Dal 15 settembre anche in Slovenia è in vigore il pass sanitario. Serve per fare benzina, per andare dal medico per visite non urgenti, senza non si lavora e non si entra quasi ovunque. I sindacati insorgono e chiedono esenzioni e deroghe
In Slovenia dal 15 settembre il Green pass serve anche per fare benzina o per andare dal medico per visite non urgenti. Per i non vaccinati o guariti da meno di sei mesi vale anche il tampone antigenico per 48 ore o quello molecolare per 72. Il governo ha dato un secco giro di vite per far fronte alla pandemia. Senza Green pass non si lavora e non si entra quasi ovunque, tranne che nei negozi con generi di prima necessità e nelle farmacie. I dipendenti che non rispondono al criterio vaccinato o guarito da non più di sei mesi devono testarsi una volta alla settimana. Se non vogliono farlo rischiano gravi sanzioni. Nei ministeri, nelle prefetture e per polizia, pompieri ed esercito, dal primo ottobre si potrà venire a lavorare solo se guariti di recente o vaccinati con almeno la prima dose, la seconda dose dovrà essere comunque inoculata entro il primo novembre. Intanto c’è chi vorrebbe estendere quello che in pratica è l’obbligo vaccinale anche al settore scuola, a quello della sanità e anche a tutto il resto del settore pubblico.
Le cose stanno andando male. Il paese è uno dei fanalini di coda dell’area Schengen in materia di vaccini, mentre è ai vertici in Europa per la diffusione del contagio. Con la prima dose è vaccinato il 52% della popolazione. Una percentuale repentinamente salita solo negli ultimi giorni, quando i cittadini hanno letteralmente preso d’assalto i centri vaccinali, dopo aver capito che senza il Green pass avrebbero avuto serie difficoltà a muoversi.
In teoria linea dura. In pratica solito pressapochismo in salsa slovena, con decreti raffazzonati, cambiati nel giro di poche ore, in cui non si capisce bene quali siano i limiti reali e chi deve controllare.
Alla fine, il Green pass è tecnicamente obbligatorio praticamente ovunque, ma poi ognuno interpreta la norma un po’ come vuole, mentre gli ispettori non sembrano avere l’intenzione di usare la mano pesante con i trasgressori. Il risultato è che attualmente non esiste nessuna certezza né sull’applicazione delle norme né sulle eventuali sanzioni. Esattamente come nella prima ondata della pandemia, resta così solo una pericolosa dose di arbitrarietà in cui non si capisce bene quello che si può o non si può fare.
Il paese continua ad essere ostaggio delle forze politiche, che nemmeno di fronte all’emergenza sanitaria hanno saputo far quadrato. Intanto i sindacati insorgono e chiedono esenzioni e deroghe. Quelli che rappresentano i lavoratori dei ministeri, della polizia e dell’esercito hanno già presentato o annunciato ricorsi alla Corte costituzionale.
La richiesta è che i giudici blocchino il provvedimento del governo che impone i vaccini ai dipendenti. La posizione dei sindacati è chiara: il vaccino deve essere volontario e nessuna imposizione è possibile. Va detto, del resto, che nel corso di questi mesi hanno persino fatto molta fatica ad invitare i propri membri a vaccinarsi. Del resto il paese sui vaccini è diviso e questo lo si vede in tutti i gangli della società: nelle associazioni di categoria, nelle scuole, nei giornali e sui posti di lavoro.
Sta di fatto che il destino dei provvedimenti governativi è ancora una volta nelle mani dei giudici. L’Alta corte è già venuta in soccorso, alcuni mesi fa, ai detrattori delle restrizioni cancellando tutta una serie di decreti ed imponendo la riscrittura della Legge sulle malattie infettive.
La tesi che gira da tempo è quella che il governo non possa agire a suon di decreti, ma che invece debba imporre le restrizioni passando per una normale procedura in parlamento. I decreti approvati, non sarebbero altro che misure illegali ed anticostituzionali, che i cittadini non avrebbero nessun obbligo di rispettare. Molti cittadini ci credono. Accade così che i gestori dei negozi si trovino di fronte muscolosi giovanotti che alla richiesta di mettersi la mascherina invochino la costituzione e minaccino querele, mentre altri fanno benzina senza il Green pass e poi minacciano di andarsene senza pagare. Alla fine, la scelta è spesso quella di lasciar perdere o semplicemente di evitare di chiedere.
Per l’ennesima volta il paese è alle prese con una questione che molti dicono essere più di forma che di sostanza. Il governo ha deciso però di non accontentare chi voleva leggi e non decreti. Il tempo per farlo c’era, ma si è voluto evitare la tortuosa via del parlamento, dove l’esecutivo non ha la maggioranza, e dove deve sperare nell’appoggio di una serie di fiancheggiatori. Ogni volta si tratta di trovare il sì dei deputati di una serie di partiti che formalmente sono all’opposizione e che non sono immuni da bizze e richieste di vario tipo.
Va detto che nel periodo balneare l’esecutivo però non si è mosso o quasi. Intanto i contagi crescevano in maniera galoppante, mentre il numero dei vaccinati calava di settimana in settimana, e gli appelli e le raccomandazioni non suscitavano nessun effetto.
In un misto di inefficienza e polemiche, tra gli sloveni non sono mancate di circolare e prendere piede le solite teorie complottiste propagandate dai no vax. A crederci soprattutto quelli che vanno dai venticinque ai quarant’anni, che risultano essere i meno vaccinati e i più restii a credere alla scienza. In sintesi, si tratta di una generazione educata al tempo dell’indipendenza, che adesso sembra convinta che la propria libertà valga più del diritto alla salute di tutto il paese.
Intanto per il secondo mercoledì consecutivo migliaia di persone sono scese in piazza a Lubiana per protestare contro il Green pass. A capeggiare la rivolta Zoran Stevanović, un consigliere comunale di Kranj, uscito dal partito nazionale ed ora deciso a giocare un ruolo anche nella politica nazionale con il suo movimento "Resni.ca".
La prima volta la manifestazione si è conclusa con una serie di violenti scontri con le forze dell’ordine. Bottiglie e sanpietrini sono volati all’indirizzo del parlamento, mentre sono stati dati alle fiamme alcuni cassonetti. Le forze dell’ordine hanno risposto con idranti e spray al peperoncino. Il bilancio è stato di 7 poliziotti e due manifestanti feriti. A finire al pronto soccorso anche Tone Stojko, il leggendario fotoreporter sloveno che da cinquant’anni fotografa tutte le manifestazioni di piazza. Un poliziotto gli ha scaricato in faccia lo spray al peperoncino. Secondo il fotografo lo avrebbe fatto apposta. Per la polizia in quei momenti, invece, non è possibile distinguere chi ci si trova di fronte. Stevanović, comunque, ha detto di non avere nulla a che fare con gli scontri ed ha parlato di infiltrati, mandati per screditare la protesta. Sta di fatto che ad un certo punto della manifestazione sono comparsi una serie di uomini incappucciati che hanno iniziato a lanciare sassi ed a scandire i tipici slogan degli ultras. Ieri sera invece tutto è filato via liscio.