Ha fondato un partito in quaranta giorni e ha vinto le politiche in Slovenia ottenendo un risultato da record. Giurista e docente di diritto, con poco carisma e incline al compromesso, a molti ricorda lo scomparso presidente Drnovšek. Dura sconfitta invece per i socialdemocratici e i democratici di Janša
È Miro Cerar il vincitore delle elezioni politiche in Slovenia, con il suo partito (SMC), nato una quarantina di giorni fa, che ha raccolto quasi il 35% dei voti, sfiorando lo stratosferico 36,26% raggiunto nel 2000 dalla Democrazia Liberale di Janez Drnovšek. Cerar, così, si potrebbe portare in parlamento 36 deputati sui complessivi 90. Mai nessuno ha fatto meglio. Bisognerà attendere, però, ancora qualche giorno per tutti i risultati definitivi, visto che al Partito popolare mancano pochi voti per superare la soglia del 4% e rimangono da contare ancora i voti provenienti dall’estero.
Una tornata elettorale segnata dal tonfo dei partiti tradizionali. I Democratici di Janez Janša perdono più del 5% e si attestano sul 20%, i Socialdemocratici dal 10% passano al 5% ed i popolari dal 7% al 3,98%. Sparita dal panorama politico Slovenia Positiva del controverso sindaco di Lubiana Zoran Janković, che dal 28,5% è scesa al 2,9%; dissolta anche la Lista civica che aveva l’8% e non riesce a racimolare nemmeno l’1% dei voti.
Si salva la premier Alenka Bratušek che, dopo aver rotto con Janković, riesce ad ottenere con la sua alleanza poco più del 4%. Ottimo il risultato del Desus, il partito dei pensionati, che diventa la terza forza politica nel paese passando dal 6 al 10%; mentre fa il suo ingresso alla camera la sinistra radicale che, sfiorando il 6%, diventa la quarta forza politica in parlamento, superando di pochi voti gli ex comunisti del presidente della repubblica Borut Pahor, che nel 2008 veleggiavano con oltre il 30%.
Straordinariamente bassa l’affluenza elettorale, che si attesta intorno al 51%. Rispetto alle elezioni del 2011 il calo è di quasi il 15%.
Chi è Miro Cerar
A votare per Miro Cerar è stata soprattutto quella fascia di elettori che sino al 2000 aveva sostenuto con entusiasmo i Demoliberali di Janez Drnovšek. Con il vecchio leader Cerar sembra condividere la stessa grigia patina da apparatcik, la totale assenza di carisma e l’innata tendenza a trovare il compromesso. Qualità, queste, che gli elettori sloveni in più occasioni hanno dimostrato di apprezzare.
Per capire la personalità di Miro Cerar e la linea del suo partito basterà dire che, in campagna elettorale, a chi gli chiedeva di rispondere con un “sì” o con “no”, preferiva ribattere con un “sì, ma…”. 51 anni, professore di diritto all’Università di Lubiana figlio di un olimpionico della ginnastica e di una delle più strette collaboratrici di Drnovšek, è considerato uno dei massimi giuristi sloveni. Sin dagli anni novanta, quando era ancora giovanissimo, era spesso chiamato a fornire pareri legali alle istituzioni dello stato, apprezzato per la sua pacatezza e la sua serenità di giudizio. La sua è stata sin qui una carriera brillante, come si confà per un rampollo di una famiglia bene della Slovenia di ieri e di oggi.
Ora spetterà a lui di tentare di formare il nuovo governo. Ha vinto senza un programma ben definito, ma semplicemente collocandosi al centro del panorama politico sloveno. Per governare avrà bisogno di 46 voti. Gli basterebbe allearsi con il partito dei pensionati, che ha un pacchetto di 10 deputati, ma il prezzo da pagare, in termini di concessioni al DESUS di Erjavec sarà alto. Fare a meno di quello che è stato l’ago della bilancia in tutte le ultime legislature non sarà facile. Una sua naturale alleata potrebbe essere Alenka Bratušek con i suoi 4 deputati, ma per escludere il Desus dalla coalizione ci si dovrebbe alleare anche con i Socialdemocratici, che dovranno fare i conti con il disastro di queste elezioni e/o con Nuova Slovenia, che sembra aver abbandonato l'impronta clericale che l'aveva fin qui contraddistinta, per vestire i panni di un partito radicalmente neoliberista.
Improbabile invece un accordo con la Coalizione della sinistra unita, la variante in salsa slovena di Syriza; mentre appare del tutto impossibile quella con i Democratici di Janez Janša. A chiudere le porte a questa ipotesi lo stesso Cerar, che ha escluso la collaborazione con un partito che, a suo dire, mina i fondamenti dello stato di diritto.
Arrabbiati i democratici di Janša
I democratici di Janez Janša del resto hanno accolto l'ennesima batosta elettorale con rabbia. Nel 2004 e nel 2008 avevano sfiorato il 30% dei voti, nel 2011 erano al 26% e adesso sono al 21%. Sembravano essere una reale alternativa per il paese, ma oggi devono fare i conti con un progressivo calo di consensi e con i guai giudiziari del loro presidente. Janša è in carcere, condannato per lo scandalo legato alla fornitura di una serie di blindati finlandesi all'esercito sloveno, e nel suo partito hanno puntato tutto sul farlo apparire come un vero e proprio prigioniero politico, una sorta di Mandela sloveno, vittima delle toghe rosse e della nomenclatura comunista. Manifestazioni, veglie e preghiere hanno accompagnato questa campagna elettorale. A suo fianco si è persino schierata la chiesa e solidarietà e messaggi di sostegno sono arrivati anche dal partito popolare europeo.
Per i democratici la situazione è chiarissima: la Slovenia si colloca a buon titolo in quel novero dei paesi ex comunisti dove la democrazia non è compiuta. In linea con questa posizione anche le dichiarazioni del dopo voto dei leader democratici che hanno subito precisato che le elezioni non sono state oneste, legittime e libere e che soltanto in Bielorussia, Iran, Ucraina e negli ultimi tempi in Russia si è votato con il leader dell’opposizione in carcere. Inoltre hanno annunciato che il partito non intende assumere nessuna funzione istituzionale in parlamento e che parteciperà in maniera selettiva alle sedute. In pratica una dichiarazione di guerra senza quartiere e di un’opposizione durissima, che preannuncia una sorta di Aventino sloveno.