Emessa la sentenza della Corte arbitrale dell'Aia che però non sembra chiudere il duro contenzioso tra Croazia e Slovenia in merito al Golfo di Pirano
Acque slovene, acque croate. Incastonato tra i due paesi dell’Alto Adriatico, il piccolo golfo di Pirano - che ormai conta più anni di discordia che chilometri quadrati di superficie - è tornato alla ribalta questa settimana, dopo che la Corte arbitrale dell’Aia ha deciso di attribuirne i tre quarti alla Slovenia, chiudendo un processo iniziato nel 2009. Delle reazioni scomposte, degli avvertimenti pronunciati in veste ufficiale e persino i primi incidenti nella baia hanno immediatamente fatto seguito, lasciando intendere che la sentenza, che doveva chiudere una controversia vecchia di un quarto di secolo, finirà soltanto con lo scrivere un nuovo capitolo nella lunga storia diplomatica del golfo.
La decisione
Che la decisione dei giudici non avrebbe messo fine alla contesa, lo si sapeva in realtà già prima del verdetto, letto lo scorso 29 giugno davanti ai soli rappresentanti della Slovenia. La Croazia, che ha abbandonato la procedura internazionale due anni fa, aveva infatti scelto di non inviare nessun funzionario presso la Corte permanente di arbitrato (Cpa), adducendo che il parere del tribunale è ormai privo di ogni legittimità. Ma nonostante lo “scandalo intercettazioni”, che nell’estate del 2015 aveva rivelato una fuga di notizie indebita tra il giudice sloveno Jernej Sekolec e l’inviata di Lubiana Simona Drenik e malgrado il conseguente abbandono da parte della Croazia, i lavori del tribunale sono andati avanti, arrivando infine ad una conclusione. Il Cpa ha dato sostanzialmente ragione alla Slovenia su due punti in particolare: la sovranità su quasi la totalità del golfo conteso (Lubiana ottiene oltre i 3/4 della superficie della baia) e la concessione agli sloveni di un corridoio di accesso alle acque internazionali.
Nel dettaglio, il presidente del tribunale Gilbert Guillaume, che ha letto il verdetto, ha definito il nuovo confine terrestre come attraversante il corso del fiume Dragogna (nel nord dell’Istria) e lungo il canale di Sant’Odorico (Sv. Odorik), costruito dagli austriaci nel 1905. In acqua, è stata invece tracciata una linea di separazione che non divide il golfo a metà ma che, al contrario, segue a poca distanza la costa croata (meridionale), raggiungendo un punto individuato sull’asse tra Capo Madonna (Rt Madona, in Slovenia) e Punta Salvore (Rtič Savudrija, in Croazia). Questa divisione, che assegna, come detto, la quasi totalità della baia (appena 17,8 km2) alla Slovenia, sarebbe stata tuttavia una decisione incompleta per Lubiana senza l’agognato corridoio di accesso al mare aperto. Con la striscia di mare che le è invece assegnata e che misura 2,5 miglia nautiche di larghezza e 10 miglia di lunghezza, la Slovenia non dovrà più passare per le acque di competenza croate per raggiungere quelle internazionali. Zagabria, invece, perderà così il suo contatto diretto con le acque italiane, dato che nel resto dell’Adriatico, le acque internazionali separano sempre quelle di competenza dei due stati.
Reazioni opposte
All’annuncio del verdetto da parte della Corte arbitrale, le reazioni di Croazia e Slovenia sono state diametralmente opposte. Il Primo ministro sloveno Miro Cerar ha subito organizzato una conferenza stampa congiunta assieme a tutti i suoi ministri (ad indicare proprio la portata storica della decisione dell’Aia) e ha ricordato a Zagabria che “non potrà limitare l’ingresso delle navi slovene alle acque internazionali”. Cerar si è poi detto “pronto al dialogo” con la controparte croata, al fine di arrivare “ad un’implementazione congiunta del verdetto” entro i prossimi sei mesi. Uno scenario decisamente scartato però dai vicini meridionali, con il premier croato Andrej Plenković che ha sostenuto che “l’arbitrato della corte dell'Aia non vincola in nessun modo la Croazia e non intendiamo attuarne la sentenza”. Per il suo esecutivo (così come per il precedente, guidato da Zoran Milanović e durante il quale si è consumato lo “strappo” all’Aia), il processo arbitrale è “del tutto compromesso e contaminato” dalla fuga di notizie avvenuta nel 2015 tra Sekolec e Drenik. Per questo, il problema di Pirano resta per la Croazia “una questione bilaterale aperta” e la Slovenia dovrebbe perciò evitare “passi unilaterali”.
Incidenti
Due posizioni così distanti non potevano non provocare delle conseguenze concrete nei giorni successivi alla sentenza. Lo scorso fine settimana, un paio di incidenti sono stati riportati da entrambi i ministeri degli Interni. Lubiana ha parlato di una barca croata che avrebbe violato le acque territoriali della Slovenia per motivi di pesca e a cui è stato intimato di fare marcia indietro. Zagabria ha invece denunciato lo sconfinamento di una nave della polizia slovena che avrebbe “violato la linea mediana del Golfo che costituisce il confine di stato”. Insomma, la situazione di fatto nelle acque della baia è sempre la stessa, da ormai 26 anni, con i pescherecci di entrambi i paesi che non sanno fino a che punto possono spingersi. Il paradosso, però, è che oggi entrambi gli stati fanno parte dell’Unione europea e dovrebbero utilizzare le risorse ittiche come una “risorsa comune” nello spirito e nelle regole della Politica comune della pesca (Pcp) e non rimandando indietro i rispettivi pescherecci per difendere un invisibile confine tra le acque di Pirano.
Proprio in questo senso, va dunque letta la dichiarazione della Commissione europea, che martedì ha invitato Slovenia e Croazia ad implementare la decisione della Corte permanente di arbitrato. “E’ stata emanata una decisione dalla corte internazionale, noi prendiamo nota e ci attendiamo che entrambe le parti la attuino”, ha affermato il vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans, al termine di una riunione in cui il Commissario croato, Neven Mimica, ha invano tentato di dissuadere l’esecutivo europeo dall’intromettersi nella faccenda di Pirano. “La Commissione europea farebbe bene ad occuparsi delle proprie questioni e non di processi arbitrali o di confini che non sono di sua competenza”, ha risposto da Zagabria il premier Andrej Plenković, a dimostrazione di quanta volontà ci sia, presso le autorità croate, di mettere in pratica il verdetto dell’Aia. Eppure, la decisione dei giudici internazionali non è così lontana da quanto nel 2001 avevano deciso i capi di stato Janez Drnovšek (Slovenia) e Ivica Račan (Croazia), in un accordo poi affossato dal parlamento di Zagabria. Concedere alla Slovenia un accesso al mare aperto e gestire il golfo di Pirano da buoni vicini. Prima o poi i due stati dovranno ben riuscirci.