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Lubiana continua a trattare la drammatica questione dei rifugiati come un problema di ordine pubblico e il clima è di stato d’assedio. La maggior parte dei media non fa che alimentare le paure degli sloveni

26/02/2016 -  Stefano Lusa Capodistria

Non c’è posto per sei ragazzini migranti nel convitto di Kranj. In Slovenia i minori senza famiglia che chiedono asilo avrebbero bisogno di una sistemazione migliore rispetto a quella dei centri per stranieri, ma i genitori degli altri bambini non li vogliono e non li vogliono nemmeno 24 insegnanti del locale liceo.

Il clima è oramai di aperta ostilità nei confronti dei profughi. A Senčur, un paesino dell’Alta Carniola, sempre nei pressi di Kranj, sabato scorso migliaia di persone hanno manifestato contro l’idea di trasformare un centro commerciale in disuso in un luogo d’accoglienza per i rifugiati. Trattori, bandiere slovene, vessilli dei nazionalisti radicali e persino un manifesto delle forze collaborazioniste che durante la Seconda guerra mondiale invitava il popolo sloveno a combattere contro il comunismo con lo slogan: “Anche tu sei responsabile delle sorti del popolo sloveno”.

Da giorni vanno in scena manifestazioni davanti ai luoghi che potrebbero ospitare i  profughi. La gente dice di avere paura. Nel comune sentire i migranti sarebbero un serio pericolo per le famiglie, le donne ed i bambini ed anche per il tradizionale modello di vita delle comunità dove dovrebbero arrivare.

La Slovenia non è certo “invasa” da masse oceaniche di profughi. Per ora i richiedenti asilo sono solo alcune centinaia e probabilmente molti di loro sperano di andarsene al più presto. Del resto non si può certamente dire che il paese li abbia accolti a braccia aperte. Nelle ultime settimane non sono mancate feroci polemiche nei confronti di un'addetta dell’Unhcr colpevole di aver invitato un gruppo di profughi, rispediti indietro dall’Austria, a chiedere asilo in Slovenia. Sulla questione è addirittura intervenuto il sindacato di polizia con un duro comunicato. Conclusione: i funzionari dell’agenzia dell’ONU per i rifugiati ed i loro traduttori adesso non partecipano più alle procedure di registrazione e di respingimento dei migranti.

Ordine pubblico

È da settembre che il governo sta gestendo la questione solo come un problema di ordine pubblico. La classe politica, praticamente in toto, non ha dimostrato alcuna empatia per il dramma dei rifugiati, ma anzi ha fatto a gara per porre l’accento sui pericoli che la Slovenia potrebbe correre se i rifugiati dovessero rimanere imbottigliati qui. Non si è mancato di sottolineare a più riprese che solo una parte dei migranti è composta da profughi, mentre gli altri starebbero solo andando in cerca di migliori condizioni di vita. I dati ufficiali, comunque, sembrano contraddire questa tesi, visto che dalla Slovenia in prevalenza sono passati siriani, iracheni e afghani. Oltre la metà di loro era composta da donne e bambini.

Il premier Cerar ha promosso a livello europeo l’idea di frenare l’accesso dei migranti ai confini macedoni, con una capillare opera di filtro. Proprio in questi giorni la sua iniziativa sembra avere successo. La curiosa ricetta è quella di difendere il confine di Schengen bloccando i migranti in Grecia, cioè in un paese dell’area Schengen. Sul posto, a difendere il confine macedone, ci sono già alcuni poliziotti sloveni ed altri loro colleghi provenienti dall’Europa dell’est.

L’obiettivo primario, ovviamente è quello di spostare il problema molto più a sud e di tenere i migranti il più lontano possibile. La Slovenia ha l’ossessione di trovarsi i profughi tra i piedi, tanto che sin dall’inizio della crisi aveva precisato che avrebbe agito esattamente come avrebbero fatto la Germania e l’Austria: pertanto sarebbero passati soltanto quelli che avrebbero potuto proseguire il loro cammino.

Stato d’assedio

In assenza di una soluzione europea, intanto, ognuno sembra fare per conto proprio, anche se una fitta rete di colloqui è intercorsa in questi mesi con gli altri paesi centro-europei, tutti fermamente convinti di doversi difendere dall’afflusso di masse di migranti islamici.

Negli ultimi giorni l’esecutivo, per far fronte alle restrizioni austriache, ha usato per la prima volta una nuova norma di legge, approvata in fretta e furia, che consente all’esercito di avere competenze praticamente equiparabili alla polizia per il controllo del confine. Il clima è quello dello stato d’assedio.

In questi mesi le televisioni, le radio e una parte dei giornali, non hanno mancato di alimentare le paure degli sloveni. Le prime immagini viste sono state quelle del ponte di Rigonce con i profughi da una parte ed i reparti speciali in tenuta antisommossa dall’altra: i barbari alle porte. Poi non sono mancate miriadi di servizi sui cumuli di rifiuti lasciati dietro di sé dai migranti, continui richiami sulla necessità di usare la mascherina protettiva nei contatti con loro, persino avvisi sui pericoli di far vagare gli animali domestici nelle zone dove avevano stazionato gli esuli e tantissime scene di migranti tenuti a bada all’interno di aree transennate con ingenti forze di polizia e soldati armati di tutto punto intenti a sorvegliarli.

Ora gli sloveni rischiano di dover incontrare per la prima volta i profughi nelle loro strade. I rifugiati nei centri per i richiedenti asilo godrebbero infatti di una certa libertà di movimento. Le autorità promettono maggiori controlli e sicurezza, ma la gente farebbe volentieri a meno di averli tra i piedi.

Sul fuoco intanto non mancano di soffiare le frange più nazionaliste e xenofobe del paese, che oggi sembrano poter raccogliere sempre maggiori consensi. Poche le voci dissenzienti, provenienti ancora una volta da quell’ala liberal del paese, che oramai sta perdendo consistenza e che dopo la dissoluzione della Democrazia Liberale non ha più alcuna rappresentanza politica. Una sinistra urbana da salotto, che continua ad avere parecchio spazio sui giornali, ma ad onor del vero  poco rappresentativa e alquanto scollegata con la realtà del paese.

Forse proprio per questo hanno ancora maggior valore gli appelli all’accoglienza ed alla solidarietà lanciati dal sindaco di Lubiana, Zoran Janković e da Gregor Strmčnik, il primo cittadino di Ancarano, un piccolo comune della costa slovena, che potrebbe essere chiamato ad ospitare sul suo territorio alcune famiglie di rifugiati.