Bandiere palestinesi - © Volodymyr TVERDOKHLIB/Shutterstock

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La Slovenia, che ha ereditato dalla Jugoslavia una particolare sensibilità verso il Medio Oriente, ha annunciato l'intenzione di riconoscere la Palestina. L'annuncio, però, fa i conti con un dibattito interno acceso ed una lunga storia di promesse non mantenute

15/05/2024 -  Stefano Lusa Capodistria

La scorsa settimana il premier Robert Golob ha annunciato che il governo ha avviato le procedure per riconoscere la Palestina. I ministri ci penseranno comunque ancora, visto che la proposta verrà inviata in parlamento solo il 13 giugno prossimo.

Lubiana si attende che siano fatti dei passi avanti in materia di rilascio degli ostaggi ed anche nella riforma dell’amministrazione palestinese. La ministra degli Esteri Tanja Fajon ha precisato che la Slovenia riconoscerà il paese entro i confini del 1967, che comprendevano Gaza, la Cisgiordania e Gerusalemme est.

Palestina, un’eredità jugoslava

La Slovenia ha ereditato dalla Jugoslavia una particolare attenzione alla causa palestinese. I sondaggi dicono che il 57,4% della popolazione è a favore del riconoscimento. Nel paese non sono mancate nette condanne per gli attentati messi in atto lo scorso ottobre da Hamas, ma ancora maggiore sgomento c’è stato per quando è accaduto e sta accadendo a Gaza.

Critiche sono arrivate dalla società civile, gli studenti hanno recentemente occupato l’università di Lubiana in segno di solidarietà con i palestinesi ed infuocati commenti sono apparsi sui giornali. In occidente alcuni di questi sarebbero stati tranquillamente bollati come antisemiti.

Lo State Department, in un rapporto del gennaio del 2005 sull’antisemitismo nel mondo, constatava che al pari di altri stati nella società slovena sussistono pregiudizi nei confronti degli ebrei.

Significativamente, però, in Slovenia Israele ha anche i suoi sostenitori. Lo si è visto all’ultimo Eurosong, il festival della geopolitica camuffato da rassegna canora, dove la canzone israeliana è stata la seconda più votata.

Come al solito la questione del riconoscimento palestinese è destinata a diventare materia di scontro tra destra e sinistra. Se però i democristiani di Nuova Slovenia e i Democratici di Janez Janša hanno una posizione nettamente contraria, nel centrosinistra tradizionalmente si è a favore del riconoscimento quando si è all’opposizione, mentre si tende a cincischiare quando si è al governo.

Ora Movimento Libertà, Socialdemocratici e Sinistra sottolineano di essere compatti e decisi a procedere, ma intanto si percepisce chiaramente che si sta giocando una partita che riguarda da una parte il prestigio e dall’altra i calcoli elettorali in vista delle europee.

Un lungo e complicato processo

Ma andiamo con ordine. Già nel 2011, l’allora ministro degli Esteri Samuel Žbogar, dichiarò che era giunto il momento di fare i primi passi per il riconoscimento della Palestina. A suo dire si trattava di trovare all'interno dell'Unione Europea una linea comune per far fronte al conflitto israelo-palestinese.

Della questione - a livello istituzionale - in Slovenia si iniziò a parlare nel novembre del 2014, all’indomani del riconoscimento svedese della Palestina e dopo che i parlamenti di Gran Bretagna, Irlanda, Belgio e Spagna si erano pronunciati a favore del riconoscimento.

All’epoca il Comitato esteri della Camera aveva incaricato il governo di centrosinistra, guidato da Miro Cerar, di avviare la procedura per il riconoscimento. Nel giugno del 2015 il governo addirittura approvò per la prima volta il riconoscimento del paese, ma con uno stratagemma burocratico sospese la trattazione della questione in attesa di trovare una intesa a livello europeo.

La palla così passò al parlamento che stabilì, agli inizi del 2016 che la Palestina sarebbe stata riconosciuta entro la fine dell’anno. Naturalmente non se ne fece nulla. Solo nel dicembre del 2017, sotto l’onda delle polemiche dovute alla decisione statunitense riconoscere Gerusalemme come capitale d’Israele e di spostare lì la loro ambasciata, il governo stabilì di riprendere in mano la questione.

Nel gennaio del 2018 Lubiana si disse pronta a procedere anche da sola, ma a farsi sentire fu subito il capo dello stato Borut Pahor che raccomandò prudenza. Alla fine, non se ne fece ancora una volta nulla. Del resto, il governo di centrosinistra stava vivendo la sua ennesima crisi ed il paese si preparava ad andare ad elezioni.

Con la nuova maggioranza di centrosinistra, guidata da Marjan Šarec non mancarono nuove promesse ai palestinesi. L'intento era di arrivare al riconoscimento insieme ad un altro gruppo di paesi dell'Unione europea. Alla fine, l’esecutivo andò in crisi e le redini passarono nelle mani del centrodestra di Janez Janša, vicino ad Israele e fedele alleato degli Stati Uniti.

Palestina e mobili Ikea

Ultima in ordine di tempo a muoversi la ministra degli Esteri socialdemocratica Tanja Fajon. L’intento era di arrivare ad un riconoscimento congiunto insieme a Spagna, Irlanda e Malta. Una delle date possibili sembrava essere quella del 21 maggio.

Adesso Golob ha dato chiaramente ad intendere, che a meno di sconvolgimenti dell’ultima ora, se ne riparlerà dopo il voto. A quel punto bisognerà vedere cosa farà Lubiana e se non si rimangerà la parola come ha già abbondantemente fatto in passato.

Adesso comunque la palla è nelle mani di Robert Golob e dei suoi alleati. La Slovenia, intanto, forte del suo seggio non permanente nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, sogna di giocare un ruolo anche senza portaerei ed armi nucleari alle sue spalle.

La ministra degli Esteri Tanja Fajon è impegnata in una serie di incontri in Medio Oriente e ultimamente si è addirittura fatta fotografare nei pressi del valico di Rafah. In ogni modo la situazione nella regione resta complicata e per dirla con le parole dell’allora ministro degli Esteri israeliano, Avigdor Lieberman, al momento del riconoscimento svedese della Palestina: “I rapporti in Medio Oriente sono molto più complicati che montare un mobile dell’Ikea”.

In realtà però anche per la Slovenia riconoscere la Palestina è molto più complicato che montare un mobile dell’Ikea.