Non hanno molto spazio sui media mainstream. Tuttavia ogni giorno passano il confine tra Slovenia e Italia almeno un centinaio di persone in modo clandestino. Si tratta perlopiù di migranti in fuga dalle guerre del Medio Oriente
Anche quest’estate, immancabilmente, Lampedusa è stata al centro delle cronache. Sull’isola sono arrivate decine, forse centinaia di barconi fatiscenti strapieni di migranti. C’è stata anche la tragedia: il 3 ottobre più di 300 persone sono morte a causa di un naufragio. Una settimana dopo, un’altra imbarcazione si è rovesciata in mare. Almeno 50 le vittime.
Lampedusa è quella che, in rapporto alle sue dimensioni, riscontra una maggiore pressione migratoria. Ma non è l’unica porta d’accesso all’Italia e all’Europa. Né la principale, se si vanno a guardare i numeri. È la frontiera tra Italia e Slovenia, una frontiera terrestre, dunque, il tratto del nostro territorio più esposto alle rotte dell’immigrazione e, di conseguenza, alle dinamiche criminali e illegali che esse sottendono. Il viaggio dei migranti dal Medio oriente funestato dai conflitti all’Europa, che trova nei Balcani l’anello di congiunzione tra i paesi d’origine e quelli di destinazione, è infatti garantito da organizzazioni che gestiscono il passaggio di frontiera in frontiera, eludendo i controlli e facendo pagare questo “servizio”.
I numeri
Ma quanti sono i migranti che superano la frontiera tra Slovenia e Italia? Non esistono statistiche precise, né è possibile calcolarle. "Il segretariato della Police Cooperation Convention for Southeast Europe (PCC SEE), struttura con sede a Lubiana che punta a potenziare la collaborazione transfrontaliera tra le polizie della regione, ritiene che ci siano 100 ingressi irregolari al giorno", spiega Desirée Pangerc, antropologa triestina autrice del recente Il traffico degli invisibili (Bonanno Editore, 2012, pagine 184), lavoro che, lo suggerisce il titolo, analizza le rotte balcaniche dell’immigrazione illegale e forzata. Quelle che, non “bucando” lo schermo, sfuggono all’attenzione dei media.
Ma, come detto, rispetto a quelli che avvengono lungo il canale di Sicilia, questi fenomeni hanno una dimensione numerica maggiore pur avendo, per fortuna, esiti meno tragici. Se l’ipotesi della PCC SEE si avvicina davvero alla realtà, ogni anno ci sono 35mila persone che valicano la frontiera italo-slovena. Sono invece 24mila quelle sbarcate in Italia via mare, dall’agosto 2012 all’agosto 2013, secondo i dati del ministero dell’Interno. Non tutte sono arrivate a Lampedusa. Gli sbarchi, seppure con intensità minore, si registrano anche in altre parti della Sicilia, così come in Puglia, Calabria e Marche.
In ogni caso il volume di migranti in transito dai Balcani all’Italia si è compresso, negli ultimi anni. "Il picco c’è stato negli anni ’90, al tempo delle guerre jugoslave. Allora arrivavano in Italia i profughi dei conflitti. Oggi i Balcani sono fondamentalmente un punto di convoglio, attraversato da chi fugge dalla povertà e dalle guerre del Medio Oriente: iracheni, siriani, afghani, pachistani. Gente che migrava anche negli anni ’90, comunque sia", riferisce Pangerc, aggiungendo che un ulteriore motivo a monte del calo dei flussi sta nell’accresciuta pressione sulle frontiere.
Un’altra causa l’aggiunge Giorgio Milillo, magistrato triestino che ha seguito diverse inchieste sul traffico di migranti. "Fino al decennio scorso l’Italia era anche luogo di destinazione. Oggi è soprattutto luogo di passaggio. È meno attraente economicamente. Le mete finali sono altre, su tutte l’Europa settentrionale", sostiene il togato, riferendo inoltre che chi emigra non lo fa casualmente, affidandosi al destino, ma sulla base di ragionamenti economici. Si va, coscientemente, dove ci sono una situazione economica migliore e una rete di sicurezza sociale più solida.
