Di foibe lo storico Jože Pirjevec aveva scritto solo fugacemente agli inizi degli anni Novanta. Ora ritorna sulla questione con un intero libro: "Foibe. Una storia d'Italia", pubblicato da Einaudi. Una recensione

23/11/2009 -  Stefano Lusa Capodistria

Il professor Jože Pirjevec, agli inizi degli anni Novanta, aveva fugacemente, ma alquanto efficacemente, trattato la questione delle "foibe" già ne "Il giorno di San Vito - Jugoslavia 1818-1992. Storia di una tragedia". Lo aveva fatto con un paio di pennellate. Gli jugoslavi, nei quaranta giorni in cui rimasero al potere in città - scrisse - tennero "un comportamento rozzo e brutale, simile a quello praticato all'interno del loro paese: con la differenza, però, che veniva attuato sotto gli occhi del mondo occidentale (...) e dunque non fu solo un crimine, ma anche uno sbaglio politico". Quelle vicende - aggiunse all'epoca Pirjevec - "ebbero sull'ambiente triestino un impatto particolarmente grave, perché s'innestavano sul secolare conflitto etnico tra italiani e sloveni in quest'area".

La questione non meritava che poche righe in un corposo libro sulla storia della Jugoslavia. In effetti visto dall'ottica jugoslava quello delle foibe non fu che un episodio marginale inserito in un sanguinario clima di resa dei conti in cui venivano presi di mira collaborazionisti, nemici di classe ed in genere tutti i possibili avversari delle rivendicazioni politiche e territoriali del regime.

In quegli anni, in Italia, delle foibe non si sapeva che poco o nulla. Quanto fatto dalle truppe di Tito, continuava ad essere al centro del dibattito politico e storiografico solo a Trieste. Poi, però, le cose pian piano cambiarono e la vicenda cominciò a diventare una questione nazionale. E' proprio questo il motivo che ha spinto il professor Pirjevec a tornare sull'argomento addirittura con un intero libro: "Foibe. Una storia d'Italia", pubblicato da Einaudi.

L'intento di Pirjevec era evidentemente quello di capire perché tra i 55 milioni di morti provocati dalla Seconda guerra mondiale, quelli delle foibe hanno assunto un'importanza così rilevante.

La sua interpretazione è chiarissima ed è enunciata nella prefazione del volume: "Il contemporaneo crollo del muro di Berlino e i suoi contraccolpi sulla politica interna italiana, con la scomparsa dei vecchi partiti e l'emergere di nuovi, provocò nella Penisola una crisi d'identità e di coesione nazionale, alla quale le forze di destra e quelle di sinistra pensarono di rispondere facendo ricorso allo strumento più ovvio e tradizionale: quello del nazionalismo. La vicenda delle "foibe" si prestava perfettamente allo scopo ed è stata sfruttata appieno. Da problema tipico delle aree piuttosto limitate situate sulla frontiera orientale, essa diviene a partire dagli anni Novanta una questione nazionale grazie a un'azione propagandistica d'indubbia abilità ed efficacia".

Proprio a questa operazione Pirjevec tenta di rispondere con il suo libro. La sintesi del volume sta tutta in una foto. L'immagine sembra essere quella classica di una riesumazione da una foiba. Una donna vestita di nero piange davanti a dei poveri resti sistemati in una bara. La didascalia però recita: "Riesumazioni di resti di sloveni uccisi dai nazi-fascisti vicino alla località di Ajdovščina (Aidussina).

Pirjevec ci offre un'analisi di lungo periodo che mette in luce le contrapposizioni tra quelli che all'epoca venivano definiti genericamente "slavi" e gli italiani. L'autore non fa sconti al nazionalismo italiano che viene presentato come intriso di razzismo. Non manca così di corredare il suo ragionamento con una serie di perle tratte dai documenti dell'epoca: "Di fronte ad una razza inferiore e barbara come quella slava - diceva Mussolini in un suo celebre discorso del 1920 a Pola - non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del Bastone".

All'immagine bucolica che spesso si dà dell'Istria dell'epoca, Pirjevec ne contrappone un'altra: quella della penultima regione d'Italia per ricchezza, afflitta da mali antichi e recenti. In sintesi - ci dice l'autore - un "barile di polvere pronto ad esplodere". La miccia fu innescata dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943. In un ambiente dove l'analfabetismo era altissimo venne messa in atto una resa dei conti con il potere costituito che portò ad una serie di vendette, anche di carattere privato, "che colpirono sicuramente anche degli innocenti, e che assunsero talvolta aspetti orribili conducendo alla sepoltura sbrigativa dei corpi nella cavità carsiche dette 'foibe'".

