A Lubiana in decine di migliaia (quaranta mila secondo gli organizzatori) protestano contro le riforme del governo. La manifestazione più imponente dall'indipendenza. I consensi al governo di centro-destra scricchiolano

29/11/2005 -  Franco Juri Koper

Quella di sabato 26 novembre è stata la manifestazione sindacale più imponente tenutasi a Lubiana dalla dichiarazione di indipendenza della Slovenia. Per ora è solo un avvertimento - sostiene Dušan Semolič, leader del maggior sindacato sloveno (Svobodni Sindikati Slovenije) - un avvertimento che costa almeno mille volte meno di uno sciopero generale.

Alcune decine di migliaia di persone (40 mila secondo gli organizzatori) hanno sfidato l'inclemente giornata, la tantissima neve e il gelo per occupare pacificamente le strade di Lubiana e protestare contro il pacchetto di riforme economiche e sociali proposte dal governo Janša.

Sotto accusa soprattutto la flat tax, l'aliquota unica che i giovani consiglieri economici del governo vorrebbero introdurre quanto prima, accompagnandola ad una serie di misure tese ad indebolire la contrattualità dei sindacati e a quelle già in atto che stanno tagliando drasticamente i tradizionali aiuti sociali agli studenti provenienti dalle classi meno abbienti.

Ed è difatto la prima volta che davanti al palazzo del governo e a quello del parlamento sono sfilati uniti lavoratori e studenti, impiegati pubblici, intellettuali, insegnanti. Si è infatti protestato pure contro la privatizzazione strisciante della sanità pubblica e della scuola.Con l'eccezione di due sindacati minori (Solidarietà e Alternativa), legati dallo stesso numero telefonico al governativo Partito democratico, hanno aderito alla protesta tutte le organizzazioni sindacali slovene, sostenute - con la presenza di propri esponenti - dalla Federazione dei sindacati europei.

A sorpresa ha aderito persino il sindacato di polizia, scontento della gestione attuale della sicurezza pubblica e delle condizioni di lavoro degli agenti. I manifestanti hanno scandito slogan contro il governo e contro l'agenda economica firmata dalla squadra di Jože P. Damjan cui Janša medita di affidare un apposito ministero per le riforme.

Aldilà della valenza prettamente sindacale della manifestazione è chiaro che essa assume una particolare importanza politica. A un anno dalla vittoria elettorale che l'ha portata al governo la compagine sostenuta da una coalizione di destra sta perdendo rapidamente il consenso iniziale, che solo pochi mesi fa superava il 60% dell'elettorato ma che secondo gli ultimi sondaggi sarebbe già sceso al di sotto del 45 %.

L'impopolarità delle riforme che - secondo i sindacati - smantellerebbero irreversibilmente lo stato sociale garantito dalla Costituzione, in una Slovenia che tradizionalmente preferisce i modelli scandinavi a quelli della transizione est-europea, non è l' unico elemento responsabile dell' indebolimento della posizione politica del governo Janša.

Ad aumentare la delusione dell'opinione pubblica è anche la »conquista« squisitamente politica delle grandi imprese parzialmente controllate dalle agenzie parastatali, con la defenestrazione di direttori senza tessera, considerati ottimi imprenditori e manager, ma - secondo Janša - troppo vicini un tempo all'ex presidente Milan Kučan e alla sinistra in genere.

Nell'arco di un mese sono stati dimessi o convinti a dimettersi e quindi sostituiti tutti i direttori delle agenzie parastatali con azioni nelle varie imprese in via di privatizzazione, dopo di che è stata la volta dei presidenti e dei direttori di alcune banche, come quella di Maribor e delle maggiori imprese semipubbliche; il presidente dell'Ente Porto di Capodistria Bruno Korelič, il presidente della più importante impresa di idrocarburi slovena (Petrol), Janez Lotrič, il presidente delle catena commerciale slovena più prestigiosa (Mercator) Zoran Janković ed altri ancora.

Lo »tsunami« politico ha trasformato i consigli di amministrazione e i comitati di controllo in basi operative vere e proprie dei partiti di governo. A capo di questi organismi vengono infatti nominati uno dopo l'altro affidabili esponenti politici. Emblematico è il caso di Marko Starman. Affiliato al Partito popolare di Janez Podobnik ricopre la carica di segretario di stato presso il ministero per l'ambiente ma è impegnato a tempo pieno soprattutto nel controllo politico del porto di Capodistria e dell'impresa di trasporti di gran lunga più importante del paese: l' Intereuropa. Starman è infatti a capo dei comitati di controllo di entrambe le società.

Anche i nuovi membri dei consigli di amministrazione sono in gran parte scelti in base all' affiliazione politica. Esempi come questo si stanno moltiplicando in tutti i settori, compreso quello dei media, come nel caso del quotidiano Delo, dove il capitale pubblico mantiene un controllo maggioritario. Il clientelismo di cui veniva, a ragione, accusato il precedente governo e che aveva notevolamente contribuito al crollo dei consensi e alla sconfitta dei liberaldemocratici sta ora dilagando nel versante politico attualmente al governo. A rincarare la dose di scetticismo e di rabbia dei lavoratori sono inoltre i privilegi concessi dal governo alla chiesa cattolica, beneficiaria di notevoli indennizzi e restituzioni sull'ammontare dei quali il competente ministro - quello della giustizia - Lovro Šturm, esponente di spicco dell'ordine religioso dei Cavalieri di Malta, si rifiuta categoricamente di informare il parlamento. Scontato ovviamente l'appoggio dei vescovi sloveni alle riforme e alle scelte strategiche dell'attuale governo, considerato particolarmente vicino alla Santa sede e all'orientamento conservatore impresso da Papa Ratzinger.

Ma tra le »novità« politiche più sorprendenti della protesta in corso contro le direttrici governative spicca la scesa in campo del presidente della repubblica Janez Drnovšek. Solo due giorni prima della manifestazione Drnovšek aveva invitato i leader sindacali nel suo palazzo, offrendo loro un pulpito mediatico privilegiato per lanciare l'ultimo appello a favore della manifestazione. Lo stesso presidente non si è tirato indietro, appoggiando moderatamente la protesta e facendo leva sulla responsabilità di tutte le parti sociali. Un'antifona diretta al governo di cui il premier ha dovuto prendere atto. Commentando il malcontento sempre più diffuso Janez Janša ha promesso che le riforme saranno graduali e concordate . Ci credono in pochi, ma Janša sa bene che nemmeno il controllo dei principali media che cerca di acellerare in questi giorni sarà in grado di modificare il trend che per lui e la sua compagine sono di giorni in giorno meno confortanti.