In Slovenia l’ergastolo è stato introdotto nel Codice penale nel 2008, con una decisione che ha suscitato perplessità e discussioni nella società slovena. Solo di recente, però, un imputato è stato condannato al carcere a vita in via definitiva
Per la prima volta in Slovenia un imputato è stato condannato all’ergastolo in via definitiva. A stabilirlo è stato il Tribunale supremo, l’equivalente della Corte di Cassazione, che ha sentenziato che Silvo Drevenšek dovrà rimanere tra le sbarre tutta la vita. È stato giudicato colpevole di triplice omicidio.
Alla Vigilia di Natale del 2020 Drevenšek ha ucciso a coltellate la sua ex compagna ed anche i genitori di lei sotto gli occhi di suo figlio. L’uomo, che faceva ampio uso di alcol, si era rivisto con la madre di suo figlio con la scusa di lasciare il regalo di Natale al bambino. Il tribunale non ha potuto che constatare la premeditazione del gesto e la sua determinazione a portare a termine il brutale atto. A far propendere i giudici per una sentenza così severa anche il fatto che nel corso del processo non ha mai mostrato nessun segno di pentimento.
In Slovenia l’ergastolo è stato introdotto nel Codice penale nel 2008. Fino ad ora la pubblica accusa ha chiesto di applicarlo in quattro occasioni, per altrettanti efferati delitti, ma gli accusati se la sono cavata con pene più blande.
La condanna a vita è prevista esclusivamente per i pluriomicidi e per altri crimini gravissimi. I condannati possono comunque chiedere la libertà condizionale dopo 25 anni di reclusione. Prima della introduzione dell’ergastolo la pena massima era di trent’anni. L’inasprimento era stato voluto all’epoca dal governo di centrodestra guidato da Janez Janša.
L’inserimento nel Codice penale della possibilità di comminare il carcere a vita aveva destato qualche perplessità nella società slovena, abituata, tutto sommato, a pene non troppo severe. All’epoca il centrosinistra aveva dato ad intendere che una volta tornato al potere avrebbe cancellato la norma, ma come in altre occasioni poi non se ne è fatto nulla.
La dottrina giuridica applicata in Slovenia sin dal tempo del regime jugoslavo era quella che bisognava accompagnare il detenuto nel suo processo di rieducazione e reinserimento nella società.
Sino al 1998 la pena massima prevista era di 20 anni, mentre la pena di morte, ufficialmente cancellata nel 1989, era stata applicata l’ultima volta nel 1959, quando un uomo venne fucilato con l’accusa di aver ucciso un poliziotto e di aver commesso tutta una serie di furti nella zona di Maribor. Oggi c’è chi sostiene che quel delinquente pagò anche il suo anticomunismo e la sua avversione verso il sistema dell’epoca.
In ogni modo la pena capitale nell’immediato dopoguerra venne usata anche per reprimere reati comuni. In un brillante libro di prossima pubblicazione sulla condizione delle minoranze nazionali in Slovenia, lo studioso Miran Komac racconta che nel 1952 tre rom vennero condannati a morte per una serie reiterata di furti nell’Oltremura.
Presentarono appello alle autorità federali, che con “clemenza” decisero che la sentenza di impiccagione fosse commutata in fucilazione. I loro complici sloveni se la cavarono con leggere pene detentive.
L’ultima formale condanna a morte emessa da un tribunale sloveno arrivò negli anni Ottanta. Metod Trobec - il più celebre serial killer nazionale - aveva violentato ed ucciso almeno cinque donne, i cui resti vennero ritrovati nella stufa di casa sua.
Lo stesso Trobec confessò anche l’omicidio di un'altra donna. La sentenza di morte venne commutata in vent’anni di reclusione a cui se ne aggiunsero altri quindici quando in carcere tentò di uccidere altri due detenuti. Si è impiccato con un lenzuolo nella sua cella nel 2006. Sarebbe dovuto tornare in libertà nel 2014.
Se fino a pochi anni fa il sistema carcerario, con un’ampia gamma di pene alternative e regimi di semilibertà, era uno dei fiori all’occhiello della società slovena, ora è in crisi.
Il tasso di criminalità nel paese è tradizionalmente poco elevato, ma ultimamente le carceri stanno letteralmente esplodendo. I reclusi sono circa 1700, il 30% in più rispetto ai detenuti che le carceri potrebbero ospitare.
A contribuire a riempire i penitenziari ci ha pensato un consistente giro di vite, voluto dall’ultimo governo di centrodestra, in materia di immigrazione clandestina. L’idea era quella di combattere il fenomeno con pene più severe. I trafficanti adesso rischiano fino a 15 anni di carcere, un periodo detentivo pari a quello che può essere comminato per un omicidio.
Già all’epoca c’era chi sottolineava che così si rischiava di mettere in crisi la proporzionalità delle pene. Tornare indietro adesso appare complicato, ma intanto le carceri slovene continuano a riempirsi soprattutto di stranieri, molti in attesa di giudizio per reati legati all’immigrazione clandestina.
Sono in tutto 755, il 45% della popolazione carceraria in Slovenia, provenienti da 61 paesi. In prevalenza sono romeni, serbi, bosniaci, ucraini, moldavi e croati. Una nuova realtà in istituti di pena che devono fare i conti con una oramai endemica carenza di personale.
Il mestiere della guardia carceraria non è certo uno dei più ambiti e la mancanza di “secondini” rende difficoltosi anche i processi, visto che spesso le udienze saltano perché non ci sono uomini a sufficienza per accompagnare i detenuti in tribunale.
Intanto nel paese si riflette sul da farsi. Il sistema carcerario difficilmente potrà reggere a lungo. Le condizioni di detenzione in Slovenia restano meno terribili che altrove, ma la situazione va peggiorando.
In fondo è facile mettere in mostra i muscoli inasprendo le pene ed annunciando di volere “legge ed ordine”, meno semplice invece è trovare adeguate soluzioni per poter ospitare un sempre maggior numero di carcerati e garantire processi giusti e rapidi agli imputati che attendono in prigione la sentenza.