Quando i nazisti presero il controllo della situazione in Istria capirono "immediatamente il valore propagandistico delle 'foibe'" per sconvolgere l'opinione pubblica e denigrare il movimento partigiano in una contrapposizione tra "barbarie slava e civiltà latina", in cui venivano esaltate le vittime delle "bande slavo-comuniste".

Alla fine della guerra le truppe jugoslave avevano raggiunto Trieste e controllavano una buona fetta di quella che era stata la Venezia Giulia. Nei primi giorni di occupazione di Trieste, Pola e Gorizia ci fu un'ondata di arresti, uccisioni e deportazioni, che a differenza di quanto era accaduto nel 1943 fu un fenomeno organizzato e pianificato. Non una purga etnica- scrive Pirjevec - ma ideologica e politica che travolse, in tutta la federazione, anche 100.000 -150.000 collaborazionisti jugoslavi.

Pirjevec colloca le foibe nel contesto di generale resa dei conti di quel periodo. Ben più che la vicenda in sé, però, il suo lavoro analizza l'uso politico della questione delle foibe, con particolare riguardo a quella di Bazovizza. Questa parte del libro, così, si colloca nel dibattito tutto triestino sull'argomento. Non mancano numeri, relazioni contrastanti, divergenze tra i rilevamenti degli esperti e l'uso propagandistico delle cifre.

Le foibe, per Pirjevec, hanno una valenza nazionale italiana dal 1943 al 1948, cioè sino al momento della rottura tra la Jugoslavia e l'Unione sovietica. Da quel momento in poi la questione viene messa nel dimenticatoio sino agli anni Novanta, quando ritorna progressivamente alla ribalta in Italia.

Il volume, che raccoglie anche saggi di altri 4 ricercatori italiani, sloveni e croati, si chiude con un contributo di Guido Franzinetti, dell'università del Piemonte orientale. Nel suo breve intervento, Franzinetti, traccia il processo di "olocaustizzazione" delle foibe, cioè - per dirla con le sue parole - "la progressiva osmosi tra la commemorazione delle vittime dello sterminio antisemita e quella delle vittime delle foibe". Per Franzinetti, però, tutta la vicenda va collocata in un processo di legittimazione reciproca tra i due estremi dell'arco politico italiano, cioè tra l'MSI ed il PCI. Ciò avrebbe portato ad una rivisitazione storico-politica della questione che avrebbe approdato alla sua "esplicita politicizzazione" con l'istituzione di un'apposita Giornata del Ricordo e con il discorso del presidente italiano Giorgio Napolitano del 10 febbraio 2007, che aveva fatto andare su tutte le furie il presidente croato Stjepan Mesić.

Il libro pubblicato da Pirjevec certamente offre una chiave interpretativa nuova per il panorama storiografico italiano. Lo fa confrontandosi con una miriade di documenti trovati negli archivi sloveni, italiani, inglesi ed americani. Contrariamente a molti suoi collegi che si sono occupati della questione, infatti, Pirjevec non ha problemi a leggere direttamente in originale le fonti.

Con questo libro, però, fa in maniera assolutamente consapevole anche un'altra operazione. Legittima il lavoro di alcuni studiosi locali che non erano mai stati presi seriamente in considerazione dalle sfere accademiche. L'autore, ad esempio, attinge a piene mani dai lavori di Claudia Cernigoi, che definisce "una passionaria triestina (non priva d'ironia) decisa a smontare il castello di falsità costruito sulle foibe". Ora bisognerà confrontarsi, almeno indirettamente, anche con lei e con i lavori di altri ricercatori, che non avevano ottenuto credito.

Del resto è da tempo che nelle piccole logiche del confine orientale Pirjevec viene guardato con un certo fastidio. Orgoglioso esponete della minoranza slovena di Trieste è figlio di un commerciante benestante ed appartiene a pieno titolo alla "borghesia" cittadina. Insomma non c'è niente di più distante dagli stereotipi esistenti sugli "slavi". Pirjevec ha modi gentili, parla un italiano forbito, ma non lezioso, scrive più come un romanziere che come uno storico e come se non bastasse non pubblica le sue teorie sulle foibe con una piccola casa editrice locale, ma addirittura con l'Einaudi.