A due mesi dalle elezioni politiche, in Slovenia si è finalmente insediato il nuovo governo, appoggiato da una coalizione di centrosinistra e guidato da Borut Pahor. Diciotto i nuovi ministri. Gli Interni e la Difesa guidati da due donne, Katarina Kresal e Ljubica Jelušič

24/11/2008 -  Stefano Lusa Capodistria

A due mesi esatti dalle elezioni politiche in Slovenia si è finalmente insediato il governo. I giochi, del resto, erano fatti da alcune settimane. Il socialdemocratico Borut Pahor non ha avuto difficoltà a far eleggere la sua squadra. In tutto diciotto ministri con una significativa presenza di donne. Per loro incarichi importanti e non soltanto di facciata. Al ministero degli Interni è andata la leader demo liberale Katarina Kresal, che ha subito annunciato la sua intenzione di risolvere l'annosa questione dei "cancellati", procedendo secondo quanto stabilito dalla Corte costituzionale. A un'altra donna, Ljubica Jelušič, invece è stato affidato l'incarico di ministro della Difesa. Sarà lei che dovrà contribuire a far luce sulla questione delle fornitura dei blindati "Patria".

La coalizione di centrosinistra, formata da socialdemocratici, Zares, pensionati e demo-liberali adesso dovrà dar prova di solidità. Per ora in parlamento ha esordito male, facendosi battere su una modifica alla legge riguardante i deputati. Al di là di questo scivolone, però, bisognerà capire come si concilieranno le diverse anime del quadripartito e soprattutto se i panni sporchi si laveranno in casa o in pubblico.

Il nuovo premier entra così per la prima volta nella stanza dei bottoni. Nella sua lunga carriera politica, infatti, non è mai stato nemmeno ministro. Quando ebbe la possibilità di diventarlo, nel 2000, scelse la più comoda poltrona di presidente del parlamento.

Rispetto al passato, però, l'esecutivo ha qualcosa di diverso. Tradizionalmente, i governi sloveni, riuscivano ad accomunare destra e sinistra. Popolari, democristiani e persino i democratici avevano appoggiato esecutivi di centrosinistra, mentre i pensionati, nell'ultimo mandato, hanno sostenuto un gabinetto di centrodestra. Queste "larghe intese" dovevano servire a superare le contrapposizioni, tra destra e sinistra, che risalgono ancora alla Seconda guerra mondiale.

Per i democratici del premier uscente Janez Janša, quello che si è appena formato è "un governo ideologicamente compatto", che potrebbe far riemergere le divisioni di un tempo. Ora - dice il maggiore partito d'opposizione - la stessa opzione politica ha in mano il potere esecutivo e legislativo, controlla i mass-media e i sindacati.

Pahor avrebbe allargato volentieri l'alleanza ai popolari, che però hanno scelto di rimanere all'opposizione. Ci sarebbe stata una maggioranza più stabile e avrebbe anche controllato meglio i suoi alleati. Un esecutivo così composto sarebbe stato soprattutto più in sintonia con il suo motto sulla "ricerca del consenso". Uno slogan, questo, che Pahor va ripetendo da anni e su cui ha molto insistito in queste ultime settimane. Del resto si è subito premurato di offrire al partito di Janša una "partnership per lo sviluppo". Per ora i democratici non hanno risposto, ma hanno garantito i tradizionali cento giorni di pace. Periodo a cui il nuovo premier aveva annunciato di voler rinunciare.

Pahor, quindi, vuole continuare ad essere uomo di dialogo e vuol esserlo soprattutto su quelle che considera le questioni strategiche per il paese. Ovviamente era più facile farlo dallo scranno di presidente del parlamento che da quello di capo del governo. C'è da aggiungere, poi, che era più semplice trovare un'intesa su grossi temi come l'indipendenza o l'adesione all'Unione europea, che - ad esempio - sulle questioni confinarie aperte con Zagabria. Bisognerà quindi vedere se oltre a dialogare, Pahor, riuscirà anche a decidere.

All'orizzonte quindi non sembrano profilarsi repentini cambiamenti di rotta e nemmeno quella netta rottura, con il governo Janša, che molti nel centrosinistra auspicavano. L'accordo di coalizione sancirebbe alcuni impegni concreti di riforma, ad esempio nel campo dei mass-media, che - in campagna elettorale - si diceva voler slegare dal controllo politico, ma bisognerà vedere se e quando verranno realizzati e soprattutto se il nuovo esecutivo saprà rinunciare alle prerogative che alcune norme gli consentono.

Il governo Pahor, a prima vista, potrebbe sembrare più tecnico che politico. Proprio la competenza dei ministri è stata oggetto di accese discussioni. Le maggiori critiche sono, così, piovute sui leader degli altri tre partiti di coalizione, che Pahor ha voluto con sé nell'esecutivo. Qualcuno è arrivato addirittura a proporre di affidare loro la vicepresidenza del governo, ma non dei ministeri veri e propri. Nella ricerca, quasi ossessiva, della competenza il quotidiano "Finance" si è addirittura preso la briga di pubblicare il numero delle monografie e dei saggi scientifici dei ministri che si fregiano del titolo di dottore di ricerca. Molti potevano andar fieri della loro produzione scientifica, qualcun altro, invece, si deve essere dedicato più alla politica che ai saggi accademici.

A un tecnico è andato anche il ministero degli Esteri. A ricoprire l'incarico sarà Samuel Žbogar, diplomatico di carriera ed ex ambasciatore a Washington. A lui il difficile compito di sostituire l'ingombrante figura di Dimitrij Rupel. Probabilmente, però, Pahor non vorrà giocare un ruolo di secondo piano in politica estera, visto che, soprattutto i rapporti con i vicini, vengono seguiti con particolare attenzione e riescono a suscitare notevoli emozioni.

L'opposizione, intanto, prende nota e ringrazia per le dichiarazioni di qualche neo-ministro. Quello delle Finanze, France Križanič, ha ipotizzato che la paga minima potrebbe salire, entro il 2012, dai 500 euro attuali a 1000 euro. Se ne riparlerà durante la prossima campagna elettorale.