I democratici di Janez Janša vincono le elezioni in Slovenia, anche grazie alla retorica anti-migranti. La frammentazione politica però rende difficile formare una maggioranza solida nel nuovo parlamento di Lubiana
I democratici di Janez Janša vincono le elezioni politiche in Slovenia, ma dovranno sudare le proverbiali sette camice per formare il governo. Janša dovrà pescare al centro, visto che i voti di Nuova Slovenia e quelli dell’infido Partito Nazionale non bastano a formare una coalizione di centrodestra. Per ora il battagliero uomo politico ha usato toni straordinariamente concilianti per il suo standard ed ha teso una mano a tutti. Molti - sin dalla campagna elettorale - hanno però dichiarato che non sono affatto intenzionati a raccogliere l’invito.
Le cose ovviamente potrebbero cambiare se il ruolo di premier fosse affidato ad un'altra figura dell’SDS, come ad esempio all’eurodeputata Romana Tomc, che si era ottimamente destreggiata alle scorse presidenziali; ma è improbabile che Janša decida alla fine di passare la mano.
Il capo dello stato, Borut Pahor, come vuole tradizione, concederà a lui l’incarico di formare il nuovo governo, ma prima di procedere Janša dovrà andare a caccia della fiducia in parlamento.
Se il leader dei democratici non dovesse farcela, non avranno gioco facile nemmeno gli altri partiti: per fare il governo senza di lui, le forze di centro dovranno cooptare o la sinistra radicale o Nuova Slovenia (una sorta di Democrazia Cristiana di impronta liberista). Si tratterebbe di una maggioranza fatta da sei partiti politici, senza una forza dominante; ovvero con un consistente numero di deputati in parlamento in grado di dettare i tempi.
Se a ciò si aggiunge la tradizionale litigiosità dei partiti sloveni, la strada verso un nuovo appuntamento elettorale potrebbe essere molto breve. In ogni modo il primo banco di prova sarà l’elezione del presidente della camera, dove si potrebbe delineare il profilo della futura maggioranza.
Cambia poco
La scena politica slovena, comunque, cambia poco o nulla dopo questo voto. Il paese resta diviso tra destra e sinistra; o più precisamente fra tre schieramenti quasi equivalenti di destra, sinistra e centro. Anche questa volta è sbucato dal cilindro l’ennesimo partito personale, che però non ha raccolto i fasti dei suoi predecessori.
Gli orfani del grande partito che fu la Democrazia liberale, infatti, nel 2011 votarono compatti per Zoran Janković, nel 2014 scelsero Miro Cerar, mentre questa volta i loro voti sono stati ripartiti tra l’ex premier Alenka Bratušek, il premier uscente Miro Cerar e l’ennesimo volto nuovo della politica slovena, il sindaco di Kamnik, con un passato di comico alle spalle, Marjan Šarec. Sarebbero proprio questi ultimi due che potrebbero fare da stampella a Janša, anche se hanno più volte ribadito che non intendono andare al governo con lui.
In ogni modo domenica sera la Slovenia s’è tinta di giallo, il colore del SDS. Solo in poche circoscrizioni il partito di Janša non ha avuto la maggioranza relativa. E’ accaduto a casa di Šarec, a Capodistria ed a Lubiana centro dove si è imposta la sinistra radicale; oltre che in alcuni comuni più piccoli dove a prevalere sono stati i socialdemocratici.
Campagna elettorale anti-migranti
Ora si tratterà di gestire una scena politica molto frastagliata, con nove partiti in parlamento a cui si aggiungono i deputati della minoranza italiana ed ungherese. Dopo anni di pausa tornano alla camera anche i nazionalisti di Zmago Jelinčič, un pittoresco personaggio che alla sua consueta retorica anti-croata, nell’ultimi tempi ha aggiunto anche quella anti-migranti.
Proprio su quest’ultimo punto ha puntato molto anche il partito democratico in campagna elettorale. Manifesti simili, se non del tutto uguali, a quelli che si erano visti in Ungheria hanno inondato anche la Slovenia, mentre sui social si puntava sulla necessità di difendere il paese e le sue radici, promettendo allo stesso tempo “lavoro per chi ha voglia di lavorare” e tredicesime per tutti. Lo stesso Orban, in campagna elettorale, non ha mancato di far sentire a Janša la sua vicinanza. Del resto entrambi i partiti al parlamento europeo occupano gli scranni dei popolari, lo stesso dove siedono i parlametari di Angela Merkel o di Silvio Berlusconi.
Per il momento non sembra esserci il rischio che la Slovenia possa tramutarsi in un’altra Ungheria, visto che Janša ha consensi ben inferiori a quelli di Orban; anche se ad onor del vero bisogna dire che venti sovranisti e xenofobi spirano in molti partiti sloveni, non soltanto di destra.
Bene la sinistra radicale, male il Partito dei pensionati
Bene in questa tornata la Sinistra radicale, che ha rafforzato i consensi rispetto alle scorse legislative e ha rischiato di superare i Socialdemocratici, gli eredi dell’ex partito comunista. Quest’ultimi hanno avuto non poche difficoltà a confrontarsi con una forza alla loro sinistra, critica nei confronti del sistema capitalista, attenta alle tematiche sociali e pronta a sventolare in ogni occasione la bandiera con la stella rossa. Sta di fatto che la Sinistra radicale è stata bravissima a fare l’opposizione e restandoci potrebbe avere tutto da guadagnare.
Quello che è andato male invece è il Partito dei pensionati, che ha superato di poco la soglia di sbarramento. Resta a casa il suo leader, Karl Erjavec. Il criticato ministro degli esteri non è, infatti, riuscito a farsi eleggere alla camera. Non è la prima volta che accadde. Nelle ultime legislature i pensionati sono sempre stati al governo, sia con la destra sia con la sinistra. In molti questa volta sarebbero contenti di vederli stare all’opposizione.