La settimana scorsa votato ad ampia maggioranza il nuovo esecutivo sloveno. Il primo ministro Alenka Bratušek si è data un anno di lavoro prima di ritornare a verificare la fiducia. Un'ampia rassegna del nostro corrispondente
Alenka Bratušek alla fine ce l’ha fatta. Il suo governo ha ottenuto un’ampia maggioranza. 52 voti a favore, 35 quelli contrari. Tre i voti in più, rispetto a quelli che le erano stati promessi. Sono arrivati da due parlamentari cacciati dai partiti di maggioranza e dal deputato della minoranza ungherese László Göncz. La nuova coalizione, composta da Slovenia positiva, Socialdemocratici, Partito dei pensionati e Lista civica, si regge su un precario equilibrio, compresso tra le tendenze stataliste dei Socialdemocratici e quelle liberiste della Lista civica. Per ora, però, la nuova maggioranza è sembrata compatta.
Nomine
Il nuovo governo, non appena insediato, ha fatto quello che aveva già fatto nel corso della sua prima riunione il gabinetto Janša: ha immediatamente rimosso il capo dei servizi segreti. Del resto le ultime settimane sono state all'insegna delle nomine. Quel che restava dell'esecutivo di centrodestra ha accelerato i tempi è ha cercato di piazzare il maggior numero possibile di suoi uomini nell'apparato dello stato. La Bratušek sembra intenzionata, laddove potrà, a far piazza pulita.
Il confronto politico nel paese è altissimo. I Democratici, che hanno mal digerito la sfiducia costruttiva votata al loro leader, hanno sarcasticamente, e poco cavallerescamente, commentato che la durata del governo sarà proporzionale alla lunghezza delle gonne del primo ministro. La nuova opposizione non ha mancato di evocare scenari apocalittici. Quello della Bratušek, è stato detto, sarà l'ultimo governo indipendente prima del commissariamento europeo.
La premier dal canto suo non ha mancato di lanciare una frecciata a quella che è stata definita l'errata convinzione dell'Europa di uscire dalla crisi solo con il contenimento della spesa, ma alla fine ha annunciato un programma economico che sembra essere quello del governo Janša, senza Janša. Le priorità restano il risanamento del sistema bancario ed il contenimento della spesa, perciò, le ricette da adottare cambiano più nella forma che nella sostanza.
Un anno
L'esecutivo si è dato un anno di tempo, prima di tornare in aula per chiedere la fiducia. A quel punto si vedrà se la Slovenia andrà verso nuove elezioni anticipate o se il nuovo governo potrà continuare fino alla fine del mandato.
Le sue sorti sono nelle mani dei Socialdemocratici, che i sondaggi danno in vantaggio e soprattutto di Gregor Virant. L'inaffidabile leader della Lista civica è stato il vero e proprio protagonista della recente vita politica nel paese. Sino alla vigilia delle elezioni anticipate del 2011 era stato un fidato collaboratore di Janez Janša, ma a quel punto decise di scendere in campo. Il risultato fu che tolse la vittoria ai Democratici, che si videro sopravanzare di pochi voti da Slovenia positiva, il raffazzonato partito fondato all'ultimo momento dal sindaco di Lubiana, Zoran Janković.
Dopo aver trattato con Janković per settimane, Virant, gli voltò le spalle. Janša fu costretto ad accoglierlo, suo malgrado, nella maggioranza, per farsi ridare in parlamento quello che gli elettori gli avevano tolto. Alla fine Virant ha abbandonato anche Janša. Ufficialmente a causa degli addebiti mossi, al capo del governo, dalla Commissione anticorruzione, ma sulla sue decisione ha sicuramente pesato anche il bassissimo consenso di cui godeva il governo e le montanti manifestazioni contro la casta politica.
La piazza e l'Italia
La prima vittoria della piazza è arrivata da Maribor, dove, dopo le dimissioni del sindaco Franc Kangler, i candidati dei partiti tradizionali si sono beccati una vera e propria batosta. Ad occupare la poltrona di primo cittadino è andato il sociologo Andrej Fištravec, uno dei promotori delle manifestazioni nel capoluogo stiriano. Analoghi scenari non sono esclusi nemmeno su scala nazionale. Il messaggio "siete finiti", che i contestatori rivolgono alla classe politica, non sembra dissimile da quel "vaffanculo" usato in Italia dai grillini. Per ora manca un leader carismatico, che non sembra nemmeno esserci all'orizzonte, ma l'idea di presentarsi alle prossime elezioni sembra prendere sempre più corpo.
Similitudini con l'Italia non mancano nemmeno nel comportamento della classe politica, che sembra impegnata in un gioco al massacro con un continuo scambio di reciproche infamanti accuse, dove vengono tirati in ballo corruzione, plagio, nepotismo, abusivismo edilizio ed altro ancora. Lo scontro, più che un confronto vero sulle politiche da adottare per il paese, passa attraverso l'attacco personale all'avversario ed alla sua famiglia. In ciò, probabilmente, pesa il retaggio del precedente regime, dove, non potendoci essere sostanziali divergenze rispetto alla politica del regime, il confronto non poteva che essere portato sul piano personale.
Il potere è donna
In ogni modo quello della Bratušek è il primo governo sloveno guidato da una donna, è un esecutivo molto giovane, l’età media dei ministri è di 45 anni ed è anche il primo consiglio dei ministri che ha tra i suoi ministri un membro dichiarato di una minoranza nazionale. Alla trentaduenne deputata di Slovenia positiva, Tina Komel, è andato l’incarico di Ministro senza portafoglio per gli sloveni nel Mondo. Si tratta di un settore che sino a ieri era stato sempre un baluardo del patriottismo sloveno.
La Komel, nel presentarsi, ha spiegato che essendo lei della minoranza italiana può capire il senso di esclusione che hanno le minoranze slovene all’estero, visto che lo ha provato lei stessa sulla sua pelle. La sua candidatura, sulle prime, è stata accolta con stupore. Il suo predecessore Ljudmila Novak, presidente dei democristiani di Nuova Slovenia, ha subito precisato che un simile ministero dovrebbe essere guidato da un qualcuno a cui sta a cuore la "slovenità" e non da uno che si dichiara appartenente alla comunità nazionale italiana.
Le danze sembravano iniziate. Tutto faceva presagire che si sarebbero sentite le polemiche, a sfondo etnico, che negli anni Novanta avevano accompagnato il passaggio per le stanze dei bottoni di un altro italiano, l’ambasciatore in Spagna, nonché viceministro degli esteri, Franco Juri.
La Novak, però, ancor prima che in patria, è stata subito zittita dalle minoranze slovene d’Italia e Austria, che hanno precisato che non hanno nulla da eccepire sulla nomina della Komel. I rappresentati degli sloveni in Italia, anzi, hanno voluto ribadire che proprio perché di una minoranza, il nuovo ministro, potrebbe avere una marcia in più.
La Komel rompe un tabù della politica slovena, che sino ad oggi era stata formalmente assolutamente etnocentrica. Nel paese non erano mancati ministri che si poteva presupporre non fossero di chiare origini slovene, ma mai nessun si era sognato di affermare in maniera così netta la sua diversità.
La Bratušek, che ha definito inqualificabili le critiche della Novak, ha precisato che nel suo governo i suoi membri saranno giudicati per il loro lavoro e non per la loro appartenenza etnica. Potrebbe essere un buon segnale per le molte minoranze che vivono in Slovenia.