Le rotte
Non c’è una rotta precisa, lungo i Balcani. Le frontiere non si superano sempre dallo stesso punto. Tutto varia in base alle circostanze e in virtù della pressione che, in un determinato momento, viene esercitata su un certo confine o su un segmento di esso. Se è alta, il trafficante cerca un varco alternativo. Se è bassa, procede.
Il caso greco è un esempio lampante, in questo senso. Tra il 2008 e il 2010, si legge in un rapporto del Migration Policy Institute, il paese ha sperimentato una crescita enorme dei flussi migratori, già importanti. Se nel 2008 il 50% degli ingressi irregolari nell’Unione europea avvenivano via Grecia, nel 2010 il dato è schizzato sopra l’80%, con la città di Orestiada, non lontana dal confine con la Turchia (paese di transito per tutti i migranti in arrivo della regioni mediorientali), scandito dal fiume Evros, che è divenuta il punto forse più critico del fenomeno. Nel 2010, secondo le autorità elleniche, ci sono stati in media 350 passaggi al giorno irregolari della frontiera turco-greca. Atene, in difficoltà, chiese aiuto a Frontex, l’agenzia europea tenuta a vigilare sulle frontiere. Arrivò l’intervento e il traffico di migranti, lungo le rive dell’Evros, è sceso da allora abbastanza sensibilmente.
In compenso, a conferma che chiusa una rotta se ne apre un’altra, è aumentato notevolmente al confine tra Turchia e Bulgaria, dove nei primi nove mesi del 2013 sono transitate illegalmente 5815 persone, secondo i dati del governo di Sofia. Sette volte tanto, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Molte delle persone che superano il confine sono di nazionalità siriana. Cercano asilo politico o una base momentanea, prima di proseguire il viaggio verso l’Europa occidentale. Due le opzioni. La prima è risalire i Balcani e arrivare in Slovenia. L’ultimo passaggio è superare la frontiera con l’Italia o l’Austria. La seconda è passare dalla Bulgaria alla Romania e da qui in Ungheria, da dove si può andare o direttamente in Austria o in Slovacchia o in Repubblica ceca. Ad ogni modo, l’obiettivo finale è arrivare in Austria o meglio ancora in Germania. Ma – va ribadito – non c’è una direttrice lineare.
Non c’è una piovra
E chi coordina il traffico di migranti? Chi assicura il passaggio di frontiera in frontiera? Qui bisogna subito fare chiarezza: non esiste una struttura criminale egemonica, né una o più mafie tout court che operano in questo settore. È una convinzione abbastanza diffusa tra studiosi e inquirenti.
"Già il fatto che ogni passaggio di confine abbia un costo (a leggere le news sulle inchieste verrebbe da dire che la media è di 100-200 euro, ndr) rivelerebbe che il traffico di migranti viene gestito da più organizzazioni che tra loro collaborano", esplicita Milillo, precisando al contempo che non sempre, a dominare, è la pura logica del profitto. "A volte emerge una vera e propria “catena di solidarietà” tra connazionali. Si aiuta il connazionale a lasciare la propria terra e recarsi in Europa, via Balcani. Si fornisce assistenza economica e logistica. Gli afghani supportano gli afghani, i curdi i curdi, i somali i somali".
Come Milillo, anche Desirée Pangerc sottolinea che non c’è una cupola criminale specifica nella gestione del traffico dei migranti, focalizzando l’attenzione sul fatto che alcuni gruppi malavitosi hanno sempre rifiutato di entrare in questo business o se ne sono sfilati in un secondo tempo. "Le mafie italiane non hanno mai voluto “commerciare” esseri umani. Non rientra nei loro 'codici etici' ". Ed è per questo che la base d’appoggio italiana, nella filiera del traffico di migranti, è sempre di nazionalità straniera. Questo, comunque, non significa che le mafie italiane non abbiano un ruolo nel settore. Anzi. "Il loro ingresso sulla scena arriva in un secondo momento, quando i trafficanti cercano know-how per riciclare i proventi. Le mafie italiane lo mettono a disposizione", afferma Pangerc.
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