La vicenda dei blindati Patria porta l'ex premier Janez Janša in prigione. E lui, per i sostenitori l'eroe dell'indipendenza per i detrattori un'eminenza grigia, si gioca il tutto per tutto non chiedendo pene alternative e ricorrendo alla Corte costituzionale. Il 13 luglio si vota per le politiche
Da venerdì scorso l’ex premier nonché leader democratico, Janez Janša, è in carcere. L’eroe dell’indipendenza è tornato a Dob ed ora è in una cella dello stesso istituto penitenziario in cui era stato rinchiuso 25 anni fa, dopo che era stato condannato a 18 mesi di reclusione da parte di un tribunale militare dell’Armata jugoslava, perché trovato in possesso di un documento riservato.
All’epoca quella era stata la classica goccia che aveva fatto traboccare il vaso, con gli sloveni che ogni giorno di più sentivano di averne abbastanza della Jugoslavia e del socialismo.
L’ex premier ora deve scontare una pena di due anni per corruzione. La vicenda riguarda la fornitura di una serie di blindati finlandesi all’esercito sloveno. Lo scandalo scoppiato nel 2008, prima in Finlandia ed Austria e poi di riflesso in Slovenia, si trascina oramai da anni. I guai giudiziari per Janša sono iniziati nel 2010 e nel giugno scorso è arrivata la sentenza di condanna a 2 anni di reclusione, confermata ad aprile dal Tribunale superiore.
Janša in tutti questi anni ha giurato e spergiurato sulla sua innocenza ed ha puntato il dito sul complotto ordito dalle toghe rosse in combutta con la vecchia nomenclatura comunista che terrebbe ancora saldamente nelle proprie mani tutte le fila del potere. I democratici non hanno inoltre mai mancato di far notare la strana tempistica del caso che riaffiora ogni volta che sono in vista le elezioni politiche, insomma null’altro che una strategia per depotenziare Janša ed il suo partito. Una sentenza che, per il leader democratico e i suoi sostenitori, grida vendetta, emessa senza che fosse emersa una sola prova, con un impianto accusatorio fatto tutto di indizi e supposizioni della corte. I giudici, però, precisano che quanto risultato durante il processo è così chiaro che non ci sono dubbi sulla colpevolezza di Janša.
Tutte le possibili istanze
Il leader democratico, una volta arrivata la sentenza, ha subito dichiarato che in carcere ci sarebbe andato ed anche che avrebbe fatto di tutto per dimostrare la sua innocenza ricorrendo a tutte le possibili istanze in patria ed in Europa. I suoi uomini hanno subito fatto quadrato intorno a lui e hanno ribadito di credere ciecamente nella sua innocenza. Nessuno si è sognato di chiedere le sue dimissioni dalla presidenza di un partito ben organizzato e militante su cui Janša ha indubbiamente il controllo assoluto.
Il leader democratico, comunque, in queste settimane ha giocato una serrata partita che gli potrebbe far perdere molto o vincere tantissimo. La strada seguita non è stata quella di ricorrere immediatamente al Tribunale supremo e di chiedere un posticipo dell’inizio della pena o misure alternative al carcere, che probabilmente gli sarebbero state concesse, ma si è rivolto subito alla Corte costituzionale.
Gli alti giudici, seppur con qualche importante parere dissenziente, hanno constatato che prima di appellarsi a loro, Janša avrebbe dovuto ricorrere alle altre istanze previste dall’ordinamento sloveno. A quel punto, però, il Tribunale supremo non ha fatto in tempo a discutere della questione prima che per lui si aprissero le porte del carcere.
Corteo
Venerdì, così, una lunga carovana di macchine ha accompagnato Janša fino alle porte del carcere. Di fronte all’istituto penitenziario c’erano ad attenderlo alcune migliaia di persone. Su un palco allestito per l’occasione non sono mancati discorsi e accorati appelli. Accanto a lui c’erano tutti gli uomini del suo partito e molti eminenti simpatizzanti, al suo fianco anche la giovane moglie che non è riuscita a trattenere qualche lacrima. Poi l’entrata nell’istituto di pena. Ci vorrà ancora qualche giorno affinché il leader democratico possa passare dalla zona dove il regime del carcere e più rigido a quella che consente più libertà di movimento ad anche maggiori comunicazioni con l’esterno.
In queste frenetiche giornate Janša ha fatto in tempo ad ultimare, insieme agli uomini del suo partito, i preparativi per le prossime elezioni del 13 luglio. Lui sarà in lista e verrà sicuramente eletto in parlamento. Non è ancora chiaro se potrà andare effettivamente ad occupare il suo seggio alla Camera di stato. Probabilmente, se la sentenza di condanna non dovesse nel frattempo essere annullata o sospesa, saranno i giudici della Corte costituzionale a dover decidere.
Quello che appare certo è che oggi la Slovenia appare più divisa di ieri, con gli adepti di Janša convinti di trovarsi di fronte ad un vero e proprio complotto ordito dai comunisti e gli altri felici di vedere quello che considerano il “principe delle tenebre” finalmente in carcere.
Il 13 luglio alle urne
Questo è il clima in un paese che si appresta ad andare alle urne il prossimo 13 luglio. La crisi di governo scatenata dal ritorno alla guida di Slovenia positiva del controverso sindaco di Lubiana, Zoran Janković, si concluderà con l’ennesimo voto anticipato. Il presidente Borut Pahor ha fatto di tutto per accelerare i tempi e per portare gli sloveni al voto in piena estate. Non è proprio una consuetudine nelle democrazie occidentali, ma negli ultimi vent’anni è accaduto in qualche paese di tradizione democratica più o meno radicata del sud est europeo come: Albania, Bulgaria, Macedonia, Moldavia, Turchia e Polonia. Le incognite restano l’afflusso alle urne, che alle ultime europee è stata del 24%, e l’effettiva possibilità di orchestrare una efficiente campagna elettorale.
Ad ogni modo il centrosinistra sloveno potrebbe aver pescato l’ennesimo coniglio dal cilindro: è Miro Cerar , un professore universitario di diritto costituzionale. I sondaggi danno il suo neocostituito partito in testa. Lui potrebbe raccattare voti nello stesso bacino elettorale che avevano portato tre anni fa al successo Slovenia positiva di Zoran Janković. Del resto anche il sindaco di Lubiana aveva vinto senza un programma e con candidati trovati all’ultimo momento, qua e là, ma Cerar ha anche qualche marcia in più. Nessuno può mettere in dubbio le sue origini slovene e d’altra parte sembra avere la stessa grigia patina di “apparatchik” che aveva contraddistinto Janez Drnovšek, il leader Demoliberale che resse praticamente interrottamente il governo sloveno dal 1992 al 2002, prima di diventare presidente della repubblica.