Si è trasferito in campagna, pratica la meditazione e con un linguaggio diretto si tiene lontano dal politically correct. E' la nuova vita del Presidente sloveno, impegnato su più fronti, a partire dal Darfur. Il governo di Jansa trema, l'opinione pubblica slovena lo appoggia
Si chiama »Movimento per la giustizia ed il progresso«, e a fondarlo - con una decisione alquanto inconsueta nella prassi istituzionale democratico parlamentare - è lo stesso presidente della Repubblica di Slovenia Janez Drnovšek. Un movimento per ora solo »digitale«, un forum basato sull'azione on-line "aperto a quanti vogliano contribuire con le proprie idee e proposte a migliorare la vita in Slovenia e nel mondo". Tanto più necessario, secondo il presidente, in quanto "la gente comune non crede più nei partiti e nella partitocrazia".
Una mossa marcatamente politica secondo gli osservatori, ma fuori dalla consuetudine del sistema; un pò come l'azione del subcomandante Marcos e il suo marketing di giustizia, ma senza armi. Drnovšek non ha peli sulla lingua; "lontano dai partiti e dalle lotte di potere!" esclama dal suo privilegiato pulpito presidenziale suscitando scalpore, imbarazzi ed eloquenti silenzi tra la leadership politica, sia a destra che a sinistra.
Una mossa che a Lubiana riempie le prime pagine dei giornali e che occupa le menti di psicologi e analisti politici, ma che è solo l'ultimo dei colpi di scena con cui un Drnovšek - diventato l' esatto contrario dell'uomo di potere pragmatico e calcolatore, fedelissimo di Davos, che fu per tanti anni - da alcuni mesi sta sorprendendo i politici, i media e l'opinione pubblica.
Che il presidente fosse profondamente cambiato da un anno a questa parte lo si era capito dal suo rinnovato stile di vita. Casa in campagna, cucina macrobiotica vegetariana e autosufficienza, contatto con la natura, meditazione (è affascinato dal Dalai Lama e dalle filosofie orientali) e un deciso interessamenmto per le questioni umanitarie, la filantropia, la solidarietà, il bene sociale ...
E soprattutto fine delle ipocrisie diplomatiche, bando ai convenevoli e alle moine della politica: dire sempre ciò che si pensa è giusto. E' questa la ricetta per sopravvivere anche alla malattia che - secondo le diagnosi mediche - lo sta incalzando sin dall'asportazione del rene intaccato da un cancro circa 5 anni fa. Drnovšek ne parla con incredibile disinvoltura e spirito d'animo. Ha abbandonato le cure mediche tradizionali un anno fa. Lo davano ormai in metastasi. Ebbene Drnovšek si è convinto che da soli, con l'umanismo attivo e una vita alternativa, ci si cura meglio e non ci si pensa.
Scettica e un pò offesa la classe medica, solidale l'opinione pubblica. E Drnovšek sorprende tutti, giorno dopo giorno. L' aveva fatto con la sue uscite a favore dell'indipendenza graduale del Kosovo irritando la Serbia, il governo e la diplomazia. Aveva contestato l'atteggiamento di ricatto di Rupel nei confronti della Croazia, appoggiando - come il suo collega croato Stipe Mesić - un arbitrato internazionale sul confine di mare. E commenta, irriverente, anche la prospettiva finanziaria europea: i fondi per l'agricoltura vanno ridotti perché ne usufruiscono soprattutto i latifondisti come la regina d'Inghilterra. Poi - a sorpresa - si schiera con i sindacati, offrendo loro il proprio pulpito solo due giorni prima della grande manifestazione contro le riforme neoliberali auspicate dal governo Janša. E poi il Darfur, la nuova grande sfida di Drnovšek. Bisogna fermare la catastrofe umanitaria e la nuova guerra che sta minacciando la martoriata regione, quella tra il Ciad ed il Sudan. Se la comunità vuole, può farlo, sostiene convinto e senza mezzi termini il presidente. Ma non si ferma qui; unico tra gli statisti internazionali punta il dito sulle cause vere del genocidio; gli interessi petroliferi della Cina, l' accondiscendenza degli USA, attenti a dialogare con il governo di Kartum nel tentativo di isolare Al-Qaeda, l'inefficacia e l'apatia dell' Europa e dell'ONU.
Drnovšek invita a palazzo le organizzazioni umanitarie slovene e invoca un'azione concreta, una tendopoli e aiuti alimentari per diecimila profughi. Poi manda decine di lettere a politici, scrittori, attori, scienziati e annuncia una sua visita nel Darfur, in febbraio, senza consultare nessuno, tantomeno la propria diplomazia che si esprime contrariata e sconsiglia al presidente il rischioso viaggio africano, che - secondo il ministro Rupel - "costerebbe troppo". L'irritazione del governo monta insieme alla propria impotenza di fronte ad un appoggio deciso dell'opinione pubblica e anche di una parte dei media alle performace umanitarie del presidente.
In risposta Drnovšek vola a Parigi, poi a New York da Kofi Anan, ne parla con Clinton, interviene sul tema dalla CNN e per la disperazione del governo Janša, ormai ammutolito, appare - unico presidente europeo - in prima fila, quale ospite d'onore a fianco del socialista Aymara Evo Morales, mentre questi nella cerimonia di investitura, in qualità di nuovo presidente della Bolivia, giura a Tiwanaku fedeltà alle idee di Tupac Katari ed Ernesto Che Guevara. Drnovšek non si scompone, torna in patria, vola in Kosovo dove partecipa ai funerali dell'amico Ibrahim Rugova e poi continua a sorprendere.
Nel frattempo hanno risposto con promesse incoraggianti ai suoi appelli l'educato Annan, lo State Department e Hillary Clinton. A questo punto, con identico impegno, gli scrive anche Javier Solana che, per giunta, promette un vertice europeo sul tema Darfur al più presto. Drnovšek però non si accontenta e continua a proporre passi concreti e immediati. Fermiamo la guerra tra N'Djamena e Kartum! La Francia che ha nel Ciad delle unità militari, le metta subito a disposizione dell'ONU e della debole forza multinazionale africana ai confini con il Sudan, chiede Drnovšek a Chirac. Altrettanto faccia Gheddafi con i 3000 soldati già promessi. Sabato scorso inoltre è partito per il Darfur il noto africanista, scrittore e operatore umanitario sloveno Tomo Križnar, impegnato da anni per la causa del popolo Nuba e ora primo consigliere di Drnovšek per i temi africani. Križnar, rischiando grosso, ha la delega e la fiducia assoluta del presidente. Lo rappresenta in tutto e per tutto nei contatti che dovrà tessere nel Darfur anche con i leader dei movimenti armati in lotta contro Kartum. Bisogna dialogare con tutti, sostiene Drnovšek: con il governo ed i "signori della guerra" con la Cina e le altre superpotenze. Sul perché di un simile impegno proprio dalla Slovenia, il presidente non ha dubbi: un piccolo paese che non ha interessi geostrategici può fare di più e con più credibilità di qualsiasi superpotenza. Un approccio scandinavo insomma.
Intanto in Slovenia non pochi stanno aspettando, con il fiato sospeso, la prossima mossa di Janez Drnovšek.