Per 20.000 voti non ha portato a casa la riconferma fin dal primo turno. Un ritratto dell'attuale e con tutta probabilità prossimo presidente sloveno Borut Pahor
Il presidente della Repubblica uscente Borut Pahor non ce l’ha fatta a farsi rieleggere al primo turno. Gli sono mancati circa 20.000 voti, ma lui stesso si è detto sicuro che la vittoria sarà sua tra tre settimane. Forte del 47% dei consensi non dovrebbe avere problemi ad ottenere un'ampia maggioranza. A contendergli lo scranno presidenziale sarà Marjan Šarec, primo cittadino di Kamnik, una tranquilla cittadina della provincia slovena. Ha ottenuto quasi il 25% delle preferenze.
Alle loro spalle le candidate dei due maggiori partiti di centrodestra: la democratica Romana Tomc che si è fermata al 13%, e la democristiana Ljudmila Novak che ha superato il 7%. Sono state le uniche che hanno portato un po’ di contenuti in una sciatta campagna elettorale. Tra i restanti cinque candidati in lizza, solo l’ultranazionalista Andrej Šiško è riuscito a prendere più del 2%. L’ex capotifoso del Maribor, con alle spalle una condanna per tentato omicidio, si è piazzato davanti a Maja Makovec Brenčič, la ministra per l’Istruzione, che correva per il partito del Centro moderato che ha racimolato solo l'1,72% dei voti. Il suo partito alle scorse politiche aveva la maggioranza relativa, ma oramai è in caduta libera nei sondaggi. Il premier Cerar rischia così di essere un'altra meteora del centrosinistra sloveno, un uomo salito alla ribalta senza un programma, con il solo scopo di impedire al carismatico leader del centrodestra Janez Janša di prendere in mano le redini del paese.
Adesso già si specula che il prossimo jolly della sinistra potrebbe essere Marjan Šarec, che dopo la sconfitta alle presidenziali sarebbe in grado di raffazzonare l’ennesimo eterogeneo movimento politico in grado di raccogliere quel 30% dei voti che gli consentirebbe di farsi assegnare l’incarico per formare il nuovo governo.
Il fresco di facciata
Per vincere al primo turno a Pahor non è bastata l’ennesima campagna elettorale fuori dal coro: ottocento chilometri percorsi a piedi in lungo ed in largo per la Slovenia, passati ad abbracciare vecchiette ed a salutare elettori. Un'altra trovata per far apparire fresco un vecchio volto della politica slovena.
Pahor è oramai sulla scena politica dagli anni Ottanta, quando diventò il più giovane membro di sempre del Comitato centrale della Lega dei Comunisti della Slovenia. Un particolare, questo, che Pahor oggi preferisce omettere dalle sue biografie. Sempre eletto in parlamento tra le fila degli ex comunisti, nel 1997 prese la guida del suo partito svuotandolo ben presto di contenuti. La filosofia era che fosse il partito a dover seguire il giovane leader per poter sopravvivere.
Nel 2000, quando la sua compagine andò al governo, preferì la prestigiosa e comoda poltrona di presidente della camera, piuttosto che un posto nel consiglio dei ministri. Interpretò il suo ruolo da arbitro più attento ai diritti dell’opposizione, che della sua parte politica.
Nel 2004 venne eletto, grazie ad una valanga di preferenze, al Parlamento europeo, mentre nel 2008, dopo la vittoria alle parlamentari andò occupare la carica di primo ministro. Il suo, anche grazie ai suoi riottosi alleati, fu uno dei peggiori governi della Slovenia indipendente tanto che per la prima volta nella storia della Repubblica si andò a elezioni anticipate.
A quel punto gli ex comunisti decisero di mollarlo al suo destino, ma proprio nel congresso che avrebbe dovuto segnare la sua fine, Pahor rubò la scena a tutti annunciando che avrebbe corso alle presidenziali del 2012. Sconfisse sonoramente al secondo turno Danilo Türk. A corrergli in soccorso il centrodestra ansioso di liberarsi dello scomodo ex funzionario delle Nazioni Unite, con cui non erano mancate violentissime contrapposizioni di natura ideologica.
Antiaderenza
Miran Lesjak, direttore del Dnevnik – uno dei principali quotidiani sloveni - definisce Pahor un politico dal fondo “antiaderente”; in sintesi uno che riesce a farsi scivolare tutto di dosso. Sul suo giornale scrive: “Borut Pahor ha definitivamente profanato la politica. La intende come un'attività commerciale, (…) una professione come un'altra (…). La politica nelle democrazie parlamentari è un rapporto d’affari con gli elettori: cosa posso fare per voi, ovvero cosa debbo fare per avere il vostro voto?”.
In sintesi Pahor potrebbe essere l’antesignano del modello di politico post ideologico e populista che si va affermando oggi in Europa. Così, un uomo che ha iniziato la sua carriera nel passato regime, che ha occupato tutte le posizioni istituzionali più importanti del paese, riesce ancora ad essere percepito, da una frangia consistente dell’elettorato come un candidato antisistema, o almeno come il meno peggio del gruppo.
Largo ai giovani!
In questi cinque anni da presidente ha parlato molto, ma ha detto poco o nulla. Tanto che i suoi detrattori sottolineano che il lascito più importante del suo quinquennio sia il suo profilo Instagram . Delle sue foto del resto non hanno mancato di occuparsi i media internazionali. In campagna elettorale è stato attaccato sia da destra che da sinistra e la cosa non deve essergli dispiaciuta troppo.
Il suo contendente Marjan Šarec sta invece diventando l’icona della sinistra dura e pura. Lui giura di non avere alle sue spalle grandi manovratori e di non essere legato alle vecchie strutture di regime ed ai poteri forti, che secondo il centrodestra terrebbero ancora salde nelle loro mani le redini del paese. Sta di fatto che più di qualcuno nel centrosinistra sarebbe ben contento di liberarsi di un presidente come Pahor, troppo incline a scendere a patti con il centrodestra.
L’ennesimo illustre sconosciuto della politica slovena ha poco più di quarant’anni e nessuna esperienza nella politica che conta. E’ sindaco di Kamnik dal 2010. All’epoca aveva vinto da indipendente. Prima di allora era noto al vasto pubblico per una serie di imitazioni televisive e teatrali dei principali politici sloveni. Con Pahor sono accomunati dalla stessa assenza di contenuti concreti. Oggi si presenta agli elettori senza grandi ideali da difendere, ma con il classico slogan dei rottamatori: largo ai giovani!
Se non ci saranno sorprese sembra destinato a perdere. Pahor potrà contare sicuramente su una parte consistente dei voti che sono andati alle due candidate di centrodestra. Il presidente in carica del resto sembra aver già raccolto al primo turno una fetta consistente dell’elettorato moderato.