Foto di Fabrizio Giraldi

Era la più grave violazione dei diritti dell'uomo della sua storia recente. Ora finalmente sanata. La Slovenia ha restituito ai cosiddetti ''cancellati'' i loro diritti. In 13.000 potranno ora riottenere la residenza

12/03/2010 -  Stefano Lusa Capodistria

La Slovenia ha posto rimedio alla più grande violazione dei diritti dell’uomo nella sua storia recente. Il parlamento, infatti, ha varato una norma che consentirà a quei cancellati, che non avevano potuto farlo sin ora, di riottenere la residenza. Dei complessivi 25.761 sono ancora oltre 13.000 coloro che non hanno regolato il loro status. Nessuno sa quanti di essi vivano ancora in Slovenia e quanti sono coloro che, dopo anni passati all’estero, possano essere interessati a riottenere la residenza.

Il ministro degli Interni Katarina Kresal, nel presentare il provvedimento, aveva invitato i deputati ad approvarlo “se non già per un vincolo etico nei confronti delle persone a cui lo stato 18 anni fa ha fatto un torto, per rispetto della costituzione”. Da anni la polemica sui cancellati è altissima e anche questa volta il centrodestra non ha lesinato strali nei confronti del ministro e del provvedimento. Molto si è puntato sui risarcimenti che adesso i cancellati potrebbero richiedere alle vuote casse dello stato. La Kresal non si è scomposta più di tanto e come al solito ha continuato a ribadire l’importanza del rispetto della costituzione, delle leggi e dei principi dello stato di diritto.

Ora ci saranno tre anni di tempo per presentare formale richiesta. Quello che, però, appare più importante è che, in qualche modo, si chiede scusa per quanto accaduto. C’è voluta una generazione di politici nuovi. Troppo giovani per essere sulla scena politica all’epoca dei fatti e per avere scheletri negli armadi.

La cancellazione risale all’epoca della proclamazione dell’indipendenza. Lubiana, si era impegnata a concedere la cittadinanza a tutti i residenti che si erano trasferiti nella repubblica dalle altre parti della federazione. Gli immigrati erano circa 200.000. In oltre 170.000 ottennero la cittadinanza.

All’epoca qualcuno decise di andarsene, altri non riuscirono a raccogliere la documentazione necessaria o si videro respinta la domanda, altri ancora non presentarono richiesta di cittadinanza, pur avendo intenzione di continuare a vivere in Slovenia. Per loro cominciò una vera e propria via crucis. Le autorità pensarono bene di depennarli dall’elenco dei residenti. L’operazione comportò per loro la perdita di tutti i benefit di cui godevano. Persero il diritto al lavoro, all’assistenza sanitaria, all’acquisto a prezzo agevolato della casa ed altro ancora. In sintesi persero il diritto di continuare a vivere nella repubblica e si trovarono d’un tratto ad essere clandestini nel paese dove avevano vissuto per decenni o erano addirittura nati.

La cancellazione avvenne in maniera arbitraria e del tutto illegalmente. In ogni modo quell’operazione, fatta in gran segreto, poté contare su un consenso sociale altissimo. L’opinione pubblica d’altronde pensava che, in fondo, quelli erano potenziali nemici, oppositori dell’indipendenza slovena. In ogni modo avevano avuto la possibilità di regolare la loro posizione e non avevano voluto farlo. La cosa ovviamente non era vera, anche perché nessuno aveva spiegato loro che se non avessero ottenuto la cittadinanza avrebbero perso anche i diritti legati alla residenza.

Il problema dei cancellati cominciò ad emergere negli anni successivi. Le loro tristi storie iniziarono ad essere raccontate dai giornali e già 15 anni fa il neo nominato tutore dei diritti civili puntò il dito sulla questione sin dal suo primo rapporto. Era facile rendersi conto che ci si trovava di fronte ad una palese violazione dei diritti dell’uomo, orchestrata consapevolmente o meno all’epoca del primo governo sloveno democraticamente eletto, formato da una coalizione di centrodestra. Quando, poco dopo, il centrosinistra prese in mano per più di un decennio le redini del paese non si preoccupò di porre rimedio alla questione.

Il problema finì di fronte ai giudici della Corte costituzionale. Il primo ricorso venne presentato nel 1994. Per arrivare ad una sentenza si dovette attendere ben 5 anni. L’Alta corte stabilì l’illegalità della cancellazione e diede 6 mesi di tempo al legislatore per correre ai ripari. Da quel momento i politici, loro malgrado, cercarono una soluzione. Venne approvata una prima legge che consentiva ai cancellati ancora in Slovenia di regolare la loro residenza, successivamente vennero approvate delle modifiche alla legge sulla cittadinanza che apriva loro le porte all’ottenimento del passaporto sloveno.

La questione era diventata materia di scontro politico. Intanto i cancellati avevano costituito una loro associazione. A battersi per i loro diritti oramai erano scesi in campo Amnesty International, l’Istituto per la pace e le altre organizzazioni impegnate sul fronte della tutela dei diritti dell'uomo. Al loro fianco c’era anche un ex giudice della Corte costituzionale, Matevž Krivic, che divenne il loro portavoce.

La battaglia continuò con nuovi ricorsi alla Corte costituzionale. I giudici stabilirono che la residenza doveva essere riconosciuta retroattivamente, sin dal momento della cancellazione. Il governo allora preparò un’apposita legge e l’opposizione indisse un referendum. Nel 2004 il 94% degli elettori disse no alla normativa, ma la partecipazione al voto fu solo del 31%. Si proseguì con manifestazioni, scioperi della fame e ricorsi al Tribunale europeo per i diritti dell’uomo.

La Slovenia, che era uscita dallo sfaldamento della Federazione jugoslava con l’immagine di un paese ordinato, si trovava a dover rispondere di una palese violazione dei diritti umani, ormai sotto gli occhi della comunità internazionale.

L’impegno a risolvere definitivamente la questione è comunque venuto dal nuovo governo. La soluzione della questione dei cancellati è stata persino inserita nell’accordo di coalizione. Molti però dubitavano che si avesse realmente intenzione di fare sul serio.

Il ministro degli Interni Katarina Kresal ha stupito tutti e non ha mancato di precisare che era intenzionata a chiudere la vicenda anche a rischio della sua popolarità. Il ministero, così, con gran sgomento dell’opposizione, prima ha fornito il dato esatto dei cancellati, poi ha portato a conclusione il procedimento di riconoscimento della loro residenza con effetto retroattivo per coloro che avevano già regolato il loro status ed infine ha fatto approvare la legge che risolverà definitivamente il problema anche per gli altri.