La Slovenia, l'accoglienza di profughi e rifugiati e lo sport come occasione di inclusione e autoaffermazione
(Quest'articolo è realizzato in collaborazione con la rete FARE Europe )
E' un freddo giovedì al parco sportivo Svoboda, nel cuore di Vič, quartiere non lontano dal centro di Lubiana, da cui si vedono le colline che la circondano. Svoboda è un club sportivo, il cui nome si può tradurre in "libertà". E alla libertà si ispira Simon Vene, educatore dell'Associazione Filantropica Slovena (Slovenska Filantropija) che lavora nella Casa dell'Asilo (Azilni Dom), struttura lubianese che ospita richiedenti asilo di diverse età. Simon lavora prevalentemente con bambini e minori non accompagnati.
"Penso che i rifugiati siano benvenuti in Slovenia" esordisce Simon: "Durante le nostre attività incontriamo tante persone interessanti che provano ad aiutare i bambini a modo loro, a volte senza che nessuno gli chieda niente. Una volta eravamo in una piscina all'aperto, fuori Lubiana, e stavo insegnando a un ragazzo a nuotare: quando ero esausto, una persona anziana si è avvicinata per aiutarmi a insegnare al bambino a nuotare. Questi esempi mi fanno pensare che ci siano tante persone pronte ad accogliere i rifugiati. Per lo meno lo spero".
Attorno alla Casa dell'Asilo gravita una rete di associazioni e di volontari che si impegnano per offrire la migliore accoglienza possibile, contribuendo in vario modo: condividendo contatti, offrendo informazioni o dedicando del tempo. Com'è la vita dei richiedenti asilo a Lubiana? "Non conosco tantissime storie, ma dalla prospettiva della Casa dell'Asilo, credo che il problema maggiore sia la lunga attesa, senza sapere cosa succederà: aspettare sapendo che nei paesi di origine c'è la guerra, lì dove ci sono parenti e amici, è fonte di preoccupazioni. Non è facile essere profughi da nessuna parte, nemmeno a Lubiana".
Perché una volta arrivati in Europa e inoltrata la domanda di asilo, parte un iter burocratico che dura diversi mesi, che lascia in sospeso le vite di migliaia di persone. In questo contesto, come sono percepite Lubiana e la Slovenia? "Alcuni pensano di rimanere – racconta Simon - perché considerano la Slovenia come un buon paese per stabilirsi. Altri, forse la maggioranza, hanno altri obiettivi e vorrebbero andare in altri paesi Europei. Molti di loro non avevano mai sentito parlare della Slovenia prima di arrivare, e poi sono rimasti bloccati qui".
Che ruolo ha il calcio per i rifugiati e per chi lavora con loro? Simon: "I tornei di calcio che hanno luogo a Lubiana e in Slovenia creano un ambiente in cui i rifugiati possono incontrare gli sloveni e parlare di inclusione attraverso lo sport. Stiamo anche provando a inserire i nostri ragazzi nei club, anche se ancora non ci siamo riusciti: spero che ce la faremo presto. Forse con il supporto del Comitato Olimpico Sloveno e di altri enti pubblici potremo trovare un modo per tesserare i nostri bambini e i nostri ragazzi, in modo che possano allenarsi regolarmente e giocare partite ufficiali".
"Non so bene come siano le regole – prosegue Simon - ma quest'anno ai Giochi Olimpici c'è stata una squadra di rifugiati: immagino quindi che ci sarà una regola per gli sport olimpici in tutto il mondo, per cui anche in Slovenia. Simbolicamente è importante mostrare che i rifugiati hanno un loro spazio sulla terra, che anche se non sono nel loro paese e non possono essere parte delle delegazioni nazionali, possono comunque essere parte di un'altra squadra e fare sport, anche a livello altissimo".
Per cui sembrerebbe logico offrire ai rifugiati la possibilità di allenarsi e di fare sport. Pare che per i richiedenti asilo minorenni che vivono con i genitori si possa aprire uno spiraglio che potrebbe consentire il tesseramento. E in questo spiraglio si stanno provando a inserire alcuni ragazzi che stanno facendo dei provini con vari club. "Da circa un mese – riprende Simon - due ragazzi di dieci anni fanno parte della squadra giovanile dell'Olimpia Lubiana. Si allenano e credo stiano facendo bene: hanno già disputato la prima amichevole, domenica ci sarà una seconda partita. Stiamo anche lavorando con lo Svoboda: abbiamo cinque ragazzi che stanno provando a inserirsi. Gli allenatori li stanno osservando, di seguito cercheremo di capire se potranno fare parte di una delle loro squadre. Oppure proveremo a trovare un altro club dove farli giocare. I club sono organizzati e hanno una struttura: ho visto che tanti allenatori sono bravi a lavorare con i ragazzi, sono professionali, non sono solo allenatori di calcio ma anche ottimi youth workers".
"I ragazzi parlano sloveno – prosegue Simon - possono comunicare, anche se hanno poca autostima: non sanno se son bravi abbastanza, anche se noi comunichiamo senza problemi. Vanno a scuola a Lubiana, hanno degli amici, non tanti, ma li stanno cercando". Un po' come capita ai ragazzi sloveni che si trasferiscono a Lubiana: si iscrivono a scuola, cercano una squadra di calcio, lentamente trovano degli amici e dei punti di riferimento. "Troppo spesso sento parlare di differenze culturali, ma da parte mia credo che abbia più senso parlare di affinità culturali", conclude Simon.