Janša. Senza l'alleanza è sfumato il sogno di un tris di deputati europei: i leader carismatici del Partito dei pensionati (DeSUS) e del Partito Alenka Bratušek (SAB) sono rimasti a casa, e il Partito del Centro (SMC) di Miro Cerar, vincitore assoluto alle elezioni legislative del 2014, si sta avvicinando all'estinzione.

Preferenze

La Slovenia sfugge quindi all'ondata populista che gli esperti avevano predetto per l'Europa: i partiti apertamente populisti e sovranisti non sono stati in grado di raccogliere voti sufficienti per un seggio nonostante una campagna elettorale molto aggressiva e marcata. Come loro premio di consolazione, la questione migratoria è stata al centro del dibattito pre-elettorale, insieme all'aumento del populismo e alle questioni ambientali.

Uno dei punti forti del processo elettorale in Slovenia è il poter indicare una preferenza, sistema cioè attraverso il quale gli elettori possono, all'interno di una lista, scegliere un candidato specifico. Opzione che hanno utilizzato in modo massiccio: ad esempio l'ex presidente dell'Assemblea nazionale Milan Brglez, transfugo dal SMC e arrivato ai Socialdemocratici, è stato eletto – con sorpresa di tutti - al secondo posto tra i socialdemocratici nonostante la sua quarta posizione in lista.

L'esercizio democratico del 26 maggio non offre però alcun motivo per rallegrarsi: nonostante un lieve aumento dell'affluenza, il paese ha vinto la medaglia d'argento dell'astensione (28,36% contro il 24,55% nel 2014), appena dietro alla Slovacchia. Un'astensione che ha ampiamente portato beneficio ai partiti tradizionali, i cui elettori sono più leali e meno volatili. L'Unione europea sembra quindi rimanere un'estranea per un paese che ha beneficiato enormemente dell'adesione ma che dubita che la sua voce possa contare nel contesto europeo.

Aria di guerra per il futuro Commissario sloveno

"Oggi è il giorno delle grandi parole; domani sarà il giorno delle grandi azioni", ha dichiarato Romana Tomc (SDS-EPP), appena rieletta, commentando i risultati della serata. Otto deputati, quattro uomini e quattro donne, quattro di centro-destra e quattro di centro-sinistra, ma anche quattro nuovi e quattro rieletti che hanno già sperimentato gli ingranaggi di Bruxelles, ciascuno in campi specifici: Franc Bogovič (SLS) si è occupato in prevalenza di sviluppo rurale e agricoltura, Romana Tomc (SDS) di affari sociali, Tanja Fajon (SD) di diritti umani e società civile, Milan Zver (SDS) di cultura e istruzione.

I deputati sloveni conteranno relativamente a Strasburgo, dove rappresentano solo l'1% del totale dei deputati. Più rilevante sarà chi occuperà la carica di Commissario sloveno in seno alla Commissione. I nomi di possibili candidati già si accumulano: l'SDS propone un attuale deputato ed ex candidato sindaco di Lubiana, Anže Logar, un giovane fedele al partito e senza esperienza ministeriale. I socialdemocratici vorrebbero vedere tra i commissari Tanja Fajon, rieletta al Parlamento europeo per un terzo mandato nonostante la sua promessa di farne solo due; nel 2014 la sua candidatura a Commissaria venne seccamente respinta dai governi centristi di Alenka Bratušek e Miro Cerar, a vantaggio infine della liberale Violeta Bulc. Un posto da Commissario potrebbe rivelarsi una via d'uscita per l'ex primo ministro e attuale ministro degli Esteri Miro Cerar che è visibilmente attratto dalla scena internazionale ed europea e che potrebbe così guarire dalle ferite che si è procurato nella politica nazionale.

Allo stato attuale, tutti i candidati putativi e dichiarati hanno una possibilità dato che la designazione dei Commissari dipende da un delicato equilibrio geografico, socio-economico, storico, politico e di genere, che può influenzare nettamente le dinamiche interne dei paesi più piccoli. Ma con il riflusso in atto nel processo degli Spitzenkandidaten, i tomenti attraversati dall'Europa e il vento del sovranismo che soffia, l'influenza effettiva della Slovenia dipenderà principalmente dalla capacità del suo governo di far sentire, con oculatezza tattica, una voce competente ed univoca sul palco della politica europea.